[A cura di: avv. Fabrizio Cardaci – Ape Torino Confedilizia] Il tema è di grande attualità: stando alle statistiche, in gran parte dei processi esecutivi immobiliari pendenti, il creditore procedente è un condominio. Il dato non è casuale, considerata la diffusa morosità nel pagamento degli oneri condominiali e i vantaggi che la procedura esecutiva immobiliare porta al creditore procedente, soprattutto se si tratta di condominio, rispetto ad altri strumenti espropriativi, in particolare ai procedimenti esecutivi mobiliari presso il debitore e ai pignoramenti presso terzi.
Ragionando sul breve termine, certamente questi ultimi due mezzi esecutivi appaiono più convenienti e veloci, ma sul medio-lungo periodo appare più efficace l’esecuzione immobiliare. Vediamo in concreto il perché.
L’esecuzione mobiliare presso il debitore mira a pignorare i beni mobili del condomino moroso e a provocarne la vendita forzata al fine di soddisfarsi sul ricavato: tale operazione ha costi relativamente ridotti (sono sufficienti poche decine di euro per ‘caricare’ l’atto agli ufficiali giudiziari competenti) e tempi sulla carta più rapidi per il completamento della procedura, stante il minor numero di incombenze processuali. Tuttavia, tale mezzo presenta un alto rischio di insuccesso, in primo luogo a causa della difficoltà di reperire beni mobili utilmente pignorabili: spesso l’ufficiale giudiziario non riesce neppure ad entrare nel domicilio del debitore (per esempio perché questi, al momento dell’accesso, è assente o, nei casi più critici, si finge tale), rendendo necessari nuovi accessi e/o la presentazione di una istanza apposita al giudice per ottenere l’autorizzazione all’accesso forzoso. Una volta entrato nel domicilio del debitore, sia se adibito ad abitazione sia se adibito ad attività professionale, l’ufficiale giudiziario incontra l’ulteriore limite stabilito dagli artt. 514 e 515 c.p.c., ovverosia l’impignorabilità di una lunga serie di beni (ad es. la lavatrice, la cucina, i beni strumentali alla professione etc…): ciò comporta che, nella pratica, siano pignorati beni dal modico valore commerciale o comunque dalla rapida obsolescenza tecnologica (per esempio, computers, televisori, stampanti etc).
In secondo luogo, quand’anche l’ufficiale giudiziario riesca a pignorare uno o più beni mobili appartenenti al debitore e il valore di tali beni sia reputato idoneo a soddisfare le ragioni del creditore, capita sovente che i beni restino invenduti o che comunque il ricavato sia notevolmente inferiore alla stima iniziale, al punto che con esso sia possibile pagare le sole spese di esecuzione (cioè il compenso dell’avvocato, il compenso del custode, il compenso del soggetto che ha curato la vendita, il contributo unificato) senza che al creditore resti alcunché o comunque poche briciole.
L’altro mezzo di espropriazione forzata, il pignoramento presso terzi, può rivelarsi decisamente più proficuo laddove si riesca a pignorare un conto corrente – capiente – del debitore o un credito da lavoro o di altro genere. Ma anche in questo caso ci sono alcune incognite ed alcuni limiti: le incognite sono costituite dal materiale reperimento di crediti utilmente pignorabili, in quanto occorre individuare gli istituti di credito presso cui il debitore ha un conto corrente e sperare che gli stessi siano capienti al momento della notifica dell’atto di pignoramento: lo stesso vale per i crediti da lavoro subordinato, per i quali è necessario conoscere l’identità del datore di lavoro. I limiti sono costituiti dalla misura della pignorabilità dei crediti da lavoro subordinato e dei crediti della pensione stabiliti dall’art.545 c.p.c., che, al comma sette, dispone: “Le somme dovute a titolo di pensione…(omissis…) non possono esse pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo e quarto comma”. A loro volta, i commi terzo e quarto dispongono: “Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato. Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito”.
Ad oggi, la misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà, ammonta a circa 680 euro. Quindi se, per esempio, il debitore percepisce una pensione netta di 1.200 euro mensili, è possibile sottoporre a pignoramento la sola somma eccedente i 680 euro (quindi 1.200-680 = 520 euro). Su tale eccedenza opera l’ulteriore limite della pignorabilità nella misura di un quinto (e quindi 520:5 = 104 euro). Analoghe limitazioni valgono per i conti bancari o postali intestati al debitore, sui quali siano accreditati lo stipendio o la pensione: la disciplina è contenuta nell’art. 545 comma ottavo.
