[A cura di: avv. Giovanni Carini – Uppi Napoli]
Per realizzare un impianto ascensore in un edificio in condominio che ne sia sprovvisto, vi sono due strade: quella collegiale – condominiale che nella disciplina previgente era, in via ordinaria, regolamentata dagli art. 1120 e 1121 del codice civile, e quella individuale su iniziativa del singolo.
INSTALLAZIONE COLLEGIALE
In particolare, la prima disposizione prevedeva al 1° comma vecchia formulazione che: “i condòmini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell’art. 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni. Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino”.
Il 5° comma dell’art. 1136 stabiliva che: “le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni previste dal 1° comma dell’art. 1120, devono essere approvate con la maggioranza dei partecipanti al condominio e due/terzi del valore dell’edificio”.
L’ultima parte dell’art. 1120 vieta, in ogni caso, quelle innovazioni che si pongono in apprezzabile ed insanabile contrasto con la consistenza delle parti comuni (es. la violazione pregiudizievole delle distanze rispetto ad una proprietà esclusiva).
In tal caso, seppure la esigenza di installare l’ascensore viene manifestata o, comunque, soddisfa solo una parte dei condòmini, sia l’esecuzione dell’opera che la relativa spesa è sostenuta collegialmente salva la facoltà prevista dell’art. 1121 del codice civile. Tale ultima norma stabilisce che nella ipotesi di innovazioni suscettibili di utilizzazione separata, i condòmini che non intendono fruire dell’opera, possono sottrarsi dalla relativa spesa, salvo parteciparvi successivamente, contribuendo ai relativi oneri ovviamente adeguati ed aggiornati.
Quindi, a titolo esemplificativo, supponiamo che in via ordinaria venga approvato l’ordine del giorno nel quale è prevista l’adozione dell’impianto ascensore.
Il quorum deliberativo, in tale ipotesi, non poteva essere inferiore ai 2/3 dei millesimi (perlomeno 666) e la maggioranza dei partecipanti al condominio (se vi sono 10 condomini almeno 6) e, una volta adottata la delibera tutti i condòmini, siano essi gli assenti, i dissenzienti o gli astenuti, devono necessariamente contribuire alle spese di installazione divenendo contitolari dell’impianto salvo il rimedio di cui all’art. 1121 sopra indicato.
In tale ultima ipotesi, ossia qualora taluno dei condòmini richieda di essere esonerato dalla spesa, l’impianto sarà oggetto di un condominio parziale.
Come si può osservare, la particolare consistenza del quorum deliberativo rendeva praticamente irrealizzabile la installazione dell’impianto ascensore. Ecco perché, come in altri analoghi casi di necessario ridimensionamento della rigidità normativa, correlato alle esigenze di modernizzazione ed a quelle sociali di vivibilità (es. trasformazione degli impianti di riscaldamento da centralizzato a impianti singoli; o il caso della installare l’antenna centralizzata), il legislatore è intervento emanando la legge 13 del 1989.
Tale normativa, ispirata al superamento delle barriere architettoniche prevede che: “le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche, di cui all’art. 27, primo comma della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all’articolo 1, primo comma del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978 n. 384, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all’interno degli edifici privati, sono approvate dall’assemblea del condominio in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall’articolo 1136, secondo e terzo comma del codice civile”.
La medesima norma stabiliva anche che l’impianto potesse essere adottato, derogando alle disposizioni del codice civile, sulle distanze.
Tenuto quindi conto che le assemblee condominiali, per motivi di praticità, si tengono sempre in 2° convocazione, la predetta legge ha introdotto la possibilità di installare l’impianto con delle maggioranze minime ossia 1/3 del valore dell’edificio ed 1/3 dei partecipanti al condominio.
Tuttavia il legislatore, con la disciplina di riforma, introdotta dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220, ha inserito all’art. 1120 i commi n. 1) e 2), stabilendo che per le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, occorrono le maggioranze dei millesimi e degli intervenuti in assemblea.
