[A cura di: Erio Iurdana – presidente Confappi Torino] Come avviene in qualsiasi altra comunità, anche all’interno del condominio per garantire la civile convivenza dei partecipanti è necessario che gli stessi osservino determinate regole. Sul punto, l’articolo 1138 del Codice civile dispone che «quando in un edificio il numero dei condòmini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione».
La norma precisa poi che «ciascun condomino può prendere l’iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente» aggiungendo che il regolamento deve essere approvato dall’assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell’articolo 1136 (vale a dire con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio) e allegato al registro dei verbali tenuto dall’amministratore di condominio.
Il regolamento, come prevede l’articolo 1107 del Codice civile, può essere impugnato davanti all’autorità giudiziaria da ciascuno dei partecipanti dissenzienti entro trenta giorni dalla deliberazione che lo ha approvato. Per gli assenti il termine decorre dal giorno in cui è stata loro comunicata la deliberazione. L’autorità giudiziaria decide con un’unica sentenza sulle opposizioni proposte e una volta decorso il termine dei trenta giorni senza che il regolamento sia stato impugnato, questo ha effetto anche per gli eredi e gli aventi causa dai singoli partecipanti.
Il Codice precisa che le norme contenute nel regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni contenute negli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136, 1137.
I regolamenti condominiali non sono tutti uguali. Ne esistono tre tipi, ciascuno dei quali con caratteristiche differenti.
Il più importante è senza dubbio il regolamento contrattuale, l’unico dei tre che può porre delle limitazioni ai diritti soggettivi dei singoli condòmini, ad esempio quelli che riguardano l’utilizzo delle parti comuni e delle proprietà esclusive. Questo documento, richiamato negli atti d’acquisto, si fonda sul consenso di tutti i condòmini ed è solitamente predisposto dal costruttore dell’edificio nonché accettato dai proprietari delle singole unità immobiliari. È pacifico che per l’approvazione e la modifica del regolamento contrattuale sia necessario il voto unanime dei condòmini.
Cosa accade, però, se una norma emanata da enti superiori (Stato, Regione e Comune) mette in discussione una disposizione del regolamento? La legge di riforma del condominio 220/2012, ad esempio, ha aggiunto un ultimo comma all’articolo 1138 del Codice civile, prevedendo che «le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici». Se appare chiaro che con l’entrata in vigore della legge 220/2012 non sia più possibile inserire il divieto nel regolamento contrattuale, più complesso è capire se il veto permanga anche nel caso in cui sia contenuto in un regolamento approvato prima dell’entrata in vigore della legge di riforma. In attesa che la Cassazione chiarisca la questione, al momento c’è chi è convinto che la legge non abbia valenza retroattiva e che quindi il divieto resista.
Una seconda corrente di pensiero, al contrario, sostiene che il nuovo comma del Codice civile vada a incidere anche sui regolamenti contrattuali passati, che quindi andrebbero “adattati” a quanto previsto dal legislatore.
Il secondo tipo di regolamento è definito assembleare, in quanto approvato dall’assemblea di condominio con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, che rappresenti almeno i 500 millesimi del valore complessivo dello stabile. Lo stesso quorum è richiesto per eventuali modifiche.
Un regolamento assembleare contiene una serie di disposizioni generali inerenti l’indirizzo del condominio, la sua composizione, nonché la descrizione del fabbricato. E ancora, l’elenco delle parti comuni, divisibili e indivisibili, all’interno dell’edificio; le norme sull’uso e sull’esercizio delle parti comuni; le norme di comportamento, contenenti obblighi e divieti; i criteri per la ripartizione delle spese comuni, con un richiamo alla tabella millesimale e alle tabelle che contengono i millesimi d’uso; l’indicazione degli organi del condominio.
Il terzo e ultimo tipo di regolamento è definito “giudiziale” in quanto approvato dall’autorità giudiziaria qualora l’assemblea non riesca a raggiungere la maggioranza prevista per il via libera. L’articolo 1105 del Codice civile dispone, infatti che «…se non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero, se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria».
Sulla questione è intervenuta anche la Corte di Cassazione, che con la sentenza n, 1218 del 10 febbraio 1993 ha osservato come «i regolamenti condominiali non approvati dall’assemblea ma adottati coattivamente, in virtù di sentenza attuativa del diritto potestativo di ciascun partecipe di condominio con più di dieci componenti di ottenere la formazione del regolamento della comunione, in necessaria correlazione con la natura del titolo giurisdizionale che ne costituisce la fonte, hanno autoritativamente, ai sensi dell’art. 2909 cod. civ., efficacia vincolante per tutti i componenti della collettività condominiale, indipendentemente dalla circostanza che la loro adozione sia avvenuta nel dissenso, totale o parziale, di taluno di essi, allorché la pronuncia che ne abbia sanzionato l’operatività sia divenuta non più impugnabile e, quindi, definitiva ed irretrattabile».
Come si accennava in precedenza, anche un regolamento di natura contrattuale non può modificare le disposizioni contenute in alcuni articoli del Codice civile. Si tratta delle cosiddette “norme inderogabili” ossia:
Infine, come previsto dall’articolo 70 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile, «per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800» con la somma che è devoluta al fondo di cui l’amministratore dispone per le spese ordinarie. La norma specifica inoltre che l’irrogazione della sanzione è deliberata dall’assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.