[A cura di: avv. Rodolfo Cusano] Esaminiamo il caso in cui vi è stata una richiesta di risarcimento danni per caduta dalle scale condominiali e la sentenza sia stata resa a distanza di dieci anni nei confronti del condominio.
Nelle more, il nuovo condomino aveva comprato da quattro anni (prima della sentenza) l’immobile in condominio. È pur vero che, al momento della sentenza, egli era già acquirente, ma è altrettanto vero che la sentenza non ha fatto altro che dare ragione al danneggiato quantificando il suo diritto di credito nei confronti del condominio. Però, il diritto al risarcimento del danno era già sorto (tanto è vero che la sentenza riconoscerà anche il pagamento degli interessi, facendo retroagire i suoi effetti al momento della domanda).
Per tale motivo, l’unico obbligato al pagamento è il precedente proprietario. Infatti, nel caso in esame non siamo di fronte ad un onere reale, che come tale grava sull’immobile, ma ad un vero e proprio debito dovuto a titolo di risarcimento del danno che, come tale, non può che fare carico a chi era condomino al momento del verificarsi del fatto posto a fondamento della domanda. Quindi, il vero obbligato è chi era condomino al momento in cui il fatto è avvenuto, perché è in quel momento che è nata l’obbligazione che ha carattere obbligatorio e natura personale e non reale. Ciò a prescindere da quando è iniziata e quando è finita la causa.
Per completezza di disamina, è il caso di ricordare – anche se trattasi di fattispecie completamente diversa – che a seguito della riforma (L. 220/2012), che ha modificato l’articolo 63 disp. att. c.c., i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condòmini. Per cui, per le obbligazioni in condominio vi è il beneficio di poter opporre, in caso di esecuzione, l’eccezione relativa al fatto che il creditore deve prima procedere nei confronti dei debitori che non hanno pagato la loro quota e, solo dopo, nei confronti dei condòmini in regola con i pagamenti.
Nel condominio, prima della riforma introdotta con L. 220/2012, l’amministratore era informato delle generalità dei partecipanti al condominio in maniera alquanto informale. Il tutto, in pratica, era lasciato alla diligenza dell’amministratore uscente, che poteva trasmettere anche elenchi vecchi di anni e mai aggiornati. Inoltre, poteva anche accadere che l’elenco dei condòmini fosse stato redatto in maniera approssimativa e senza l’ausilio di quei criteri posti dalla dottrina per identificare il vero condomino.
Basti pensare, ad esempio, alla fitta casistica proposta nell’elenco che segue:
Potevano verificarsi casi, infatti, in cui l’amministratore, dopo aver dato corso all’azione esecutiva per la riscossione dei contributi condominiali, si poteva veder opporre al decreto ingiuntivo la cd. «carenza di legittimazione passiva», cioè l’opponente eccepiva di non essere affatto il proprietario dell’immobile in questione.
Le conseguenze sono facili da immaginare: a parte la perdita di tempo, anche il danno economico per la soccombenza in giudizio se non addirittura la prescrizione dello stesso diritto al credito. A ciò si aggiungano gli effetti disastrosi nella sfera giuridica dell’amministratore, che poteva essere chiamato a risarcire i danni arrecati ed addirittura revocato per mala gestio.
A porre fine a tali situazioni è intervenuto il legislatore della riforma (L. 220/2012) il quale, all’articolo 1130 c.c., ha espressamente previsto l’istituzione del registro di anagrafe condominiale, ponendone l’obbligo di tenuta a carico dell’amministratore. Detto registro deve contenere le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare. Ogni variazione dei dati deve essere comunicata all’amministratore in forma scritta entro sessanta giorni. L’amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l’amministratore acquisisce le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili.
Per il passato la giurisprudenza , in alcune pronunce, al fine di porre un qualche riparo alla questione, aveva ammesso la possibilità che l’amministratore si rivolgesse, in caso di richiesta di pagamento degli oneri condominiali, a colui che appariva come condomino. La motivazione fornita era basata sulla buona fede. In pratica, si ammetteva che l’amministratore del condominio potesse invocare il principio dell’apparenza del diritto, per giustificare il suo errore di terzo in buona fede, qualora avesse chiesto il pagamento della quota comune a colui che appariva come condomino. Sul punto si invocavano gli articoli 1123-1130 c.c. e 63 disp. att. c.c.. Di contro, non mancava, già in quegli anni, chi sostenesse la tesi opposta.
