[A cura di: Martino Verrengia – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]
La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 17470 dello scorso 28 giugno 2019, ha stabilito che, per il calcolo previsto dall’articolo 6, del decreto n. 1072/1969 del ministero dei Lavori pubblici, vanno esclusi dal dato quantitativo globale della superficie dell’immobile indicata nell’atto di acquisto solo balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posto macchina, e non l’intera superficie non calpestabile, come quella afferente a mura perimetrali e divisorie.
La vertenza ha a oggetto un avviso di liquidazione per imposta di registro, emesso da un ufficio pescarese dell’Agenzia delle entrate relativo alla revoca dell’agevolazione prima casa, per superamento del limite di 240 mq, normativamente previsto, di superficie utile dell’immobile compravenduto.
Sia la Ctp di Pescara, nell’accogliere il ricorso del contribuente, che la Ctr dell’Abruzzo, nel rigettare il gravame dell’ufficio, concordavano con la prospettazione di parte contribuente, che aveva qualificato come non “di lusso” il bene compravenduto, escludendo dal calcolo della superficie utile i muri perimetrali e quelli divisori.
L’Agenzia delle entrate, pertanto, ricorreva in Cassazione, assumendo la violazione dell’articolo 5 del Dm 2 agosto 1969, richiamato nell’articolo 1, nota II bis della Tariffa parte I, allegata al Dpr n. 131/1986, in relazione all’articolo 360 n. 3 del codice di rito civile. Riteneva, in particolare, illegittimo che il computo, effettuato dai giudici regionali abruzzesi, escludesse lo spazio dell’immobile occupato dalle mura.
La Corte di cassazione, nello scrutinare l’unico motivo di diritto al quale era stato affidato il ricorso, fa richiamo al principio secondo cui, in tema di imposte di registro, ipotecarie o catastali, per stabilire se un’abitazione sia di lusso e, quindi, esclusa dai benefici per l’acquisto della prima casa, ai sensi della Tariffa I, articolo 1, nota II bis, Dpr n. 131/1986, la sua superficie utile va calcolata alla stregua del Dm Lavori pubblici 2 agosto 1969, n. 1072 e va determinata in quella che – dall’estensione globale riportata nell’atto di acquisto sottoposto all’imposta – residua una volta detratta la superficie di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posto macchina.
Non possono, continua la Cassazione, invece, applicarsi i criteri di cui al Dm Lavori pubblici 10 maggio 1977, n. 801, richiamato dall’articolo 51 della legge n. 47/1985, le cui previsioni, relative ad agevolazioni o benefici fiscali, non sono suscettibili di un’interpretazione che ne ampli la sfera applicativa.
Pertanto, conclude il Collegio di legittimità, l’articolo 6 Dm 2 agosto 1969, n. 1072 va interpretato nel senso di dover escludere dal dato quantitativo globale della superficie dell’immobile indicata nell’atto di acquisto, comprendente muri perimetrali e divisori, solo le superfici menzionate sopra e non l’intera superficie non calpestabile.
L’ordinanza in commento si pone in linea di continuità con l’orientamento che già il supremo Collegio aveva espresso con propri precedenti deliberati, tra cui le sentenze nn. 861/2014 e 24449/2015 nonché, più di recente, con la pronuncia n. 8421/2017, che ha ritenuto che la superficie utile, ai fini del calcolo della natura “lussuosa”, si debba identificare, in ultima analisi, con la superficie “lorda” e non con quella “netta”, ossia con quella calpestabile, del bene.
Il deliberato che si annota, in particolare, conferma come, nell’ambito delle agevolazioni fiscali, l’interpretazione estensiva delle norme non può avere applicazione, vigendo, per contro, il criterio della stretta interpretazione letterale, primo dei criteri previsti dall’articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale (le preleggi).
In questo caso, dunque, l’elencazione delle superfici da escludere nel computo della superficie utile al fine di stabilire la natura “lussuosa” dell’immobile è da ritenersi tassativa: se, infatti, il legislatore avesse voluto escludere anche i muri divisori e perimetrali dal calcolo in questione lo avrebbe espressamente previsto, in linea con il noto canone ermeneutico che recita “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”.