[A cura di: Vincenzo Perrotta] Malgrado l’intesa raggiunta sul loro rinnovo, gli accordi territoriali sugli affitti a canone concordato continuano a togliere il sonno ai proprietari immobiliari. In particolare, a destare nuove preoccupazioni sono stati i chiarimenti interpretativi sulle agevolazioni fiscali previste per il contratto di locazione non assistito, ovvero quello stipulato senza l’assistenza delle associazioni di categoria (sia dei proprietari, sia degli inquilini, firmatarie dell’accordo territoriale). Chiarimenti che sono stati diffusi lo scorso 6 febbraio con una nota ministeriale a firma del direttore generale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dott.ssa Maria Margherita Migliaccio e che hanno indotto l’associazione Ape Torino Confedilizia ad intervenire nel tentativo di rassicurare perlomeno il mondo della proprietà immobiliare. Ma andiamo con ordine.
“Come è noto – scrivono dalla Direzione generale del MIT – l’articolo 1, comma 8 del decreto interministeriale 16 gennaio 2017 recante i criteri generali per la definizione degli accordi locali per la determinazione dei canoni recita:
le parti contrattuali, nella definizione del canone effettivo, possono essere assistite, a loro richiesta, dalle rispettive organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori. Gli accordi definiscono, per i contratti non assistiti, le modalità di attestazione, da eseguirsi, sulla base degli elementi oggettivi dichiarati dalle parti contrattuali a cura e con assunzione di responsabilità, da parte di almeno una organizzazione firmataria dell’accordo, della rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all’accordo stesso, anche con riguardo alle agevolazioni fiscali”.
I dubbi della proprietà nascono da quest’ultima “sottolineatura” e dal successivo chiarimento, che mette in dubbio il principio stabilito dal decreto della non obbligatorietà dell’assistenza associativa. “Per quanto concerne i profili fiscali – scrivono dal Ministero – va considerato che l’obbligatorietà dell’attestazione fonda i suoi presupposti sulla necessità di documentare alla PA, sia a livello centrale che comunale, la sussistenza di tutti gli elementi utili ad accertare sia i contenuti dell’accordo locale che i presupposti per accedere alle agevolazioni fiscali, sia statali che comunali. Ne consegue l’obbligo per i contraenti di acquisire l’attestazione in argomento per poter dimostrare all’Agenzia delle entrate, in caso di verifica fiscale, la correttezza delle deduzioni utilizzate”.
A questo punto, la domanda che si pongono proprietari e conduttori è: per i contratti non assistiti l’attestazione da parte di una delle associazioni di categoria è obbligatoria oppure no?
A dare una prima risposta è l’associazione della Proprietà di Torino, Ape Confedilizia, con una lettera di chiarimento rivolta ai soci e riportata, in parte, qui di seguito:
“Rispetto al citato articolo 1, comma 8, del Decreto Interministeriale del 16 gennaio 2017, è evidente che occorra un’interpretazione che sia, in primo luogo, in linea con i principi sanciti dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza 309 del 27.07.96) e, in secondo luogo il rispetto della gerarchia delle fonti.
Orbene: è noto e consolidato (cfr. Commissione Tributaria Regione Lazio, Roma, Sez XXIX, 09/05/2007, n. 41) il principio secondo cui incombe sul contribuente, a mente dell’art. 2697 cc (relativo all’onere della prova), la dimostrazione ed allegazione dei fatti ed elementi costitutivi a sostegno dell’applicabilità di una determinata agevolazione tributaria.
L’articolo 4, comma 2, della legge 431/98 demanda al decreto ministeriale la fissazione delle modalità di applicazione dei benefici di cui all’articolo 8 per i contratti di locazione stipulati ai sensi del comma 3 dell’articolo 2, in conformità ai criteri generali di cui al comma 1 del medesimo articolo 4.
Nell’esercizio di tale delega, statuendo che l’attestazione dell’associazione di categoria ha effetto anche con riguardo alle agevolazioni fiscali, pare che il Ministero abbia introdotto non tanto un elemento costitutivo della fattispecie agevolativa (che potrebbe non allinearsi all’orientamento della Corte Costituzionale richiamato), quanto piuttosto una presunzione legale con effetti ex art. 2728 c.c. (prova contro le presunzioni legali), che inverte cioè l’onere probatorio e consente al contribuente la difesa in giudizio, in caso di accertamento, sulla base della semplice attestazione (da parte dell’associazione di categoria, Ndr), onerando l’Agenzia delle entrate di provare l’insussistenza dei presupposti dell’agevolazione”.
