[A cura di: dr. Jean-Claude Mochet – presidente Commissione Fiscale UPPI] Il Fondo Monetario Internazionale e la Commissione Europea propinano da anni ricette fallimentari, in quanto avulse dalla realtà specifica dell’Italia, dimenticando quanto alta sia già la nostra pressione fiscale, anche per via delle imposte indirette. Tassare ancora di più i consumi e gli immobili appare una scelta quantomeno originale se l’obiettivo è di favorire la crescita e gli investimenti.
Gli italiani hanno già dovuto subire le politiche di austerità adottate dal governo Monti, responsabile di aver aumentato la tassazione sulla casa da 9 a 25 miliardi di euro, con l’introduzione dell’IMU, senza peraltro aver ridotto il debito pubblico e causando un crollo del PIL. Il fallimento di tali politiche è sotto gli occhi di tutti, non solo dal punto di vista del rilancio economico, ma anche da quello del debito dello Stato che è addirittura in accelerazione nonostante le tasse in Italia, secondo uno studio della Cgia di Mestre, siano aumentate dell’80%.
Da anni, il FMI propone di allargare la base imponibile e di ridurre il carico fiscale sui redditi da lavoro e sugli utili, tassando di più i consumi (IVA), gli immobili (IMU) e le ricchezze delle famiglie (tassa patrimoniale). Ma alzare le cosiddette imposte indirette non sarebbe una soluzione praticabile per l’Italia, che ha già una delle aliquote IVA più alte al mondo (22% su oltre l’80% dei beni e servizi consumati) e una tassazione sugli immobili superiore alla media OCSE (1,5% contro 1% del PIL).
Le ricette dell’FMI furono applicate tra la fine del 2011 e il 2013 prima dal governo Monti e poi dal governo Letta. In quegli anni fu reintrodotta l’IMU sulle prime case e inasprita quella sulle seconde. Il risultato fu che l’Italia, anche a causa di tali misure, entrò in profonda recessione, passando da una crescita di poco superiore allo zero nel 2011 a una contrazione del PIL del 2,5% nel 2012, seguita da un -1,9% nel 2013 e da un -0,4% nel 2014. La crisi del comparto immobiliare, già iniziata anni prima, si è aggravata e, nel decennio 2008-2017, la perdita dei posti di lavoro nel settore edile ha sfiorato le 600.000 unità, con il crollo del numero di occupati da 2 a 1,4 milioni. L’Italia è l’unica grande economia europea a registrare ancora un calo dei prezzi delle case, quando già queste hanno perso mediamente un quarto del loro valore lungo il decennio, frutto anche di circa 57 miliardi di minori investimenti cumulati nel comparto residenziale.
Non si può quindi non essere d’accordo con quanto ha dichiarato il Ministro dell’Economia Giovanni Tria in risposta all’ennesimo attacco del Fondo Monetario Internazionale: “Il vero rischio per l’Europa non è l’Italia, ma il FMI con le sue politiche”. Solo un alleggerimento dell’imposizione fiscale sul mattone e non, dunque, un suo inasprimento, consentirebbe a questo settore di riacquistare spinta e di giovare all’economia del Paese intero.