[A cura di: Lucia Rizzi, presidente Anapic – www.anapic.it] Quanto alla possibilità di tenere delle assemblee condominiali in relazione alla situazione epidemica, tuttora in corso, anche se con intensità diversa nelle varie regioni, credo che si debba tenere presente un dato imprescindibile: sono vietati gli assembramenti.
La ragione medica è nota, e comunque non sta a chi scrive addentrarsi in essa più di tanto: al momento vi è un numero indefinito di soggetti contagiati, molto probabilmente molto superiore a quello che emerge dagli esami e dai test (tamponi, esami sierologici, anticorpali ecc) finora eseguiti. In più molti soggetti sono o paucisintomatitici o asintomatici e, diversamente da quanto si dubitava nei primi giorni dell’epidemia, possono trasmettere il virus (diverso discorso per i soggetti guariti, sulla cui perdurante contagiosità, e per quanto tempo, sussistono dei dubbi).
È quindi evidente che, considerata la velocità con cui il Coronavirus si diffonde, ogni riunione di condominio rischia di diventare un focolaio.
Ne consegue che indire o partecipare a una riunione di condominio rischia di esporre i partecipanti al reato di procurata epidemia, consumata, se poi il focolaio si accende davvero, o tentata. E questo a prescindere dalla normativa emergenziale di fonte governativa.
Se poi esaminiamo tale normativa e ci limitiamo a un sommario esame della stessa, giungiamo alla stessa conclusione. Le deroghe al divieto di assembramento sono espressamente previste e circoscritte (per esempio i funerali, ma solo se partecipano meno di quindici persone). Fuori di questi casi, vige il divieto. Del resto, se sono vietate – come sono vietate oggi, 30 aprile 2020, se si esamina la normativa che entrerà in vigore il 4 maggio – le riunioni private tra parenti, a maggior ragione sono vietate quelle tra amici e, a ragione ancora maggiore, quelle tra chi amico non è, ma semplice vicino di casa.
Questo, con un salto logico, esclude la possibilità di assemblee tenute in parte con modalità telematica, in parte in presenza. La parte in presenza, foss’anche di pochi condòmini, è da ritenersi proibita.
La disamina degli ostacoli che impediscono possano svolgersi le riunioni di condominio sarebbe incompleta se non se ne menzionassero almeno altri due: per recarsi all’assemblea di solito è necessario spostarsi e lo spostamento non appare giustificato da ragioni di lavoro, salute, assoluta urgenza. Pertanto, il condomino, ma anche l’amministratore, che vi si rechi fisicamente è passibile di sanzione.
Il secondo ostacolo è più un’obiezione preventiva a una possibile eccezione: “E se si sanificasse il luogo dove deve tenersi la riunione e la stessa venisse tenuta osservando le distanze?”. In primo luogo, è evidente che questo farebbe salire il costo della riunione – e ciò è più che sufficiente a smorzare qualunque volontà assembleare – in secondo luogo, essere condomino non è, comunque, un lavoro, quindi la normativa predisposta o predisponenda per consentire i raggruppamenti di persone in sicurezza non è applicabile alle riunioni di condominio.
Last but not least, nella malaugurata ipotesi in cui un condomino si ammalasse, penso che potrebbe accusare l’amministratore, ritenendolo responsabile sotto il profilo amministrativo, civile e penale.
Pertanto, penso che gli amministratori possano efficacemente e con sicurezza, da un lato opporsi a qualunque richiesta di indire una assemblea, in qualunque modo la richiesta venga avanzata (e quindi anche tramite raccolta firme da parte dei condòmini), dall’altro, e specularmente, penso che il NON aver tenuto l’assemblea in questo particolare periodo, e finché esso dura, non possa costituire fonte di responsabilità né, a maggior ragione, causa di revoca. La normativa speciale posteriore (come quella legata al Coronavirus) infatti, deroga sempre alla normativa generale precedente (quella codicistica) e prevale su di essa.
Quid quanto alle assemblee telematiche che i condòmini ansiosi di entrare in assemblea (?) dovessero pretendere? Anche qui è necessario smorzare un po’ di bollenti spiriti.
