[A cura di: Ing. Lorenzo Balsamelli – consulente Ape Torino Confedilizia] Correva l’anno 2009 quando la Regione Piemonte ha legiferato per regolamentare i limiti massimi di emissioni di ossidi di azoto e PM10 e le prestazioni energetiche minime delle caldaie. Le scadenze per gli adeguamenti, dopo i vari slittamenti, sono state fissate al 2016 per quanto concerne i limiti emissivi e per il 2020 per i limiti di rendimento. Ma quali sono esattamente i requisiti previsti? Ad oggi com’è la situazione? Come possono essere verificati, da parte degli enti preposti, gli eventuali casi di inadempimento? Quali sono i rischi per chi non si è adeguato?
Cerchiamo di fare un po’ d’ordine: la D.G.R. 46-11948 della Regione Piemonte, con i suoi successivi aggiornamenti, prevedeva che entro il 1° settembre 2016 tutti i generatori di calore installati dopo il 2007, con potenza inferiore a 1000 kW, rispettassero il limite di emissione di NOx fissato a 80 mg/kWh, che con la tolleranza strumentale di mg/kWh definita dalla D.D. 12 marzo 2014 n.52, è stato portato a 100 mg/kWh (fatte salve alcune deroghe per gli impianti a gasolio). Per quelli con potenza superiore, la scadenza per gli adeguamenti era invece anticipata al 1° settembre 2011.
Ad oggi, solo le caldaie a condensazione relativamente recenti con bruciatori a bassa emissione di NOx o le caldaie anche non a condensazione con bruciatore esterno recentemente sostituito con altro sempre a bassa emissione di NOx rispettano i limiti previsti, mentre moltissimi generatori funzionanti li superano. Per prenderne coscienza basta richiedere gli esiti delle prove di combustione a chi effettua i controlli periodici.
Però, i valori riportati vanno letti con attenzione: quelli solitamente indicati nelle prove di combustione sono espressi in ppm di NOx e non in mg/kWh, e per effettuare la trasformazione occorre moltiplicarli per un fattore che oscilla intorno al valore 2. Tale variazione è funzione del tenore di ossigeno della prova, che deve essere per legge inferiore al 3%. Questo aspetto è di fondamentale importanza in quanto spesso, per poter far risultare a norma un generatore che non lo è, la prova viene fatta con un tenore di ossigeno decisamente superiore, così che l’emissione di NOx si riduca a tal punto da apparire all’interno dei limiti legislativi.
Oltre a tali limiti di emissione di ossidi di azoto, con la medesima scadenza sono previsti limiti anche all’emissione di PM10, che deve essere inferiore o uguale a 10 mg/kWh. Molti sono i casi in cui ad un generatore obsoleto viene applicato un bruciatore di nuova generazione a bassa emissione di NOx per poterlo riportare nei limiti emissivi già cogenti.
Peccato che non tutti sappiano che tale operazione non sia molto sensata. Prima di tutto perché dal punto di vista della resa energetica, quindi del risparmio economico, tale intervento non è assolutamente un buon investimento ma solo una spesa. Di ciò ci si rende conto se si pensa a quali saranno i requisiti che nel 2020 diventeranno cogenti, come vedremo tra poco. Quando infatti scatterà l’anno 2020, quelle caldaie vetuste dovranno essere cambiate e quei bruciatori di nuova generazione che vi sono stati applicati dovranno essere a loro volta sostituiti perché nel 99% dei casi non saranno utilizzabili con il nuovo generatore di calore che l’utente installerà.
Oltre ai requisiti emissivi infatti, la Regione Piemonte, sempre con il D.G.R. 46-11968, ha sancito che entro il 1° settembre 2020, tutti i generatori di calore installati dopo il 2007 dovranno avere rendimenti superiori a determinati valori (vedi Allegato 5 della D.G.R. 46-11968) che sono in funzione del tipo e potenza della caldaia considerata. In linea di massima, salvo alcuni casi specifici e poco diffusi, tali valori sono quelli tipici delle caldaie a condensazione. Anche con riferimento a questo specifico aspetto, sappiamo che sul territorio piemontese, salvo ovviamente i casi dei fabbricati serviti dalle reti di teleriscaldamento, sono ancora molti gli impianti che nel 2020 non potranno più funzionare, e per tale motivo è fondamentale che gli utenti ne prendano per tempo coscienza per poter programmare adeguatamente gli interventi e i piani finanziari correlati.
