Che i periodici allarmi in materia di fiscalità immobiliare lanciati dalle rappresentanze della proprietà immobiliare e dalle associazioni di categoria degli immobiliaristi abbiano precisi fondamenti, non è un mistero. Ma vedere nero su bianco i dati dell’imposizione sul mattone desta comunque una certa impressione. Non è piacevole, infatti, denotare che su tutto il patrimonio immobiliare presente in Italia (case, uffici, negozi, capannoni, etc.) grava un carico fiscale che nel 2016 è stato di 40,2 miliardi di euro. Certo, rispetto al 2015 il gettito è sceso di 3,7 miliardi, in particolar modo grazie all’eliminazione della Tasi sulla prima casa. Pur tuttavia il fardello appare pesante. E per l’anno 2017 che volge al termine i dati non dovrebbero essere migliori.
A darne conto è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, che è giunto a questo importo sommando i 9,1 miliardi di euro di gettito riconducibili alla redditività degli immobili (Irpef, Ires, imposta di registro/bollo e cedolare secca), i 9,9 miliardi di euro riferiti al trasferimento degli immobili (Iva, imposta di registro/bollo, imposta ipotecaria/catastale, imposta sulle successioni e sulle donazioni) e i 21,2 miliardi di euro riconducibili al possesso dell’immobile (Imu, imposta di scopo e Tasi).
Per l’anno in corso non sono previste grosse novità. Sul fronte del prelievo legato al possesso dell’immobile, infatti, per il 2017 (e anche per il 2018) il Governo ha per fortuna deciso di bloccare qualsiasi eventuale aumento delle tasse locali (come l’Imu o la Tasi).
“Fino a qualche anno fa – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – l’acquisto di una abitazione o di un immobile strumentale costituiva un investimento. Ora, in particolar modo chi possiede una seconda casa o un capannone, sta vivendo un incubo. Tra Imu, Tasi e Tari, ad esempio, questi edifici sono sottoposti ad un carico fiscale ormai insopportabile”.
Se con l’abolizione della Tasi sulla prima casa i proprietari hanno risparmiato 3,5 miliardi di euro, sugli immobili strumentali, invece, il passaggio dall’Ici all’Imu ha visto raddoppiare il prelievo fiscale. Tra il 2011 – ultimo anno in cui è stata applicata l’Ici – e il 2016 il gettito è passato da 4,9 a 9,7 miliardi di euro. Va comunque sottolineato che rispetto al 2015, nel 2016 il prelievo è diminuito di 530 milioni di euro a seguito dell’eliminazione dell’Imu sugli imbullonati.
“Sebbene sia stata presa qualche misura a favore delle imprese, il quadro generale rimane sconfortante. Mi preme sottolineare – conclude Zabeo – che il capannone non viene ostentato dal titolare dell’azienda come un elemento di ricchezza, bensì come un bene strumentale che serve per produrre valore aggiunto e per creare posti di lavoro, dove la superficie e la cubatura sono funzionali all’attività produttiva esercitata. Accanirsi fiscalmente su questi immobili non ha alcun senso, se non quello di fare cassa, danneggiando però l’economia reale del Paese”.
Tuttavia, la preoccupazione dei proprietari di seconde o terze case e di immobili ad uso economico non concerne solo l’eccessivo prelievo fiscale, ma anche la difficoltà nel pagare le imposte.
“Oltre all’imponente sforzo economico che anche quest’anno i proprietari di immobili saranno chiamati a sostenere – conclude il Segretario della Cgia, Renato Mason – i contribuenti italiani devono sopportare anche un costo aggiuntivo legato alla burocrazia che attanaglia queste operazioni. Secondo una nostra analisi su dati della Banca Mondiale, per pagare le tasse in Italia sono necessarie 238 ore all’anno. Nell’area dell’euro solo il Portogallo e la Slovenia registrano una situazione peggiore della nostra”.