[A cura di: avv. Francesco Saverio Del Buono] In tempi di crisi economica, che sta già facendo sentire i suoi effetti, e continuerà a produrne nei mesi a venire, si pone il problema delle morosità dei contratti di locazione, sia essa abitativa che commerciale.
Al mancato introito dei canoni si pone per i proprietari anche un altro problema, quello della tassazione sui canoni non percepiti dai conduttori morosi; infatti, una situazione di questo tipo crea un ulteriore aggravio quale il prelievo fiscale su somme non effettivamente percepite.
Cerchiamo di chiarire quali sono le norme in materia, e quindi le ipotesi di tassazione o di esonero, tanto più che la situazione è differente tra locazione ad uso abitativo e locazione ad usi diversi.
Partendo dai contratti di locazione ad uso abitativo, i canoni di locazione non percepiti non concorrono alla formazione del reddito del locatore, ai sensi dell’art. 26 del DPR 22.12.1986 n. 917 (Testo Unico delle imposte sui redditi), a partire dalla convalida dello sfratto per morosità; per le imposte già versate sui canoni per i quali è stata accertata la morosità nel predetto procedimento di convalida, è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare.
Il Decreto Legge 30.04.2019 n. 34 (Decreto Crescita), convertito con modificazioni dalla legge 28.06.2019 n. 58, ha anticipato la tutela per i contratti stipulati a partire dal 01.01.2020, disponendo che i canoni di locazione non percepiti “non concorrono a formare il reddito, purché la mancata percezione sia comprovata dall’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento”.
Se i canoni di locazione dovessero comunque essere percepiti in periodi di imposta successivi, l’art. 26 dispone che siano sottoposti a tassazione separata ai sensi dell’art. 21 DPR 917/86, (applicando cioè un’aliquota corrispondente alla metà del reddito percepito nel biennio precedente in cui è sorto il diritto alla loro percezione, cioè quando dovevano essere versati).
Diversa è la situazione per la tassazione dei canoni non percepiti da contratti di locazione commerciale: nessuna agevolazione è prevista infatti in tal senso, restando pertanto soggetti a tassazione a prescindere dall’effettivo versamento da parte del conduttore. Si applicherà quindi il primo comma dell’art. 26, il quale prevede che “I redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, salvo quanto stabilito dall’articolo 30, per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso”.
L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 11/E del 21.05.2014 (par. 1.3), ha confermato come la tassazione si applichi indipendentemente dalla effettiva percezione del canone, in quanto il reddito fondiario oggetto di imposizione fiscale è costituito dall’ammontare del canone stesso contrattualmente previsto per il periodo di imposta di riferimento.
La Circolare precisa inoltre che fino a quando il contratto di locazione non venga risolto il relativo canone, ancorché non percepito, va comunque dichiarato, ed inoltre che le imposte versate non possano essere recuperate, anche se il canone non è riscosso.
Anche la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta sul tema, con la sentenza n. 348 del 09.01.2019, affermando come neanche la risoluzione del contratto di locazione sia idonea “di per sé ad escludere che tali canoni concorrano a formare la base imponibile IRPEF, ai sensi dell’art. 23 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (i locatori non erano residenti sul territorio nazionale), salvo che non risulti la inequivoca volontà delle parti di attribuire alla risoluzione stessa efficacia retroattiva”; pertanto, una risoluzione contrattuale potrà valere ai fini della tassazione sui canoni solo dal momento in cui si realizza la risoluzione, e non retroattivamente, esonerando così il locatore dal pagamento delle imposte sui canoni non percepiti durante la vigenza del contratto.
Vista la differenza di trattamento tra i contratti ad uso abitativo e quelli ad uso commerciale, è stata posta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26; con la sentenza n. 362/2000 la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la richiesta, in quanto il locatore ha la possibilità di attivare diversi strumenti per la risoluzione del contratto (clausola risolutiva espressa ex art 1456 cod. civ., diffida ad adempiere ex art. 1454, e le procedure di sfratto ex artt. 657 e segg cpc.). Allorquando il contratto di locazione sarà risolto per una qualsiasi delle cause di risoluzione, non verrà più a considerarsi il canone quale reddito fondiario cui applicare la tassazione.
Il locatore dovrà così avvalersi, in caso di morosità del conduttore, dei rimedi previsti per la risoluzione del contratto, sfratto per morosità compreso (e rientrare così in possesso dell’immobile), al fine di evitare una imposizione su un reddito non prodotto.
Come indicato anche dalla sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio (n. 4273 del 15.07.2019, emessa dalla XIII sezione), “La risoluzione del contratto impedisce di configurare il pagamento, effettivo o solo presunto, come effettuato a titolo di canone, cui possa essere commisurata la base imponibile ai fini dell’imposta sul reddito. …, ricordando come viste le particolari modalità di registrazione della risoluzione del contratto di locazione, non può non riconoscersi rilevanza sul piano delle imposte a tale evento risolutorio, che può concretarsi, seppure per i profili strettamente fiscali, anche attraverso una dichiarazione unilaterale”.
Pertanto, le somme non percepite per un contratto di locazione ad uso diverso dall’abitativo andranno in ogni caso dichiarate, in quanto l’omissione sarà soggetta ad accertamento ai sensi dell’art. 41 bis del DPR 29.09.1973 n. 600, con l’applicazione delle conseguenti sanzioni ed interessi sull’imposta non versata.
Va dato conto però di un filone giurisprudenziale in senso diametralmente opposto:
Per completezza va ricordato che il Decreto “Cura Italia” (Decreto legge 17.03.2020 n. 18), convertito dal Decreto Liquidità, ha previsto un credito di imposta per i conduttori di immobili ad uso commerciale accatastati come C/1 (botteghe e negozi), pari al 60% del canone di locazione del mese di marzo, a condizione che questo sia effettivamente versato, come chiarisce la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 8/E del 03.04.2020, e da utilizzare in compensazione con imposte dallo stesso dovute, ex art. 17 Decreto Legislativo 241/97.