Tali limiti producono spesso una consistente dilatazione dei tempi di recupero del credito, posto che, come visto, alla fine della procedura si ottengono pagamenti mensili di poche centinaia (se non addirittura decine) di euro. Infine, le procedure di cui sopra sono risolutive solo quando si ha a che fare con una morosità episodica (ovverosia quando il debitore ha omesso di pagare le spese condominiali relative ad un certo esercizio e poi ha ripreso regolarmente i pagamenti). Occorre però considerare che molto spesso la morosità del condomino è irreversibile – perché espressione di una crisi finanziaria cronica – o comunque continuativa, sicché nel tempo necessario a recuperare il credito per una o più annualità di spese, si formano altri debiti per le annualità successive e il condominio si trova a dover cominciare daccapo un’azione nei confronti del medesimo proprietario moroso.
La procedura esecutiva immobiliare, dal canto suo, presenta certamente alcuni elementi disincentivanti nel breve periodo: il costo, prima di tutto, è molto consistente e deve essere anticipato dal creditore procedente (tra spese di notifica del pignoramento, spese per la trascrizione, spese per le certificazioni ipocatastali, compenso del perito nominato dal Tribunale, compenso del professionista delegato alla vendita, compenso del custode, costo della pubblicità, contributo unificato, compenso dell’avvocato ed altre spese, possono ‘partire’ svariate migliaia di euro).
In secondo luogo i tempi, posto che la trafila processuale può impiegare, a seconda dei tribunali, alcuni anni per giungere a compimento (mediamente da due in su). In ultimo, spesso l’immobile pignorato è gravato da ipoteca a favore di un istituto di credito, il quale alla fine della procedura assorbe tutto il ricavato della vendita, sicché per gli altri creditori la procedura è incapiente.
Nonostante tali svantaggi, nell’ottica della risoluzione definitiva del problema condominiale l’esecuzione immobiliare risulta molto spesso efficace.
Primo importante tassello, in tale ottica, è costituito dalla prededuzione delle spese di esecuzione: per legge, il ricavato dell’espropriazione forzata deve essere attribuito primariamente a copertura delle spese sostenute dal creditore procedente (a partire dall’atto di pignoramento fino a completa esecuzione) con preferenza anche su eventuali creditori ipotecari: ciò significa che il condominio procedente ha in ogni caso ottime chances di rientrare – quanto meno – delle spese di esecuzione, cosicché l’operazione risulta per lui a costo zero.
In secondo luogo – e questo è l’aspetto di maggior rilievo – a seguito dell’esecuzione e della vendita forzata pubblica il condomino moroso viene appunto espropriato della proprietà del bene immobile e sostituito da altro soggetto (l’aggiudicatario), che diviene condomino al suo posto (allo stesso modo di una normale vendita tra privati).
L’esecuzione produce cioè la “purgazione” del condominio dal soggetto moroso, con cessazione dell’emorragia monetaria determinata dai mancati pagamenti continuativi delle spese condominiali (non è raro trovarsi di fronte a ‘buchi’ di decine di migliaia di euro, accumulatisi negli anni).
In terzo luogo, si deve ricordare che in base all’art. 63 disp. att. c.c., “chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente”: ciò comporta che a prescindere dalla capienza della procedura esecutiva per il condominio, quest’ultimo può recuperare dal nuovo proprietario fino a due annualità delle spese deliberate.
In conclusione, quando ci si trova di fronte ad una morosità nel condominio, per poter scegliere quale strategia adottare per il recupero del credito occorre tentare di capire se si tratta di una momentanea crisi di liquidità o se il mancato pagamento è conseguenza di una crisi irreversibile o difficilmente reversibile del debitore: nel primo caso, falliti i tentativi stragiudiziali (solleciti, diffide legali, proposizione di piani di rientro et similia) si può optare per una delle procedure esecutive mobiliari (previo ottenimento del titolo esecutivo, ovviamente). Nel secondo caso, visto che la situazione è virtualmente irrecuperabile, è preferibile adottare una strategia di lungo periodo e quindi colpire l’immobile in condominio al fine di ottenere, più che il rientro dei denari, la sostituzione del condomino.