A questo punto è legittimo chiedersi come, con quali tempi e soprattutto con quali risorse le autorità competenti potranno effettuare tutte queste verifiche. Nella realtà, il sistema dei controlli è potenzialmente molto più snello di quello che si possa pensare. Tutti gli impianti, infatti, devono essere censiti al Catasto degli Impianti Termici e periodicamente, per ognuno di loro, devono essere riportati, a cura del soggetto terzo responsabile, i risultati delle analisi di combustione e di rendimento. Va da sé che tutto il sistema di censimento dei dati è eseguito sostanzialmente dall’utenza. All’autorità competente rimane quindi “solo” da verificare i dati censiti e attivare i procedimenti previsti per gli inadempienti.
In merito, è molto importante ricordare che il mancato rispetto dei requisiti che prima abbiamo descritto costituisce un reato penale. Il d.lgs. 152/2006 all’articolo 288, comma 5 recita infatti “[…] l’autorità competente, ove accerti che l’impianto non rispetta le caratteristiche tecniche di cui all’articolo 285 o i valori limite di emissione di cui all’articolo 286 o quanto disposto dall’articolo 293, impone, con proprio provvedimento, al contravventore di procedere all’adeguamento entro un determinato termine oltre il quale l’impianto non può essere utilizzato. In caso di mancato rispetto del provvedimento adottato dall’autorità competente si applica l’articolo 650 del codice penale”.
Quando quindi un impianto non rispetta i requisiti emissivi e/o energetici, nel caso di impianti ove sia presente un soggetto “terzo responsabile”, quest’ultimo, formalmente, dovrebbe dimettersi dal suo ruolo qualora, a seguito di sua idonea comunicazione al condominio, quest’ultimo si dovesse rifiutare di deliberare positivamente rispetto all’esecuzione delle opere necessarie per portare l’impianto a norma. Su questo aspetto il D.P.R. 74 del 2013 è infatti molto chiaro: […] il terzo responsabile risponde del mancato rispetto delle norme relative all’impianto termico, in particolare in materia di sicurezza e di tutela dell’ambiente e qui di violazione della tutela ambientale stiamo parlando.
Non dimentichiamoci, infatti, che la D.G.R. 46-11968 ha come titolo “Aggiornamento del Piano regionale per il risanamento e la tutela della qualità dell’aria – Stralcio di piano per il riscaldamento ambientale e il condizionamento e disposizioni attuative in materia di rendimento energetico nell’edilizia”.
Tornando al tema specifico, nel caso in cui il condominio, dopo essere stato adeguatamente edotto in materia, si rifiutasse di far eseguire le opere necessarie, il terzo responsabile, salvo la volontà di essere “trasgressore consapevole”, si dovrà dimettere dal suo ruolo, potendo di fatto rimanere solo come conduttore dell’impianto. Così facendo, le dimissioni di cui sopra sposterebbero la responsabilità sul responsabile in primis, che si identifica, nel caso dei condomini, con l’amministratore condominiale, e nel caso diverso con i proprietari.
Venendo al caso dei condomini, ci rendiamo immediatamente conto che il mancato adeguamento dell’impianto conseguente al rifiuto dell’assemblea condominiale di eseguire le opere necessarie, anche dopo idonea illustrazione della tematica, pone di nuovo al centro il tema della responsabilità formale dell’amministratore, che però continua ad essere ancora una volta un “ministro senza portafoglio”, il cui unico potere rimasto è quello di rassegnare anch’egli le dimissioni dal suo ruolo.
Sul tema, ovvero sul fatto che le azioni virtuose e di rispetto della legge dovranno pur partire da qualcuno, si potrebbe aprire una trattazione infinita; per questo è bene glissare e passare alla risposta all’ultimo quesito posto in precedenza, ossia: quali sono i rischi per i trasgressori? Il codice penale per tali reati prevede o “[…] l’arresto fino a tre mesi” o “[…] l’ammenda fino € 206,00”, pene che sono francamente poco paragonabili tra loro.
In tutto ciò rimane solo un interrogativo, che suona più che altro come una provocazione: la tutela dell’ambiente in cui viviamo, la nostra salute e quella dei nostri cari e delle generazioni future vale solo 206 euro? Non volendo avere la presunzione di rispondere a questa domanda, mi limiterei a fare un banalissimo conto economico. L’onorario di un “professionista” per amministrare un condominio vale decisamente più di questa cifra, come anche l’introito diretto ed indiretto legato alla conduzione di un impianto è superiore al valore dell’ammenda di 206 euro. Detto ciò, mettendoci nei panni degli addetti ai lavori (terzi responsabili e amministratori condominiali) è facile comprendere come, senza un’azione incisiva su questo tema da parte della pubblica amministrazione e degli enti preposti ai controlli, la disposizione prevista dal Piano regionale per il risanamento e la tutela della qualità dell’aria avrà un’attuazione troppo lenta. Mentre l’ambiente in cui viviamo il campanello d’allarme l’ha già suonato da tempo.