[A cura di: ing. Fabrizio Mario Vinardi – consigliere segretario Ordine degli Ingegneri della Provincia di Torino]
Quando per la prima volta sentii parlare del film Il postino suona sempre due volte, oggi diventato un cult, subito pensai alla figura del mite postino che – in effetti – anche a casa nostra suonava “due volte” per indicare che gli aprissero la porta dell’androne e consegnare la posta nelle buche delle lettere del condominio.
Col tempo, ho scoperto che in realtà il postino non c’entra molto con la trama, se non come metafora di un destino cui non si può sfuggire e che – prima o poi – viene a “chiederti il conto”: la storia, infatti, è incentrata sull’incontro casuale tra un giramondo e una locandiera, le cui vite verranno travolte e devastate da un’irrefrenabile passione, che li porterà a compiere varie azioni criminali, culminando in un finale “maledetto”.
Già, ma il fatto del postino che suona “due volte” per farsi aprire la porta mi è rimasto, al punto che ancora oggi, quando sento due trilli al citofono e, chiedendo “chi è”, mi sento rispondere “postaaa”, apro, ma sempre chiedendomi “E se fosse un malintenzionato? E se poi si intrufola nelle cantine e le svaligia? E se volesse rubare le biciclette che sono in cortile?”.
Allora penso che l’amministratore dovrebbe assolutamente montare delle telecamere per filmare tutto quello che accade e, se poi qualcuno ha rubato o rovinato qualcosa, si porta il video alle Forze dell’Ordine e ci penseranno loro.
Ma siamo sicuri che – al solo scopo di tutelare la propria sicurezza – si possa registrare e, soprattutto, conservare i filmati? Che cosa ci dice, in proposito, la normativa in materia di privacy, recentemente aggiornata dall’introduzione del GDPR – General Data Protection Regulation? In sintesi, ci dice che possiamo usare la videosorveglianza solo rispettando alcune prescrizioni, ma non addentriamoci ora in questo argomento, cui dedicheremo in futuro un approfondimento specifico.
Concentriamoci, invece, sui sistemi di videosorveglianza e vediamo che cosa è successo in un caso reale di furto, ripreso da telecamere.
Anzitutto, quello che spesso non si considera è che le telecamere a circuito chiuso sono progettate per rivelare la presenza di un soggetto e vederne – da remoto – i movimenti e il comportamento, ma dovendo tipicamente “illuminare” una zona ampia, di certo risoluzione e nitidezza dell’immagine non sono perfette. Se poi si considera che sicuramente un ladro tenterà di sfruttare zone in penombra o addirittura al buio, allora occorre pensare a componenti più sofisticati, dotati di funzione night & day, ossia un illuminatore a raggi infrarossi (invisibili all’occhio umano), che permette la visione notturna.
Il caso in esame riguarda un basso fabbricato adibito a magazzino posto all’interno di cortile condominiale, che in tardo orario pomeridiano, quindi in condizioni di luce naturale precarie, fu oggetto di furto con effrazione.
Le forze di Polizia, intervenute nella serata, notarono subito che il piazzale che costituiva cortile condominiale era protetto da circuito di videosorveglianza e, chiamato l’amministratore ed il tecnico specializzato, si fecero riversare l’intero video su un idoneo supporto, poi affidato alla Magistratura penale e da questa ad un perito per una analisi dei fotogrammi.
Il primo problema tecnico fu che le telecamere che riprendevano ingressi e piazzale erano quattro ed il sistema di videosorveglianza era stato impostato in modo da rappresentare in contemporanea sullo schermo della console le quattro diverse angolazioni di ripresa: ciò faceva sì che il video riversato sul supporto consegnato alla Magistratura fosse incomprensibile, in quanto si presentavano in sequenza un fotogramma ripreso dalla telecamera 1, poi uno dalla telecamera 2 e così via, per poi riprendere il ciclo.
Dopo opportuno “riallineamento” dei fotogrammi fu possibile vedere in sequenza ciò che era stato ripreso: il ladro, effettivamente, aveva notato le telecamere e si era adoperato per cercare vie di passaggio nelle zone meno illuminate, ma la telecamera 3 aveva ripreso il momento in cui l’autovettura aveva fatto accesso al piazzale.
Tramite software specifici si procedette, quindi, a pulizia ed elaborazione dell’immagine ripresa e fu possibile leggere parzialmente la targa dell’auto, oltre a identificare – da alcuni particolari – marca e modello della berlina di colore scuro utilizzata dal malintenzionato.
Con questi dati, fu possibile – tramite interrogazione incrociata alla banca dati della Motorizzazione civile – restringere il campo a quelle auto che risultavano avere targa compatibile con i dati che erano stati letti, erano intestate a soggetti residenti in quell’area, ed erano di quella specifica marca/modello.
I potenziali soggetti erano numerosi, ma venne in aiuto l’esperienza degli investigatori: uno di questi soggetti era un noto ladruncolo e parte della refurtiva (che comprendeva strumentazione elettronica di cospicuo valore) fu ritrovata nella sua abitazione e restituita all’avente diritto; seguì processo e condanna del malvivente, anche se purtroppo il derubato non fu integralmente risarcito.
Qualche insegnamento si può in ogni caso trarre dalla vicenda:
Naturalmente, anche evitare di aprire il portone condominiale quando si sente suonare “due volte”, senza prima accertarsi chi sia ad aver scampanellato, è un’ottima abitudine.