Con l’approssimarsi della scadenza elettorale del 4 marzo, si moltiplicano gli appelli alle forze politiche. Ultimo in ordine di tempo, quello di Arco (Amministratori e Revisori contabili condominiali) “per mettere mano – presto e bene – all’istituto del condominio ed alla regolamentazione della professione di amministratore”.
Secondo l’associazione, “è necessario lavorare alla riforma della riforma del condominio (L. n. 220/2012) che, a distanza di quasi 5 anni, non ha sortito gli effetti sperati. I conflitti in condominio aumentano e la giurisprudenza schizofrenica pure. Occorre riscrivere numerosi passaggi della legge 220 e farlo anche bene. E perché ciò avvenga, è necessario che il nuovo legislatore presti orecchio alle doglianze ed ai suggerimenti degli addetti ai lavori. Ma non solo. Occorre che si riveda, una volta per tutte, l’inquadramento giuridico della professione di amministratore. Le osservazioni dell’Antitrust degli anni ’90 oggi non hanno più ragione di esistere e la rilevanza sociale della professione è sotto gli occhi di tutti”.
“Arco non ci sta – rincarano la dose – ad un utilizzo di comodo della figura dell’amministratore da parte dello Stato quando serve a far da sentinella ed alleato fiscale, per poi mortificarlo quando lo si costringe a lavorare in un mercato fatto di concorrenza sleale, esercitata da improvvisati, operatori in nero e doppiolavoristi che costringono a prezzi da fame i professionisti seri e diligenti che impegnano quotidianamente risorse e sacrifici per onorare l’etica professionale.Aspettiamo, inoltre, con trepidazione, gli sviluppi sull’equo compenso anche per le associazioni senza Albo, sperando che, come purtroppo spesso accade, il tutto non si areni nei meandri della burocrazia dei nostri ministeri”.
Un’ultima battuta dal presidente nazionale di Arco, Francesco Schena: “La categoria degli Amministratori di condominio non ha nulla da invidiare alle altre professioni a cui è consentito operare nell’ambito di un contesto chiaro, definito e di garanzia, anche per gli stessi clienti. Non siamo i figliastri di nessuno e la possibilità di ottenere dei risultati dipende soltanto dall’unità della categoria, che deve cominciare a parlare un linguaggio politico comune attraverso la seppur numerosa rappresentanza. È giunto il tempo di essere ascoltati, perché diversamente cominceremo a pensare a forme organizzate di protesta ed astensioni ad hoc. Urge anche l’istituzione di un Albo presso il Ministero della Giustizia”.