[A cura di: avv. Matteo Rezzonico – pres. Fna] Sono trascorsi più di quattro anni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, che ha introdotto nei condomini dotati di riscaldamento centralizzato l’obbligo di installazione di sistemi di contabilizzazione e termoregolazione del calore. I primi, attraverso l’utilizzo di opportuni ripartitori (sottocontatori per ciascuna unità immobiliare o contabilizzatori individuali per ciascun corpo scaldante) consentono di misurare i consumi di energia nei singoli appartamenti. Con le termovalvole applicate sui termosifoni è invece possibile scegliere la temperatura dei vari ambienti, abbassandola e alzandola a piacimento entro i limiti di legge. Il dlgs 102/2014, poi integrato dal dlgs 141/2016, non fa altro che attuare la direttiva europea 2012/27/Ue sull’efficienza energetica, che punta a ridurre gli sprechi, utilizzando strumenti tecnologici in grado di controllare direttamente i consumi.
Inizialmente la legge aveva previsto come termine ultimo per procedere all’installazione di termovalvole e contabilizzatori una data anteriore al 2017, con sanzioni comprese tra 500 e 2.500 euro per gli inadempienti. Viste le difficoltà riscontrate “sul campo”, il termine è stato prorogato al 30 giugno 2017, anche se ancora oggi sono numerosi i condomini non a norma.
Questo, purtroppo, non è l’unico problema a cui far fronte. La “rivoluzione del riscaldamento” ha, infatti, introdotto un nuovo criterio di ripartizione delle spese connesse al consumo di calore, che prevede una doppia quota, fissa e variabile, ma soprattutto una nuova tabella millesimale realizzata in base ai criteri contenuti nella norma tecnica Uni 10200. Realizzata nel 1993, nel corso degli anni la norma è stata più volte modificata ed è tuttora in corso un processo di revisione volto a risolvere alcune criticità.
L’obiettivo è rendere la Uni applicabile in qualsiasi condominio, diversamente da quanto avviene oggi, con molti edifici che sono esentati dall’obbligo di adottare i nuovi criteri e la nuova tabella. Ciò si verifica, ad esempio, nel caso in cui due alloggi dello stesso edificio abbiano consumi di calore molto diversi. Una situazione frequente negli stabili sprovvisti di isolamento termico, solitamente quelli costruiti prima degli anni Novanta. In casi simili – come ha chiarito lo stesso legislatore – è possibile applicare al consumo volontario una quota non inferiore al 70%, con la percentuale rimanente che può essere calcolata utilizzando le vecchie tabelle (riferendosi ai millesimi, ai metri quadri, ai metri cubi utili o ancora alle potenze installate).
A proposito di passato, prima che la contabilizzazione divenisse obbligatoria, le spese di riscaldamento erano suddivise in base ai criteri previsti nel regolamento contrattuale oppure in base ai cosiddetti “millesimi calore”, calcolati con differenti criteri che tenevano conto della superficie radiante, della cubatura netta nelle singole proprietà esclusive o ancora del numero degli elementi radianti. Oggi non è più così e ad eccezione dei casi in cui i condomini siano autorizzati a non adottare la Uni 10200, è a questa norma che bisogna sempre fare riferimento. E nulla può l’assemblea, anche se si esprime all’unanimità, o un regolamento di natura contrattuale che preveda altri criteri.
Affinché la Uni 10200 possa trovare una corretta applicazione in contesti differenti, occorre che sia rivisitata. Qualche passo in avanti è stato fatto, altri verranno. Per le seconde case, ossia per quegli “edifici ad utilizzazione discontinua e saltuaria”, sono stati introdotti nuovi criteri di calcolo per una più equa ripartizione delle spese. Un altro problema “pratico” risolto dal Comitato termotecnico riguardava le unità immobiliari non ancora vendute in edifici già abitati da altri condòmini. In presenza di impianti a distribuzione verticale, le dispersioni di calore presenti nelle tubazioni comuni erano, infatti, calcolate considerando riscaldati tutti gli appartamenti, compresi quelli vuoti. Per risolvere il problema, la commissione del Cti ha introdotto un coefficiente di uso che permette di calcolare i consumi tenendo conto dell’uso degli alloggi.
Il decreto legislativo 102/2014 (articolo 9, comma 5, lettera d) stabilisce – una volta installati i sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore – che le spese di riscaldamento fra i singoli condòmini siano ripartite in base ai criteri stabiliti dalla norma Uni 10200, attualmente in fase di revisione. Tale norma, elaborata dalla Commissione tecnica del Comitato termotecnico italiano, si basa su un principio cardine presente anche nell’articolo 26, comma 5, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, “Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”, ossia ciascun utente paga in base all’effettivo consumo registrato. Trattandosi di una norma inderogabile, non può essere messa in discussione da un regolamento condominiale di natura contrattuale e neppure modificata dall’assemblea di condominio, anche se quest’ultima si esprimesse in modo unanime. L’articolo 1418 del Codice civile, infatti, sanziona con la nullità i contratti o le singole clausole contrarie a norme imperative.
