[A cura di: avv. Carlo Besostri Grimaldi – Ape Torino Confedilizia – www.apetorino.it] Il Contratto di rendimento energetico è un contratto tipico, già regolamentato ex lege dall’art. 2, lettera l), del D.lgs. 30.05.08 nr. 115, che ne dava una definizione, poi ampliata con il D.lgs. 102/2014, che all’art. 2 prevede che il contratto di rendimento energetico o di prestazione energetica (EPC) sia: “l’accordo contrattuale tra il beneficiario o chi per esso esercita il potere negoziale e il fornitore di una misura di miglioramento dell’efficienza energetica, verificata e monitorata durante l’intera durata del contratto, dove gli investimenti (lavori, forniture o servizi) realizzati sono pagati in funzione del livello di miglioramento dell’efficienza energetica stabilito contrattualmente o di altri criteri di prestazione energetica concordati, quali i risparmi finanziari”.
Ai sensi della lettera m) dell’art. 2 del D.lgs. 115/2008 si definisce altresì «finanziamento tramite terzi» “l’accordo contrattuale che comprende un terzo, oltre al fornitore di energia e al beneficiario della misura di miglioramento dell’efficienza energetica, che fornisce i capitali per tale misura e addebita al beneficiario un canone pari a una parte del risparmio energetico conseguito avvalendosi della misura stessa. Il terzo può essere una ESCO”.
La lettera o) del citato articolo definisce, in ultimo, «strumento finanziario per i risparmi energetici» “qualsiasi strumento finanziario, reso disponibile sul mercato da organismi pubblici o privati per coprire parzialmente o integralmente i costi del progetto iniziale per l’attuazione delle misure di miglioramento dell’efficienza energetica”.
In sintesi, il decreto legislativo 102/2014 ha dato maggior forza al Contratto di rendimento energetico (o Epc, cioè Energy Performance Contracting) che prevede il pagamento dilazionato negli anni degli interventi di miglioria realizzati dal fornitore, che gli vengono pagati in funzione del risparmio energetico realizzato di anno in anno. In altri termini, con il Contratto di rendimento energetico, i condòmini, continuando per qualche anno a versare pressappoco l’importo delle gestioni precedenti, si ripagano l’intero investimento di efficientamento energetico dell’immobile.
Questo contratto tipico, però, è utilizzabile solo qualora l’intervento porti al miglioramento dell’efficienza degli usi finali dell’energia (intesa quest’ultima in tutte le forme di prodotti energetici, combustibili, energia termica, energia rinnovabile, energia elettrica o qualsiasi altra forma di energia). Il contratto può avere a oggetto opere sia sull’edificio (cappotto, coibentazione eccetera) sia sugli impianti (riqualificazione centrale termica, solare termico, fotovoltaico, termoregolazione e contabilizzazione). Il punto di partenza, quindi, è il costo annuo (in termini sia di energia sia economici) sostenuto dal condominio.
È pertanto necessario ricorrere ad una diagnosi energetica o a un attestato di prestazione energetica (Ape). A questo punto occorre ricordare il disposto dell’art. 26 della L. 10/1991 che, nella sua vigente formulazione, prevede che: “Per gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento del consumo energetico ed all’utilizzazione delle fonti di energia di cui all’articolo 1, individuati attraverso un attestato di prestazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali sono valide se adottate con la maggioranza degli intervenuti, con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio”.
La diagnosi energetica individua quali interventi effettuare al fine di ottenere un risparmio di energia e, quindi, anche economico. Vengono calcolati i potenziali risparmi (energetici ed economici) successivi agli interventi e il rapporto tra questi ed il costo necessario per ottenerli. Gli investimenti (lavori, forniture o servizi) sono poi pagati in funzione del livello di miglioramento dell’efficienza energetica stabilito contrattualmente o di altri criteri di prestazione energetica concordati, quali i risparmi finanziari.
Contrattualmente, quindi, una volta individuati i costi complessivi ed il risparmio annuo, verrà determinato il periodo contrattuale e l’importo (in relazione ai risparmi effettivamente conseguiti) che verrà pagato ratealmente. Ad esempio, si ipotizzi in 100 il costo iniziale annuo del riscaldamento per il condominio. Le opere comporteranno una spesa di 120. Successivamente ad esse, il costo annuale per il condominio riferito al riscaldamento a seguito del risparmio energetico, sarà di 60. Il risparmio di 40 verrà utilizzato per pagare l’investimento in 3 anni. Si potrà anche prevedere la restituzione in 6 anni in modo che una parte del risparmio vada subito a vantaggio del condominio.
