[A cura di: Martino Verengia – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate] La Ctp di Firenze, con la sentenza n. 130 del 31 gennaio 2019, ha stabilito che il negozio di mantenimento può essere assimilato a una permuta, con la conseguenza che il valore del contratto, ai fini della determinazione della base imponibile, non può che essere quello del bene scambiato.
Al centro della vicenda vi era un avviso di liquidazione, con cui l’ufficio richiedeva le imposte di bollo e di registro su un contratto di mantenimento. A giudizio dell’Amministrazione finanziaria, infatti, il contratto di mantenimento rientrava tra i contratti di natura permutativa: di conseguenza, la base imponibile era costituita, ai sensi dell’articolo 43, lettera c), Dpr 131/1986, dal valore del bene ceduto o della prestazione che desse luogo a una maggiore imposta.
Nella fattispecie in questione, vista l’agevolazione richiesta sul trasferimento immobiliare, risultava più onerosa la tassazione riconducibile alla prestazione di mantenimento, che veniva tassata applicando l’aliquota del 3%, ex articolo 9, tariffa parte I, Dpr 131/1986, al valore totale della prestazione, che si assumeva pari al valore dell’immobile.
Insorgeva avanti alla Ctp di Firenze il notaio rogante, che eccepiva come nel contratto in questione non sussistesse un’equivalenza economica delle prestazioni e che mancasse la determinabilità della base imponibile, in quanto l’obbligazione di fare, consistente nella prestazione di mantenimento, non era anticipatamente valutabile, né nel quantum né nella durata.
Pertanto, a giudizio di parte ricorrente, non poteva assumersi che il valore dell’obbligazione di fare coincidesse con il valore dell’immobile ceduto in cambio di detta prestazione.
Si costituiva anche l’ufficio, che insisteva per la correttezza della propria prospettazione.
Il negozio di mantenimento è un contratto atipico: esso, quindi, non è previsto dalla legge, ma emerge dalla realtà dei traffici commerciali e appare sussumibile nella fattispecie di cui all’articolo 1322 del codice civile, in quanto diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
È un contratto a titolo oneroso, a prestazioni corrispettive, in cui il sinallagma è costituito dall’assunzione di un obbligo di fare (in genere, comprensivo di vitto, alloggio, assistenza medica, cura della persona, acquisto di vestiario e simili, a beneficio del mantenuto) in cambio della cessione di un bene, spesso di natura immobiliare, in favore del mantenente. Si tratta, pertanto, di un contratto in cui un’obbligazione di fare viene scambiata con un’obbligazione di dare.
È pur vero che l’assunzione di un obbligo di fare come quello descritto abbia i caratteri dell’aleatorietà, ma il sinallagma descritto presenta certamente tutti gli elementi propri della permuta, per come cristallizzata nel codice civile.
L’articolo 1552 cc, infatti, descrive la permuta come il contratto ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose, o di altri diritti, da un contraente all’altro.
Dall’assimilazione del negozio in questione alla permuta, secondo i giudici fiorentini, deriva che il valore del contratto, ai fini della determinazione della base imponibile, non può che essere quello del bene scambiato. Indi, l’applicazione dell’articolo 43, comma 1, lettera c), Dpr 131/1986, per il quale la base imponibile dell’imposta di registro è, come cennato, costituita “per i contratti che comportano l’assunzione di una obbligazione di fare in corrispettivo della cessione di un bene o dell’assunzione di altra obbligazione di fare, dal valore del bene ceduto o della prestazione che dà luogo all’applicazione della maggiore imposta, salvo il disposto del comma secondo dell’art. 40”.
La Ctp di Firenze, avallando la tesi dell’ufficio, ha, in definitiva, ritenuto che la base imponibile del bene fosse costituita dal valore del bene scambiato, che costituiva anche il valore dell’obbligazione di fare, assoggettata correttamente all’aliquota proporzionale del 3%, ex articolo 9, tariffa, parte I, Dpr 131/1986.