La Uni 10200 distingue due tipologie di consumi connessi al riscaldamento: volontari ed involontari. I primi prevedono una quota variabile e si riferiscono alle abitudini dei singoli condòmini, che regolano a loro piacimento, (nel rispetto dei limiti di legge), la temperatura dei caloriferi. I consumi involontari, al contrario, non dipendono dalle azioni degli utenti e riguardano soprattutto le dispersioni di calore dell’impianto, ricollegabili alla distribuzione di accumulo. Questi consumi vanno suddivisi in base ai millesimi di riscaldamento calcolati da un tecnico abilitato e tengono conto del fabbisogno energetico delle singole unità immobiliari, ossia della quantità di energia che ogni appartamento dovrebbe idealmente prelevare per mantenere una temperatura interna costante di 20 °C durante l’intero periodo in cui è attivo il riscaldamento. Nel calcolare il fabbisogno, il tecnico deve considerare solo le parti comuni ed eventualmente consigliare qualche modifica alle stesse (la realizzazione di un cappotto termico, la coibentazione del tetto, ecc). Sono invece escluse le migliorie che riguardano gli interni delle singole unità immobiliari (sostituzione degli infissi, isolamento delle pareti, ecc), considerati ai fini della redazione della tabella interventi irrilevanti.
La norma Uni, inoltre, prevede che le tabelle di fabbisogno siano utilizzate, oltre che per la ripartizione dei consumi involontari, per suddividere i costi gestionali e l’insieme di spese relative al godimento (ma non alla conservazione) del bene del servizio.
Per redigere la nuova tabella millesimale Uni 10200 occorre per prima cosa determinare la spesa totale e l’energia utile prodotta. Si procede quindi con il calcolo del costo unitario dell’energia utile, vale a dire il costo dell’energia all’uscita del generatore. Nel caso in cui lo stesso generatore, oltre che al riscaldamento, sia adibito alla produzione di acqua calda sanitaria, è necessario stabilire la quantità di energia prodotta per tale scopo. In casi come questi – come suggerito dall’Uni – la migliore soluzione è installare due contatori generali che misurino l’energia utilizzata per il riscaldamento e i consumi di acqua calda sanitaria. Il passo successivo consiste nel suddividere l’energia utile totale fra consumi volontari ed involontari e quindi ripartire l’energia utile volontaria in base alle letture dei contatori installati e l’energia utile involontaria in base ai millesimi di riscaldamento.
Esistono comunque dei casi in cui non è possibile tecnicamente applicare la norma Uni 10200 o non è proporzionato in termini di costi rispetto all’obiettivo del risparmio energetico. In tema, il dlgs 141/2016 – che ha modificato sul punto il Dlgs 102 – ha chiarito che ciò si verifica (anche, ma non solo), quando “…siano comprovate, tramite apposita relazione tecnica asseverata, differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l’edificio polifunzionale superiori al 50 per cento”. In casi simili, in presenza di una relazione tecnica che attesti la differenza di fabbisogno termico, l’assemblea può decidere di suddividere le spese calcolando almeno il 70% di consumo volontario e ripartendo la restante percentuale in proporzione ai metri cubi, ai metri quadri o ai millesimi di proprietà.
Per quanto riguarda la maggioranza necessaria per l’approvazione dei nuovi criteri di riparto, esistono due orientamenti.
Il primo prevede che la tabella Uni e i criteri debbano essere approvati dall’assemblea, con il voto utile della maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno i 500 millesimi, come previsto, tra l’altro, anche dall’articolo 26, comma 5, della legge 10/1991. Ferma restando la possibilità per ogni condomino di contestare la tabella e il criterio approvato in concreto, mediante l’impugnazione della delibera, a norma dell’articolo 1137 del Codice civile. Va da sé che in presenza di una prestazione energetica o diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le delibere si ritiene possano essere assunte con la maggioranza degli intervenuti ed almeno 333 millesimi, (articolo 26, comma 2, della Legge 10/1991).
Per il secondo orientamento, invece, visto il carattere inderogabile della norma non è necessaria alcuna delibera, con l’assemblea che deve limitarsi a votare (con la maggioranza semplice) l’affidamento dell’incarico al tecnico, che andrà a compilare la relazione tecnica sulle eventuali differenze di fabbisogno termico. Resta fermo il diritto del condomino di impugnare, ad esempio, l’assemblea che approvi il rendiconto, utilizzando un criterio di riparto delle spese di riscaldamento ritenuto illegittimo.
In tema di riscaldamento negli edifici condominiali, una delle questioni più controverse è quella relativa al distacco del singolo condomino dall’impianto centralizzato. Se in passato ciò poteva avere particolare rilievo, con l’introduzione della contabilizzazione obbligatoria il distacco ha perso molto del suo “appeal”, in quanto “il nuovo sistema” tiene conto anche del consumo effettivo. Detto ciò, l’articolo 1118, comma 4, del Codice civile prevede che «il condominio può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini. In tal caso, il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma».
