[A cura di: avv. Gabriele Bruyére, presidente nazionale Uppi – www.uppi.it] Il comparto immobiliare italiano non è evidentemente nei pensieri del Governo e dei suoi tecnici posto che alcun provvedimento di qualsiasi genere a livello legislativo è stato adottato nell’emergenza del Covid-19 per i proprietari immobiliari, per le locazioni ad uso diverso dall’abitazione (salvo uno sgravio fiscale del 60% del canone relativo al mese di marzo 2020 per i soli conduttori di negozi e botteghe in categoria C1) e ad uso abitativo, per i condomini e per gli amministratori di condominio.
In effetti questo comparto, come più volte denunciato, è sempre servito e serve principalmente come bancomat dello stato, quando aveva necessità di incassare. E ciò nonostante i numerosi appelli sia delle organizzazioni di categoria dei proprietari e degli inquilini, sia delle associazioni degli amministratori di condominio.
Il Governo si è giustamente preoccupato in primis del problema sanitario al fine di evitare il diffondersi del contagio, ma ancora una volta ha dimostrato una notevole incapacità nella gestione delle situazioni contingenti collegate che in ogni caso devono essere comunque gestite anche e proprio perché i cittadini sono stati e sono costretti al disposto lockdown e quindi a rimanere forzatamente nelle proprie case.
Avrebbero dovuto invece il Governo ed i suoi tecnici emettere provvedimenti immediati e temporanei per la gestione delle case in condominio con necessarie e precise indicazioni all’amministratore condominiale su come comportarsi in questa fase di emergenza che invece sono state ignorate del tutto dai provvedimenti normativi. Avrebbero dovuto non lasciare soli a se stessi amministratori e condòmini e non limitarsi solo a vietare genericamente (anche se nell’interesse sanitario) le assemblee condominiali a decorrere dal 4 marzo 2020, affermando ancor più genericamente che queste potevano essere tenute esclusivamente per videoconferenza; mentre è decisamente contrastante con la sicurezza delle persone, e del tutto utopistico, che le assemblee di possano svolgere con modalità a distanza senza indicare in quale luogo dovrebbero essere svolte soprattutto per quanto riguarda i condomini di grandi dimensioni per i quali vengono affittati normalmente appositi locali presso parrocchie, cinema etc. fuori dai condominii nei quali, stante il lockdown, i condòmini (e meno che meno delegati esterni) non potrebbero recarsi nemmeno temporaneamente.
Questo dimostra l’assoluta lontananza delle istituzioni dal mondo condominiale nel quale, ad esempio, la maggior parte dei condòmini di una certa età – e sono la maggioranza – non è in possesso di computer, notebook, tablet, smartphone, connessione ad internet, etc. e non ha la preparazione per potersi collegare in videoconferenza da casa senza quantomeno un aiuto che stante il lockdown è di assai difficile attuazione generale. Ergo non si terranno assemblee condominiali in videoconferenza.
Avrebbero invece dovuto dare precise indicazioni agli amministratori (tra l’altro soggetti ai precisi disposti e limitazioni di cui alla Legge n. 220/2012) in modo che potessero continuare a svolgere il proprio lavoro, nel rispetto di tutte le cautele necessarie, ed in modo che si potesse garantire ai condòmini la corretta erogazione dei servizi stanti i sicuri maggiori consumi di acqua, luce, gas e di tuti gli impianti condominiali in conseguenza della maggiore presenza nello stabile di tutti i condòmini.
È pertanto necessario ed indispensabile che si dia la certezza agli amministratori di condominio di essere una di quelle categorie che possono continuare a lavorare nei loro studi ed eventualmente a recarsi per motivi di provata urgenza anche negli stabili da loro amministrati, ovviamente con tutte le cautele personali necessarie per evitare il contagio da coronavirus, onde provvedere anche alle necessarie manutenzioni straordinarie.
Ed altresì per potere ottenere i necessari fondi dai condòmini, anche in assenza di assemblea ma con l’obbligo di portarli all’approvazione dell’assemblea nella prima assemblea utile, onde potere provvedere alla imprescindibile gestione del condominio.
La mancanza di tutto questo potrebbe portare ad una non gestibilità degli stabili condominiali che sfocerebbe sicuramente in liti giudiziarie a decorrere dal 12 maggio 2020.
Ed infine si imporrebbe quanto meno un ulteriore rinvio delle scadenze fiscali per permettere ai condòmini di potere provvedere ai loro obblighi con maggiore tranquillità ed agli amministratori di incassare i contributi condominiali anche oltre il termine di sei mesi previsto dalla citata legge n. 220/2012 senza essere obbligati a dare corso alle azioni coattive di recupero.