Da “parenti serpenti” a “vicini diffidenti”. Se una volta erano i famigerati congiunti ad essere evitati, oggi la frenesia della routine quotidiana e il poco tempo per socializzare hanno fatto sì che questa diffidenza si estendesse ai vicini di casa, visti con crescente fastidio e distacco da oltre 6 italiani su 10 (61%) che ammettono di non voler approfondire alcun rapporto coi propri dirimpettai. Dal “condominio famiglia” tipico degli anni ’50, in cui la maggior parte dei vicini di casa si conosceva e condivideva i momenti della quotidianità, si è passati infatti ai “condomini asociali”, dove si conosce a malapena il nome dei dirimpettai, evitati o salutati a fatica sui pianerottoli. Un fenomeno più marcato nelle grandi città del Nord, dove la mescolanza di etnie e provenienze regionali, unitamente ai ritmi lavorativi più frenetici, hanno accentuato la diffidenza nei condomini.
È quanto emerge da uno studio promosso da Nescafé, che porta alla luce una problematica raccontata dal video-esperimento sociale The Nextdoor Hello. Lo studio da cui ha preso spunto l’esperimento è stato condotto con metodologia WOA (Web Opinion Analysis) su circa 1800 italiani, uomini e donne di età compresa tra i 18 e i 65 anni, attraverso un monitoraggio on line sui principali social network, blog e forum per capire come siano cambiati nel tempo i rapporti nei condomini italiani tra vicini di casa.
“L’esperimento sociale The Nextdoor Hello è nato grazie all’individuazione di un fenomeno sempre più forte nelle città italiane, ovvero la crescente difficoltà delle persone di comunicare con i propri vicini di casa – afferma Matteo Cattaneo, marketing manager Nescafé -. L’obiettivo che abbiamo raggiunto è stato quello di dimostrare empiricamente, attraverso un concreto esperimento sul campo raccontato da un video, che è possibile ridurre le distanze venutesi a creare tra dirimpettai anche con un semplice gesto, come offrire una tazza di caffè. Grazie a delle telecamere nascoste abbiamo ripreso la diffidenza tra i condòmini all’interno di un palazzo, e abbiamo dato loro la possibilità di abbattere le distanze con un ponte che li avvicinasse, non solo metaforicamente ma anche fisicamente. In questo caso il ponte era proprio un tavolo con sopra due Red Mug Nescafé. Il risultato è stato un inaspettato avvicinamento tra vicini di casa”.
LA DIFFIDENZA
Ma perché questa diffidenza per i vicini di casa è sempre più marcata? Secondo gli italiani il motivo principale sta nella frenesia della routine quotidiana (73%), che impedisce di approfondire qualsiasi rapporto che non riguardi il nucleo famigliare, le amicizie più strette o l’ambito lavorativo. Di conseguenza, si ha a disposizione poco tempo per la socializzazione (68%), scoraggiata ancora di più dall’aumentata percezione di micro-criminalità e terrorismo attraverso i media (39%). Quasi un italiano su 2 (49%) teme di essere ignorato dal vicino, mentre il 32% dei monitorati ha paura di risultare invadente e il 29% sostiene di essere troppo timido.
Sulla stessa linea di pensiero il dottor Marco Costa, professore del Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Bologna: “Gli impegni lavorativi possono far vivere la propria abitazione soprattutto come luogo di riposo e rifugio proprio perché l’attività sociale viene già coltivata in altri ambienti, come il luogo di lavoro ad esempio. Di conseguenza, quando si è a casa, si cerca anzitutto un nido in cui vivere la privacy, la riservatezza e il riposo. In secondo luogo, nella società sta aumentando la mobilità: quando ci si trasferisce, diminuisce il senso di attaccamento al luogo e quindi anche al vicinato”.