Ci si è chiesti se la frase «…non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa» di fatto non renda sempre illegittima l’operazione. Ammettendo la legittimità del distacco, la giurisprudenza ha ritenuto che il condomino distaccatosi sia comunque tenuto al pagamento della quota fissa, (compresa quella relativa al consumo involontario), con esclusione della quota di consumo volontario. Per il Tribunale di Savona, (sentenza 12 dicembre 2017, n. 1446), è legittima la delibera assembleare che accolli – ancorché in presenza di un regolamento condominiale contrattuale particolarmente sfavorevole al distacco – al condomino distaccatosi dall’impianto termico le spese di consumo cosiddette “fisse”, comprese quelle relative al consumo involontario, il cui computo è previsto da una norma inderogabile, vale a dire il dlgs 102/2014 e di riflesso la Uni 10200. In particolare, secondo i giudici «tale orientamento deve ritenersi condivisibile in quanto l’art. 1138 c.c. non richiama l’art. 1118 u.c. c.c. tra le norme inderogabili; la clausola del regolamento non può dirsi immeritevole di tutela ex art. 1322 c.c., in quanto, tra le spese coperte con la quota fissa, potrebbero esservi anche i consumi relativi alle parti comuni. Lo stesso ordinamento giuridico guarda con favore al mantenimento di un impianto comune; in questo senso, si veda l’art. 4, comma 9, D.P.R. 2 aprile 2009, n. 59; non è, quindi, immeritevole di tutela una clausola che renda disagevole tale distacco».
Meno dubbi vi sono, invece, sulle spese di adeguamento della centrale termica alla norma Uni 10200, mediante l’installazione di contabilizzatori di calore ed altri interventi, che spettano anche al condomino distaccato, trattandosi di interventi imposti da una normativa pubblica ed inderogabile. Sul punto, il Tribunale di Roma (sentenza 19 giugno 2017, n. 12352) ha osservato che secondo un principio consolidato il condomino che abbia distaccato la propria unità immobiliare dall’impianto di riscaldamento centralizzato debba contribuire alle spese di manutenzione dell’impianto, rimanendo proprietario dell’impianto al quale non può rinunciare ai sensi dell’art. 1118 del Codice civile. Nel caso affrontato dal tribunale romano, era stato riconosciuto dalle parti che i lavori del cui riparto si discuteva avevano riguardato l’adeguamento della centrale termica, al fine di consentire l’installazione dei contabilizzatori di calore. Come dedotto dal condominio, si è trattato pertanto di una spesa non voluttuaria ma necessaria, dal momento che l’installazione dei contabilizzatori di calore è stata resa obbligatoria nei condomini a seguito dell’entrata in vigore del dlgs 102/2014.
Un ulteriore tema che crea dibattito concerne la contabilizzazione del calore nel supercondominio in cui è presente una centrale termica comune a più edifici. Sull’argomento i giudici di merito hanno osservato che la ripartizione delle spese di riscaldamento tra due condomini singoli, aventi in comune la centrale termica, deve rispettare se non i criteri previsti dal dlgs 102 del 2014 e dalla norma Uni 10200, quantomeno la normativa in materia di contabilizzazione del consumo, in base ai prelievi effettivi delle palazzine costituite in singoli condomini (fattispecie in cui era stato installato un contatore volumetrico tra i due singoli condomini).
Altra questione che crea dibattito riguarda le dispersioni di calore che – come si è visto – possono incidere sull’applicabilità o meno della Uni 10200. La norma prevede anche il calcolo di consumo di energia termica dei singoli locali, con la conseguenza che in caso di locali in cui il consumo di energia sia particolarmente elevato, in relazione ai prelievi involontari, il singolo condomino avrà una quantità di millesimi superiore a quella di altre unità immobiliari. Si pensi, ad esempio, alle unità posizionate al piano terra e a quelle ubicate all’ultimo piano degli edifici.
Sempre a proposito di dispersioni, una condivisibile giurisprudenza ha osservato che deve ritenersi quantomeno annullabile la delibera assembleare che non rispetti le norme Uni richiamate dal dlgs 102/2014. E quindi, nella redazione del progetto di contabilizzazione e ripartizione delle spese di consumo del riscaldamento, è necessario tenere conto delle dispersioni di calore. Non sarebbe conforme alla normativa vigente e alla Uni 10200 non attribuire un valore – ancorché ipotetico e forfettario – alle dispersioni dell’impianto centrale che vadano a vantaggio di proprietà esclusive. Come nel caso in cui i tubi di un impianto di riscaldamento centralizzato, attraversando gli appartamenti di proprietà esclusiva, apportino in favore degli stessi un vantaggio termico.