[A cura di: Marcello Cardone – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate] Il contribuente che, in sede di acquisto di un’abitazione con le agevolazioni prima casa, intende avvalersi del requisito relativo al luogo di svolgimento della propria attività è tenuto a dichiarare tale circostanza in atto.
Questo permette all’amministrazione finanziaria di poter verificare la sussistenza dei presupposti riconosciuti provvisoriamente al momento della stipula dell’atto notarile.
Questo principio è stato ribadito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 21814 del 9 ottobre 2020. Prima di esaminare nel merito la vicenda processuale, occorre premettere che la disciplina in tema di agevolazione “prima casa” è contenuta nella nota II bis dell’articolo 1 della Tariffa, parte prima, allegata al Dpr n. 131 del 1986, testo unico in materia di imposta di registro.
Il legislatore ha subordinato la possibilità di usufruire dell’agevolazione “prima casa” al ricorrere di alcuni requisiti, sia oggettivi che soggettivi. Tra i requisiti oggettivi rientra quello inerente all’ubicazione dell’immobile acquistato con le agevolazioni.
Al riguardo, il legislatore ha previsto alcuni criteri generali basati sulla residenza dell’acquirente, ed alcuni criteri relativi a situazioni particolari. I criteri generali, basati sula residenza, prevedono che l’immobile sia situato nel comune di residenza dell’acquirente o, mancando tale requisito, nel comune nel quale l’acquirente trasferirà la propria residenza entro 18 mesi dall’acquisto. I criteri particolari riguardano il contribuente che svolge la propria attività nel comune nel quale si trova l’immobile da acquistare, il contribuente emigrato all’estero per motivi di lavoro e il cittadino italiano iscritto all’Aire. Il contribuente che si avvale di questi criteri particolari, non è tenuto ad avere o spostare la propria residenza nel comune in cui si trova l’immobile acquistato.
Nel caso oggetto della pronuncia in esame, il contribuente si era obbligato, nell’atto di acquisto dell’abitazione, a trasferire la residenza, entro 18 mesi dall’acquisto, nel comune in cui si trovava l’immobile. L’ufficio territoriale dell’Agenzia delle entrate, presso il quale era stato registrato l’atto, constatato il mancato trasferimento della residenza nel luogo in cui era situato l’immobile, aveva revocato le agevolazioni fiscali. In sede contenziosa, sia in primo che in secondo grado le Commissioni tributarie hanno accolto le ragioni del contribuente il quale, pur confermando che non aveva spostato la propria residenza, aveva dimostrato di svolgere la propria attività lavorativa nel comune di ubicazione dell’immobile.
La Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, ribadendo, con l’ordinanza in commento, il principio già espresso dall’ordinanza n. 13850/2017 della stessa Corte, secondo il quale “In tema di beneficio fiscale relativo all’acquisto della prima casa, il contribuente deve invocare, a pena di decadenza, al momento della registrazione dell’atto di acquisto, alternativamente, il criterio della residenza o quello della sede effettiva di lavoro, dovendosi valutare la spettanza del beneficio, nel primo caso, in base alle risultanze delle certificazioni anagrafiche, e, nel secondo, alla stregua dell’effettiva sede di lavoro. Ne consegue che decade dall’agevolazione il contribuente che non abbia indicato, nell’atto notarile, di voler utilizzare l’abitazione in luogo di lavoro diverso dal comune di residenza”.
Nella motivazione è stata richiamata anche l’ordinanza n. 6501/2018 con la quale la suprema Corte aveva stabilito che il contribuente che intende avvalersi del criterio, alternativo alla residenza, e relativo allo svolgimento dell’attività, deve rilasciare espressa dichiarazione in tal senso in atto. Ciò in quanto “…le agevolazioni sono generalmente condizionate ad una dichiarazione di volontà dell’avente diritto di avvalersene e, peraltro, l’Amministrazione finanziaria deve poter verificare la sussistenza dei presupposti del beneficio provvisoriamente riconosciuto.”
I giudici hanno anche riconosciuto che la dichiarazione dell’acquirente relativa allo svolgimento dell’attività lavorativa non è prevista espressamente dal legislatore, ma tale dichiarazione si rende, comunque, necessaria al fine di tutelare l’azione accertativa dell’Amministrazione finanziaria, la quale, al fine di eseguire i controlli di competenza, deve conoscere l’opzione espressa dal contribuente. Alla luce di queste considerazioni è stato accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate ed è stata riconosciuta legittima la decadenza dalle agevolazioni godute in sede di registrazione dell’atto.