Parafrasando, il punto di vista di Ape Torino Confedilizia è che, per quanto non si configuri l’obbligo di attestazione, la facoltà di richiedere l’intervento dell’associazione rappresenta un’opportunità notevole per il contribuente: “Siamo allineati con la Corte costituzionale – commenta l’avvocato Carlo Besostri (nella foto), in rappresentanza dell’associazione – per cui riteniamo importante che l’attestazione sia facoltativa. Anche per non aggiungere ulteriori incombenze burocratiche al proprietario. Tuttavia, sappiamo che sussistono problematiche a livello di applicabilità e che bisogna coordinare l’esigenza dello Stato che agevola contratti fatti a regola, ma anche tutelare chi fa il contratto in buona fede. Ora, solo le associazioni di categoria sono in grado di garantire che tutti i parametri siano stati inseriti nel modo giusto e, quindi, che venga applicato il canone legittimo e che nel contratto siano contenute tutte le clausole che il decreto ministeriale impone come condizione per fruire delle agevolazioni fiscali”.
In altri termini, lo spassionato consiglio di Ape Torino è di rivolgersi comunque all’associazione di categoria per evitare eventuali errori, mettendosi a riparo in caso di eventuali successivi accertamenti. Anche perché, come ha sottolineato Besostri, nel momento in cui ci si affida all’attestazione dell’associazione, l’onere della prova, nel caso di accertamento dell’Agenzia, si trasferisce dal contribuente (in buona fede) al controllore: “Se il proprietario beneficia di un’agevolazione, solitamente è lui a dover provare gli elementi che gli hanno permesso di riceverla, di aver applicato il canone previsto ed utilizzato le clausole contrattuali adeguate. Secondo la nostra interpretazione, l’attestazione serve al contribuente per dimostrare, in caso di giudizio, che si trova nel giusto. Fattore che, quindi, inverte l’onere della prova in quanto, con l’attestazione dell’associazione, sarà l’Agenzia delle Entrate a dover provare l’errore. Interpretazione che riteniamo coerente con quanto scritto dal Mit ‘verificare la correttezza delle deduzioni utilizzate’: secondo il nostro punto di vista, significa dimostrare di essere nel giusto”.
Ancora, riprendendo la lettera ai soci di Ape Torino Confedilizia, si legge: “Non si ritiene che l’autocertificazione dei parametri (laddove prevista nell’accordo territoriale locale, come ad es. nel Comune di Torino) possa portare alle medesime conseguenze giuridiche dell’attestazione”.
In merito a quest’ultima precisazione, Besostri ha chiarito: “È molto importante non confondere l’attestazione di una sola delle associazione di categoria, di cui stiamo parlando, con quelle bilaterali obbligatorie, previste dall’accordo territoriale per il Comune di Torino in ipotesi specifiche: queste non si contrappongono ai principi costituzionali, in quanto presuppongono la verifica congiunta da parte delle associazioni di documentazione specifica a sostegno di possibili maggiorazioni di canone previste dall’accordo territoriale, le c.d. vidimazioni. Il decreto prevede che l’attestazione si esegua ‘sulla base degli elementi oggettivi dichiarati dalle parti, a cura e con assunzione di responsabilità’. Dunque, l’autocertificazione prevista dall’accordo territoriale di Torino è l’estrinsecazione del principio di assunzione di responsabilità delle parti circa gli elementi oggettivi. L’attestazione dell’associazione di categoria, invece, non riguarda elementi oggettivi ma la corretta applicazione delle norme contenute nella legge, nel decreto ministeriale e nell’accordo territoriale, nonché del fatto che nel contratto siano contenute tutte le clausole che il decreto stesso impone come condizione per fruire delle agevolazioni fiscali”.
Una differenza sottile ma sostanziale. In altre parole, l’autocertificazione riguarda gli elementi oggettivi, vale a dire, metratura, esistenza di particolari dotazioni dell’immobile, e così via, della cui verifica sono responsabili le parti contrattuali. L’attestazione, invece, riguarda la corretta applicazione delle norme, che viene demandata alle associazioni di categoria.
“Il decreto ministeriale – ha chiosato Besostri – delega agli accordi territoriali la definizione delle modalità di attestazione, non la possibilità di estendere la portata dell’autocertificazione fino a farle assorbire i contenuti dell’attestazione”.