Come anticipato, il Contratto di rendimento energetico, per legge, può prevedere, direttamente o tramite eventuali atti aggiuntivi, uno «strumento finanziario per i risparmi energetici», anche tramite terzi e cioè mediante un accordo contrattuale che comprenda un terzo, oltre al fornitore di energia e al beneficiario della misura di miglioramento dell’efficienza energetica, che fornisce i capitali per tale misura e addebita al beneficiario un canone pari a una parte del risparmio energetico conseguito avvalendosi della misura stessa.
In dottrina si è posto il problema della compatibilità di tale strumento finanziario con la fattispecie del condominio e le sue peculiarità. Pare a chi scrive che il ricorso a strumenti finanziari non sia precluso al condominio, ente che ha ormai assunto pacificamente soggettività giuridica. In particolare, la nuova natura dell’istituto stesso è stata sancita dalla Cass. Sez. Unite, 19663/2014, che attribuisce al condominio la soggettività giuridica, argomentando ex art. 1129 nr. 4, 1135 nr. 4 e 2659 c.c..
Il condominio è divenuto, quindi, un centro autonomo di imputazione di interessi e di un suo patrimonio. In particolare l’art. 1129, 12 co. nr. 4) cita espressamente tale “patrimonio del condominio”. La giurisprudenza di merito, sulla base di tali argomentazioni, si sta via via uniformando sulla titolarità del conto corrente bancario in capo al condominio (cfr. Tr. Brescia 30.05.14, Tr. Reggio Emilia 16.05.14, Tr. Milano e Pescara 27.05.14). A questo punto è facile osservare: ma se il condominio può e deve avere un suo conto corrente, è ovvio che potrà anche andare in “rosso” ed ecco fatto il mutuo.
La legittimità del ricorso allo strumento del finanziamento in sede condominiale è stata confermata dalla giurisprudenza di merito. Il Tribunale di Torino, con la sentenza 1672/2017 del 28.03.17, ha infatti statuito che “il ricorso al mutuo non è vietato al condominio come si evince dal disposto dell’art. 1108 ult. co. c.c. in materia di comunione che fa riferimento a somme mutuate per la ricostruzione o per il miglioramento della cosa comune (….) ed altresì dalla sentenza della Cassazione 1734/90 che presuppone, in astratto, il potere dell’assemblea di autorizzare l’amministratore a contrarre un mutuo”.
La pronuncia è preziosa altresì per altre importanti delucidazioni. Precisa, infatti, il Tribunale che in caso di contratto di rendimento energetico concluso con ricorso a strumenti finanziari “… non è applicabile la previsione legislativa di cui all’art. 1135 n. 4 c.c. in relazione alla costituzione di un fondo speciale per i lavori straordinari in quanto essa risulta chiaramente connessa a lavori straordinari per cui è necessario il pagamento in unica soluzione o in relazione a stati di avanzamento …”.
Affronta altresì la sentenza il tema del quorum deliberativo (che viene confermato essere quello di cui all’art. 26 della L. 10/1991), della necessaria partecipazione alla delibera anche di eventuali soggetti rinunciatari all’utilizzo dell’impianto di riscaldamento (tenuto conto del disposto dell’art. 1118 ult. co. c.c.), nonché del fatto che non sia necessaria la partecipazione dei conduttori alla delibera. In proposito, a chi scrive pare necessaria una precisazione in merito. L’art. 2 lettera m) del D.lgs. 115/2008 prevede espressamente l’addebito del finanziamento al “beneficiario” perciò a colui che fruisce del risparmio energetico. Non vi è dubbio che il fruitore del risparmio sia il conduttore. Peraltro, non si vede come questi possa essere sfavorevole ad un intervento che comporta generalmente un forte risparmio energetico (risparmio che, una volta finito l’addebito del finanziamento al beneficiario, ai sensi del citato art. 2 lettera m) del D.lgs. 115/2008) va a tutto vantaggio del conduttore.
Pare altresì che l’addebito al beneficiario, di cui alla citata norma, giustifichi il passaggio delle rate di mutuo in capo ad eventuali aventi causa dei condòmini, posto che Il mutuo è contratto nell’interesse condominiale (ed il condominio, si è visto, è un soggetto giuridico autonomo) e l’interesse condominiale è quello di utilizzare in modo oculato la spesa ordinaria corrente per la fornitura al fine di migliorare l’impianto.
In quest’ottica, il contratto di rendimento energetico è il contratto tipico per raggiungere l’obiettivo: realizzare il miglioramento dell’impianto attraverso la spesa corrente, così trasformando una spesa straordinaria in una spesa ordinaria. Il precedente del Tribunale di Torino pare di particolare importanza per la diffusione del contratto di rendimento energetico finanziato e del conseguente meccanismo virtuoso per la riqualificazione strutturale ed energetica dei condomini, in un momento di congiuntura in cui, nonostante la forte spinta degli incentivi fiscali, permane una sentita difficoltà a reperire i capitali per i pesanti interventi di trasformazione necessari sugli edifici.
L’auspicio è che la giurisprudenza si consolidi.