[A cura di: Flavio Chiodini, segretario nazionale FNA-CONFAPPI] Ci si chiede spesso se è possibile parlare di servitù di parcheggio, e cioè se il parcheggio delle autovetture su un suolo possa essere suscettibile di costituire servitù, alla stregua del requisito della predialità, della realità del diritto di servitù e della tipicità dei diritti reali.
Secondo l’opinione prevalente, il parcheggio di autovetture su un’area può costituire legittima manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo, ma non anche estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù, caratterizzato dalla cosiddetta realitas, intesa come inerenza al fondo dominante dell’utilità (cosi come al fondo servente del peso). Invece la mera utilità di parcheggiare l’auto, per specifiche persone che accedono al fondo (anche se numericamente limitate) non può in alcun modo integrare gli estremi dell’utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi in un vantaggio soltanto personale.
Per Cassazione (23708/2014) la pretesa utilizzazione del suolo a parcheggio non può rientrare nello schema di alcun diritto di servitù, né di altro diritto reale.
Se infatti il parcheggiare l’auto può essere una delle tante manifestazioni di un possesso a titolo di proprietà, non può invece dirsi che tale potere di fatto sia inquadrabile nel contenuto di un diritto di servitù, posto che caratteristica tipica di detto diritto è la “realità” e cioè, l’inerenza al fondo dominante dell’utilità, cosi come al fondo servente del peso. E, dunque, la comodità di parcheggiare l’auto, per specifiche persone che accedono al fondo, non può valutarsi come un’utilità inerente al fondo stesso, ma come un vantaggio del tutto personale dei proprietari.
Nel nostro sistema giuridico, infatti, non sono ammissibili servitù personali (ovvero irregolari), intese come limitazioni al diritto di proprietà su una cosa, a beneficio di una persona. Con la conseguenza che la convenzione attraverso la quale si raggiunga detto risultato o è costitutiva di un diritto d’uso oppure rientra nello schema della locazione o dei contratti affini, quali l’affitto o il comodato. In entrambi i casi, il diritto trasferito è di natura personale e il suo contenuto è di carattere obbligatorio, e pertanto non è trasferibile.
Sulla stessa lunghezza d’onda ci si è domandato se, in materia, possa farsi ricorso alle azioni possessorie, di spoglio e di manutenzione, relativamente al parcheggio.
In linea di principio, deve osservarsi che l’insussistenza del carattere della predialità e della realità del parcheggio dovrebbe portare all’affermazione dell’inammissibilità delle azioni possessorie.
Secondo Cassazione 16974/2007, nel giudizio possessorio assume rilievo esclusivo la situazione di fatto esistente al momento dello spoglio e della turbativa, con la conseguenza che per l’esperimento delle azioni di reintegrazione o di manutenzione è sufficiente un possesso qualsiasi anche se illegittimo o abusivo o di mala fede, purché abbia i caratteri esteriori della proprietà o di altro diritto reale e il potere di fatto non venga esercitato per mera tolleranza dell’avente diritto. Pertanto, in tema di reintegro del possesso di una servitù per esempio di passaggio, non è necessario che esistano, com’è invece richiesto per l’usucapione, opere visibili e permanenti destinate all’esercizio del passaggio, ma è sufficiente la prova che il transito sia stato effettuato dall’attore nella sua qualità di possessore di un fondo vicino a quello attraversato e non già come un qualsiasi occasionale passante.
Quanto ai rapporti tra parcheggio e usucapione, occorre tener conto – al di là del requisito della predialità – che ai fini dell’usucapione è sempre necessario che la servitù sia apparente, alla stregua dell’art. 1061 c.c., per il quale le servitù non apparenti non possono acquistarsi per usucapione o per destinazione del padre di famiglia.
E, dunque, una servitù di sosta e di parcheggio di autoveicoli non è apparente e non può acquistarsi per usucapione quando venga esercitato in un luogo in cui non esistono opere permanenti, le quali manifestino in modo univoco appunto la destinazione a sosta o a parcheggio.
Per giurisprudenza consolidata, invero, il requisito dell’apparenza è legato a una situazione oggettiva di fatto, per sé rivelatrice dell’assoggettamento di un fondo a un altro, per la presenza di opere univocamente destinate all’esercizio della servitù: conseguentemente l’apparenza dipende dalle oggettive caratteristiche delle opere e non dal modo in cui vengono utilizzate.