LE “VIE DI FUGA”
Spesso però il contatto con i vicini di casa è inevitabile fuori dalla porta di casa, ma come cercano di divincolarsi gli italiani che non amano il contatto coi condòmini? Ben 8 su 10 fanno proprio finta di niente (79%), abbassando lo sguardo o facendo finta di scrivere un messaggio con lo smartphone. La seconda “via di fuga” più gettonata è la frase “Scusa ma sono di fretta” (68%), seguita da “Sono in ritardo” (64%). Il 45% addirittura evita di utilizzare l’ascensore se già occupato da altri vicini, mentre il 39% si assicura che sulle scale non ci sia nessuno quando esce di casa.
“La prossimità spaziale tra vicini di casa è una potenzialità che non porta automaticamente alla interazione e alla solidarietà – spiega il dottor Giandomenico Amendola, professore di Sociologia Urbana nella Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze -. Essa non determina una spinta all’interazione e, men che meno, alla costituzione di solidi rapporti interpersonali. A maggior ragione, in un palazzo abitato in prevalenza da lavoratori, le occasioni di incontro sono inevitabilmente sporadiche ed in genere molto rapide e formali. Andando invece ad analizzare i fattori che agiscono sui rapporti di vicinato, i principali sono l’omogeneità socio-culturale e il tempo di residenza”.
LE PARTI COMUNI
Ma dove si manifesta maggiormente questa asocialità dilagante? Al primo posto il pianerottolo di casa e le scale (66%), dove fino a qualche anno fa ci si fermava a parlare dei più svariati argomenti o ci si organizzava per un incontro successivo più articolato; secondo gradino del podio per l’ascensore, dove spesso i vicini di casa nemmeno si salutano (57%), terza piazza infine per il balcone (41%). Chiudono la Top5 il bar sotto casa (35%) e le aree verdi del quartiere (29%).
L’IDENTIKIT
Qual è l’identikit del “coinquilino asociale”? Sono principalmente gli uomini ad essere diffidenti nei confronti dei vicini di casa (69%), contro il 53% delle donne, che appaiono più disposte ad accorciare le distanze con i dirimpettai. La fascia di età che raccoglie più persone diffidenti coi vicini di casa è quella tra i 31 e i 50 anni (71%), mentre scende al 60% tra gli over 50 e al 51% tra gli under 30. Il fenomeno, che è molto più forte tra gli abitanti dei grandi centri urbani del Centro-Nordcome Milano (69%), Torino (68%), Venezia (66%) e Bologna (64%), al Sud si verifica con minore intensità, come a Roma (57%), Napoli (55%) e Palermo (52%). Tra le categorie più “asociali col vicinato” ci sono i manager (68%), i liberi professionisti (65%), gli avvocati (64%), i banchieri (63%) e gli impiegati (62%).
LE SOLUZIONI
“Per abbattere questi muri la ricetta è molto semplice – conclude lo psicologo Marco Costa – basta creare attività comuni come pulizia dei luoghi condivisi o feste di condominio; occorre cioè creare degli obiettivi comuni in cui i condòmini possono riconoscersi. Piccoli gesti come l’offrire un caffè od offrire cibo costituiscono anche attività che permettono d’incontrare gli altri senza la preoccupazione di dover interagire in modo personale, mitigando l’ansia di un contatto personale”.
Il sociologo Giandomenico Amendola afferma invece che “Tra i principali simboli della socializzazione tra vicini, il caffè ne è un esempio e appartiene alla tradizione nordamericana: l’espressione “popping into neighbours for a coffee” è infatti tipica dei sobborghi statunitensi contrassegnati da una forte omogeneità sociale. Proprio per ridare forza a questa tradizione di vicinato è nato addirittura negli ultimi anni il movimento dei Coffee Parties”.
Ma quali sono gli effetti della socializzazione tra vicini di casa? Al primo posto la scomparsa dell’imbarazzo nei successivi incontri con i condòmini (61%), fatto che rende le persone più serene e meno timorose di incrociare i dirimpettai negli spazi comuni. In seconda posizione la consapevolezza di avere un appoggio in caso di bisogno (53%); questo si può verificare ad esempio quando manca un ingrediente in cucina o in caso di lievi incidenti domestici. Infine, al terzo posto, la maggiore intraprendenza nell’invitare i vicini di casa per condividere un momento di relax (44%), per esempio davanti a un buon caffè.