Come si può quindi evincere dalla lettura della predetta disposizione, il legislatore anziché adeguarsi alle “spinte innovative” introdotte dalle leggi speciali ed avallate dalla giurisprudenza, ha sostanzialmente fatto un passo indietro aumentando nuovamente, sebbene in misura intermedia rispetto al precedente assetto codicistico, le maggioranze necessarie per ottenere la installazione dell’ascensore.
Né è lecito ritenere che la legge speciale continui a spiegare i suoi effetti parallelamente a quella codicistica (come avveniva in passato).
Si noti infatti che la nuova formulazione dell’art. 1120 c.c. interviene a disciplinare la identica materia oggetto della lex specialis ossia “il superamento delle barriere architettoniche” per cui deve ritenersi che, in tal modo, vi sia stato l’effetto sostitutivo automatico con riferimento allo specifico quorum richiesto per la materia in esame (da segnalare che per la prima volta nel contesto del codice si parla di “eliminazione delle barriere architettoniche”).
Avendo peraltro il legislatore seguito il medesimo sistema ossia la maggioranza di cui al 2° comma dell’art. 1136 anche per casi e tutele analoghe sempre ispirati alla semplificazione dei quorum, dobbiamo ritenere che il legislatore abbia dimenticato di collegare le proprie scelte, alle innovazioni legislative già realizzate.
Ciò risulta ancora più grave se si considera che attorno alla legge 13 e, in particolare alla modalità di deroga di cui alle maggioranze ordinarie, si era formato un cospicuo orientamento giurisprudenziale rivolto a tutelare e preservare la facoltà di installare l’ascensore seguendo criteri ispirati a favorire tale realizzazione.
Degne di nota, in tal senso sono:
– la sentenza 25.10.2012 n. 18334 della Cassazione Civile che ha ritenuto valida la delibera adottata con il minor quorum di cui alla legge 13 precisando che: “secondo una lettura costituzionalmente orientata e in applicazione sia del principio di solidarietà condominiale che della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità 13 dicembre 2006, ratificata con l. 3 marzo 2009 n. 18, la deliberazione di installazione di ascensore con una maggioranza inferiore a quella prescritta dall’art. 1120 c.c. è valida anche in mancanza di specificazione del fine di eliminazione delle barriere architettoniche ai sensi dell’art. 2 L. n. 13 del 1989 e, altresì, in assenza di disabili nell’edificio, in quanto nella stessa è immanente la finalità legittima di consentire l’accesso ai portatori di handicap senza difficoltà in tutti gli edifici e non solo presso la propria abitazione, essendo ostativo non il mero disagio bensì solo l’inservibilità della cosa comune al godimento e uso anche di un solo condomino intesa come concreta inutilizzabilità secondo la sua naturale fruibilità, con la salvaguardia comunque del decoro architettonico e la sicurezza da valutare, però, nella loro essenzialità ed incidenza negativa non minimale”.
– quelle rivolte a definire i contorni della legittimità della delibera, adottata con tale legge. Prima di menzionare tale orientamento, occorre fare una precisazione.
Difatti l’art. 1 delle legge 13/89 all. n. 3 riconosce quale limite alla facoltà di installare l’ascensore il rispetto dei confini di cui all’art. 1120 2° comma, nel senso che l’opera innovativa, non può mai recare pregiudizio alla stabilità e sicurezza del fabbricato; alternane il decoro architettonico; rendere taluni beni comuni inservibili all’uso o anche al godimento di uno solo dei condòmini.
Dunque l’impianto nella sua consistenza o collocazione non può mai violare detti limiti e, una eventuale delibera che li pregiudichi, deve essere considerata nulla.
In genere il contrasto più frequente è quello della limitazione di uso delle parti comuni, a causa della installazione dell’impianto. Si pensi al caso dell’ascensore inserito nella tromba delle scale che ne comporta il restringimento.
