Comunione legale e acquisto di alloggio con bonus prima casa
Nel caso di acquisto di un immobile, con richiesta delle agevolazioni prima casa, da parte di un soggetto coniugato in regime di comunione legale dei beni, le dichiarazioni prescritte dalla legge devono riguardare non solo il coniuge intervenuto nell’atto ma, anche, quello non intervenuto, e devono essere necessariamente rese da quest’ultimo. È quanto disposto dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza del 5 giugno 2018, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI-T civ., ord. 5.6.2018
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Svolgimento del processo
- che con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Sicilia accoglieva l’appello del contribuente avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso dal medesimo proposto avverso un avviso di liquidazione di maggiore imposta IVA emesso dall’amministrazione finanziaria in relazione all’anno di imposta 2005 a seguito di revoca dei benefici della prima casa in relazione all’acquisto di un immobile effettuato in comunione dei beni con il coniuge, il quale però non aveva partecipato al rogito di acquisto di un immobile e, quindi, non aveva reso le dichiarazioni previste dall’art. 1, nota 2 bis, lett. b) e c) della Tariffa, Parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986;
- che i giudici di appello ritenevano che ai fini del riconoscimento del predetto beneficio fosse sufficiente la destinazione dell’immobile a residenza familiare in cui uno dei coniugi avesse la propria residenza;
- che per la cassazione della sentenza di appello ricorre con unico motivo l’Agenzia delle entrate, cui non replica l’intimato;
(omissis)
Motivi della decisione
- che con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dall’art. 1, nota 2 bis, della Tariffa, Parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, sostenendo che le manifestazioni di volontà prescritte dalla disposizione censurata andavano rese anche dal coniuge acquirente in regime di comunione legale;
- che con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR pronunciato extra petita, ovvero sulla sussistenza delle condizioni “residenziali” di cui alla lettera a) del citato art. 1, nota 2 bis, della Tariffa, Parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, che non costituiva motivo di disconoscimento del beneficio in esame;
- che i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi tra loro, sono fondati e vanno accolti;
- che, invero, questa Corte (Cass. n. 1988 del 2015, p. 6) ha già avuto modo di rilevare che “a norma dell’art. 1 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, nota 2 bis lett. b) e c), per il godimento delle agevolazioni fiscali c.d. ‘prima casa’ occorre che l’acquirente dichiari in seno all’atto di acquisto di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare, e di non averne in precedenza, fruito, neppure pro quota, in riferimento all’intero territorio nazionale: la circostanza che l’acquisto si attui per effetto del regime della comunione legale non costituisce, in assenza di specifiche disposizioni in tal senso, eccezione alla regola anzidetta” e che “nel caso d’acquisto di un fabbricato con richiesta delle agevolazioni prima casa, da parte di un soggetto coniugato in regime di comunione legale dei beni, le dichiarazioni prescritte dalla legge debbano riguardare non solo il coniuge intervenuto nell’atto ma, anche, quello non intervenuto e debbano essere necessariamente rese da quest’ultimo”;
- che la CTR non solo non si è attenuta al predetto principio, ma ha addirittura pronunciato su questione del tutto diversa, ovvero con riferimento alla diversa ipotesi della residenza posseduta da uno solo dei coniugi acquirenti in regime di comunione legale, che esula del tutto dalle ragioni dell’emissione dell’atto impositivo;
- che, in estrema sintesi, il ricorso va accolto e la sentenza cassata, senza necessità di rinvio non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, con rigetto dell’originario ricorso del contribuente che, essendo rimasto soccombente, va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, compensandosi le spese dei giudizi di merito in ragione della particolarità della vicenda.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente, che condanna al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.400 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito, compensando le spese dei giudizi di merito.