In primo luogo, è necessario che tutti i condòmini abbiano dispositivi adeguati e così anche l’amministratore (il che vuol dire protetti da virus, ma stavolta informatici). Se anche un solo condomino ne fosse privo, potrebbe impugnare la delibera perché non è stato convocato oppure perché l’assemblea si è tenuta con modalità che gli hanno obbiettivamente impedito di partecipare. Senz’altro è motivo di annullabilità, forse di nullità.
Ricordiamo che la legge non impone ai soggetti di aver questo o quel dispositivo informatico. Anzi, non impone neppure il collegamento a internet. Del resto, se la famosa o famigerata o fantomatica app “Immuni”, concepita per la tutela della pubblica salute, è installata su base volontaria, a maggior ragione non si può imporre una app o qualche altro strumento per partecipare a una riunione di condominio.
In secondo luogo, ricordiamo che il condominio continua ad essere un “ente di gestione” cui è applicabile, ma con cautele e adattamenti più pratici e giurisprudenziali che legislativi, la disciplina societaria. Allo stato, le società ovviano alla impossibilità dei collegamenti in presenza ricorrendo ai programmi di visione a distanza. Ciò impone, o imporrà, allorchè il fenomeno si diffonderà anche nei condomini (anzi: se si diffonderà) un certo ordine.
Escluse le riunioni e le assemblee per telefono senza video, una riunione di condominio cui uno partecipa tramite Zoom, un altro tramite Microsoft Team, un terzo tramite Skype, un quarto magari tramite Instagram, il quindi o il sesto tramite Whatsapp o altri social rischia di assomigliare pericolosamente al campo di Agramante. Facile preconizzare impugnazioni, reiterazione di assemblee e, comunque, un destino funesto.
A prescindere dal profilo tecnico, da cui comunque non si potrà prescindere quando vi si arriverà, c’è da ricordare che alle assemblee societarie partecipa un notaio che, in quanto pubblico ufficiale, identifica i partecipanti e attribuisce valore di piena prova alla provenienza delle dichiarazioni da parte di colui che le ha rese. Ricordiamo però – se ce ne fosse bisogno – che l’amministratore non è un pubblico ufficiale; anzi, non essendoci un albo come quello delle professioni regolamentate, non ci sono neppure i presupposti per attribuirgli funzioni pubbliche eccezionali (come accade per gli avvocati allorchè certificano che il soggetto che firma la procura ad litem è effettivamente quel soggetto, il che – vista la situazione emergenziale – sta cambiando alcuni orientamenti in punto di forma della procura stessa).
Potrebbe però l’amministratore far partecipare un notaio all’assemblea da remoto, cioè col notaio in studio con l’amministratore (entrambi stanno lavorando quindi non si porrebbe un problema di giusta causa della riunione e neanche di distanziamento sociale se tutti i protocolli in materia venissero rispettati) e, dall’altra parte dello schermo, tutti i condòmini regolarmente convocati? Probabilmente sì, in analogia a quanto avviene per le società.
Un altro aiuto potrebbe venire dalla posta certificata, che potrebbe essere usata per spedire e inviare pec con le deleghe da parte dei soggetti assenti e, forse, persino il voto se espresso in assemblea (cioè: anziché o oltre votare in video, il condomino potrebbe contestualmente inviare una pec nel momento in cui si vota). Naturalmente, si ripete, se tutti i condòmini hanno gli strumenti informatici adeguati.
Va da sé che questo comporterà un aumento delle spese condominiali, problema non piccolo nel periodo, prevedibilmente assai lungo, in cui il principale problema dei condòmini sarà pagare le spese condominiali (e questo smorzerà le volontà assembleari di molti consessi).
Su queste considerazioni, ma forse sono più proiezioni, inciderà evidentemente l’elaborazione dottrinale, legislativa, giurisprudenziale, i cui tempi e limiti ben conosciamo.
Sicché, forse, e anzi c’è da sperarlo, arriverà prima il vaccino.