La Suprema Corte ha avuto più volte modo di chiarire gli ambiti del pregiudizio, precisando che non può trovare tutela il mero maggior disagio e scomodità rispetto alle situazione precedente ma, comparando le esigenze tutelate dalle norme, riconosciute da principi costituzionali ossia la tutela della salute (32) e la funzione sociale della proprietà (42) e rivolte a rimuovere l’ostacolo della agevole accessibilità da parte di persone portatrici di handicap (tra le quali erano ricompresi anche gli anziani) alle proprie abitazioni, ha precisato che: “Nel conflitto tra le esigenze dei condòmini disabili abitanti ad un piano alto, praticamente impossibilitati, in considerazione del loro stato fisico, a raggiungere la propria abitazione a piedi, e quelle degli altri partecipanti al condominio, per i quali il pregiudizio derivante dall’installazione di ascensore, si risolverebbe non già nella totale impossibilità di un ordinario uso della scala comune ma soltanto in disagio e scomodità derivanti dalla relativa restrizione e nella difficoltà di usi eccezionali della stessa, vanno privilegiate le prime, adottando una soluzione conforme ai principi costituzionali della tutela della salute (art. 32) e della funzione sociale della proprietà (art. 42), rimuovendo un grave ostacolo alla fruizione di un primario bene della vita, quello dell’abitazione, da parte di persone versanti in condizioni di minorazione fisica e riconoscendo la facoltà, agli stessi, di apportare a proprie spese una modifica alla cosa comune, sostanzialmente e nel complesso migliorativa, in quanto suscettibile di utilizzazione anche da parte degli altri condomini” (Cassazione Civile, sez. II, 14.02.2012 n. 2156”).
INSTALLAZIONE INDIVIDUALE
Seconda strada per ottenere l’installazione dell’ascensore, è quella che possiamo definire “individuale” nel senso che ciascun condomino o gruppo di condòmini, può ottenere la installazione dell’impianto purché ne assuma in proprio le spese. Tale facoltà trova fonte nell’art. 1102 del codice civile che prevede che: “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per un miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso”.
Dunque, presupposto per percorrere il rimedio individuale è che il richiedente:
– adotti l’opera a propria cura e spese senza mutare la destinazione della cosa comune né impedire agli altri di fare parimenti uso.
Anche in tal caso la giurisprudenza si è adeguata, ritenendo valido il principio della particolare tutela della accessibilità alle abitazioni per cui tende a dare maggior rilievo a tale diritto, rispetto a quello della limitazione del godimento in danno degli altri contitolari.
“In tema di condominio l’installazione di un ascensore, al fine dell’eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un cortile e di un muro comuni, deve considerarsi indispensabile ai fini della accessibilità dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento e rientra pertanto nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 c.c. senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi la disciplina dell’art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo a essa operato nell’art. 3, comma 2, L. n. 13 del 1989, non trovando detta disposizione applicazione in ambito condominiale” (Cassazione Civile, sez. II 30.06.2014 n. 14809)
DISTANZE TRA GLI EDIFICI
Altro argomento spinoso è infatti quello delle distanze tra edifici.
È noto, infatti, che l’ascensore è tecnicamente una “costruzione” per cui teoricamente essa dovrebbe esser collocata a tre metri dalle singole proprietà e comunque dovrebbe preservate i diritti dei singoli anche in ordine alle vedute, rispettando tale parametro oggettivo di distanza. Senonché per le costruzioni in condominio, trattandosi di spazi ristretti, la pedissequa applicazione di tale parametro secondo le norme codicistiche che regolano le distanze ed i diritti ad essi connessi, renderebbe praticamente impossibile la realizzazione di qualsivoglia opera.
Ecco perché la giurisprudenza ha elaborato un concetto peculiare per gli edifici in condominio, precisando che le norme generali codicistiche sulle distanze trovano applicazione solo in quanto compatibili con la peculiare disciplina relativa ai beni comuni nel senso che se vi è contrasto tra esse, si applica la norma condominiale che prevale.
In particolare, a titolo di esempio, se il mancato rispetto della distanza legale non comporta comunque un pregiudizio apprezzabile nei termini di cui all’art. 1102 del codice civile (es. mi hai installato l’ascensore a meno di un metro dalla porta di ingresso ma la porta si apre lo stesso interamente), prevalgono le norme sui beni comuni con conseguente liceità della costruzione anche se posta a distanza inferiore rispetto a quella di cui agli articoli 873 e ss.