Torino, a 80 anni va in pensione l’angelo delle Case Atc
[Intervista a cura di: Vincenzo Perrotta] A 80 anni suonati e dopo 30 anni alla guida del Comitato inquilini delle case Atc di Torino (l’Agenzia territoriale per la casa del Piemonte Centrale), Adamo Tambone ha deciso di andare in pensione: “Troppo poca comprensione con i residenti” ha risposto quando gli abbiamo chiesto il perché. Ci ha accolto in casa sua. Ma è stato quando ci ha invitato a entrare nel suo ufficio che Adamo si è illuminato. È stanco e gli anni si fanno sentire, ma è difficile immaginarlo senza le chiavi dell’ufficio da presidente, diventato col tempo, un vero e proprio museo del quartiere e della storia di una parte di Torino. Difficile pensare che smetta di dare una mano alla vicina di casa che non riesce a spostare i bidoni per gettare la spazzatura.
Perché ha deciso di lasciare?
Non è soltanto per prendermi cura di mia moglie o per l’ictus che ho avuto lo scorso settembre. Il motivo che mi ha spinto è la poca comprensione che c’è con gli inquilini, che siano stranieri o italiani. Lo stesso istituto dell’ATC è cambiato molto negli anni. Non c’è più quella sorta di tutela che c’era prima, e lottare da solo contro persone che non vogliono ascoltare è diventato impossibile. Ormai i residenti si sentono sempre più i padroni e non pensano ai bisogni degli altri.
Come è cambiato il quartiere negli anni?
La cosa che è cambiata di più sono le persone. All’inizio, quando sono arrivato, c’erano tanti impiegati statali, vigili, maestre di scuola, dazieri. Questo perché dal 1925 il quartiere, chiamato 119esimo, era composto di case “a riscatto” fino alla caduta del Fascismo. Dagli anni ’60 hanno cominciato ad arrivare operai da tutta Italia e adesso c’è la zuppa. Intendiamoci, buoni e cattivi ci sono sempre stati. Oggi, però, non c’è più la voglia di ascoltarsi e di capirsi. C’è stato un periodo, all’inizio, in cui avevamo chiesto all’ATC di autogestire il riscaldamento e le pulizie del quartiere. Poi però le cose sono cambiate, gradualmente, e questi servizi sono tornati tutti in mano all’agenzia.
Cosa l’ha spinta a impegnarsi tanto per la vita del quartiere?
Mi sono lasciato convincere (sorride, ndr.). Quando nel 1962 mi sono trasferito qui, eravamo una vera e propria squadra, un comitato di persone volenterose che cercava di migliorare e rendere più vivo il quartiere. Dalla metà degli anni ’80 sono andati via tutti e sono rimasto da solo a mandare avanti il comitato, mantenendo ottimi rapporti con l’Atc, ma senza mai prendere un soldo. Adesso, però, che le energie se ne sono andate, non c’è nessuno che abbia intenzione di prendere il mio posto in modo gratuito.
Quali sono stati i periodi più difficili per il quartiere? Quali i più felici?
Periodi difficili ce ne sono sempre. Anche adesso, con la crisi e l’arrivo degli immigrati. Nello specifico non abbiamo mai avuto problemi particolari, né ne abbiamo creati. I momenti più belli sono stati quelli in cui ho cominciato a distribuire viveri agli anziani bisognosi. Anche io mi ero trovato in quella situazione e sono stato aiutato. Da allora ho capito che si poteva fare qualcosa e mi sono dato da fare, anche attraverso l’Auser, l’associazione per l’invecchiamento attivo. Un altro periodo felice è stato quello delle gite con gli inquilini, delle feste di quartiere e della Terza età (e orgoglioso mostra le foto della visita dell’ex Segretario della CGIL, Sergio Cofferati, ndr.).
Che cosa le mancherà di più?
Mi mancherà non poter aiutare le persone che hanno bisogno. Oggi sono almeno 30-35 gli inquilini a non riuscire a fare la spesa o ad arrivare a fine mese. Per questo riceviamo ancora donazioni da associazioni legate alla Chiesa o persone che conoscono la situazione. Per loro mi dispiacerà lasciare. Ma per tante altre invece, non mi dispiacerà affatto.