Con la sentenza in oggetto, la Corte di Cassazione non ha ritenuto sussistenti nei rapporti tra condominio e condòmini le condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dei terzi in buona fede, laddove il terzo può ricevere tutela qualora, senza sua colpa, abbia fatto affidamento su di una determinata situazione esistente solo in apparenza. Tale indirizzo era erroneo. In primo luogo perché l’amministratore non è terzo ma, quale rappresentante dell’ente di gestione, è parte del rapporto; poi perché non può considerarsi in buona fede l’amministratore che ha agito contro colui che appare come condomino e non lo è, perché è abbastanza agevole conoscere dell’effettività della posizione giuridica da quest’ultimo rivestita, attraverso la semplice consultazione dei registri immobiliari. La Suprema Corte ha così argomentato in una seconda circostanza mantenendo, fino ad oggi, il suo indirizzo uniforme: «Trattasi di un rapporto, che risultando da una situazione obiettiva quale è quella delle proprietà delle varie unità immobiliari, non può essere influenzata dal comportamento di alcuno, rispetto al quale è peraltro anteriore». Per cui non può surrettiziamente crearsi un obbligo a carico di un soggetto che invece la legge pone a carico di un altro soggetto. Si può concludere dicendo, che l’amministratore è sempre obbligato ad agire nei confronti del vero condomino.
La reintroduzione della figura del condomino apparente. In realtà con la riforma, almeno nel caso di vendita di un immobile non comunicato all’amministratore, è stata reintrodotta la figura del condominio apparente.
Infatti, l’art. 63, quinto comma, disp. att., c.c. ha stabilito che il venditore resta obbligato solidalmente con l’acquirente per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto. Per cui, anche se non è più proprietario sarà comunque, ex lege tenuto al pagamento degli oneri condominiali che l’amministratore gli potrà richiedere senza poter eccepire la sua carenza di legittimazione passiva.
Uno dei problemi inerenti le spese condominiali riguarda i termini di prescrizione. Infatti, il termine per esercitare il diritto di riscossione del condominio nei confronti del proprietario è, secondo unanime dottrina e giurisprudenza, di cinque anni. Diverso e più breve era, invece, il termine concesso al proprietario per la riscossione degli oneri condominiali nei confronti del suo inquilino. Infatti, detto termine era di soli due anni.
Vi è chi aveva sostenuto, invero, che anche qui si applichi l’articolo 2984, n. 3) del codice civile il quale dispone: “si pagano in cinque anni […] 3) le pigioni delle case e ogni altro corrispettivo delle locazioni“. Mentre altri sostenevano l’applicazione del termine più breve dei due anni in conformità di quanto disposto dall’articolo 6 della legge 841/1973 che stabiliva che il diritto al rimborso delle spese sostenute dal locatore per la fornitura dei servizi a carico, per contratto, del conduttore si prescrive nel termine dei due anni.
La Corte di Cassazione ebbe a precisare che nei contratti di locazione di immobili urbani il diritto del locatore al soddisfo di quanto pagato per oneri condominiali posti a carico del conduttore per contratto si prescrive, appunto, nel termine di due anni previsto dalla L. 841/1973 all’articolo 6. Ora il problema non sussiste più perché il legislatore vi ha posto rimedio al problema abrogando, con il D.L. 112/2008 convertito in L. 133/2008, la L. 841/1973, riportando il termine a cinque anni.
La riforma del condominio (L. 220/2012), nel modificare l’articolo 67 disp. att. c.c., ha chiarito anche la posizione dell’usufruttuario in merito al pagamento delle spese condominiali. La norma in esame, infatti, dopo aver chiarito che l’usufruttuario esercita il diritto di voto negli affari che attengono all’ordinaria amministrazione ed al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni (nelle altre deliberazioni, invece, il diritto di voto spetta al nudo proprietario) prevede espressamente una responsabilità solidale del nudo proprietario e dell’usufruttuario per il pagamento dei contributi dovuti all’amministrazione condominiale.
Tale nuova disciplina, prevista dall’articolo 67 disp. att. c.c., inoltre, nel disporre la solidarietà tra usufruttuario e nudo proprietario, non distingue tra spese ordinarie (che a norma dell’articolo 1004 c.c. competono all’usufruttuario) e spese straordinarie (che a norma dell’articolo 1005 c.c. spettano al nudo proprietario). Ciò significa che la ripartizione (tra usufruttuario e nudo proprietario) degli oneri condominiali, a seconda della natura ordinaria o straordinaria della spesa relativa, è lasciata alla disciplina dei loro rapporti interni, ben potendo il condominio pretendere l’intero importo dovuto sia dall’uno che dall’altro in virtù della solidarietà per legge introdotta.