[A cura di: Claudio Pivanti – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate] L’iscrizione ipotecaria ex articolo 77 Dpr 602/1973 è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale sempre che l’obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia. La prova della estraneità ai bisogni della famiglia incombe sul contribuente che intende opporre l’intangibilità del fondo patrimoniale all’Erario. Sono questi i principi di diritto affermati nella sentenza 23 agosto 2018, n. 20998, della Corte di cassazione.
La controversia trae origine da un’azione risarcitoria promossa da un soggetto che aveva subito l’iscrizione ipotecaria su due distinti immobili, facenti parte di un fondo patrimoniale costituito anni prima, per cartelle esattoriali relative a sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada e omesso pagamento di tributi.
Nei gradi di merito, l’attore aveva affermato che l’iscrizione ipotecaria si riferiva a debiti estranei ai bisogni della famiglia; come tale, doveva considerarsi illegittima per violazione dell’articolo 170 codice civile (rectius, articolo 169 cc).
La parte risultava soccombente tanto in primo quanto in secondo grado, ragion per cui impugnava per cassazione, incardinando il giudizio di legittimità.
Con la pronuncia in commento, la Cassazione ha ribadito il consolidato principio secondo il quale il fondo patrimoniale può essere oggetto di iscrizione ipotecaria solo “se l’obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia”.
Lo spunto più interessante riguarda la disciplina dell’onere della prova, che “grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale” (Cassazione, pronunce 4011/2013, 15886/2014, 2970/2013, 1295/2012 e 5684/2006).
In particolare, il debitore che intenda contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente (o a iscrivere ipoteca) deve dimostrare:
Con riguardo a quest’ultimo presupposto, la sentenza dà seguito a un consolidato orientamento secondo il quale lo scopo dell’obbligazione non va valutato “in senso meramente oggettivo”, ma in base “anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari” (Cassazione, 4011/2013 e 5385/2013).
Il criterio identificativo dei crediti che possono essere realizzati esecutivamente sui beni conferiti nel fondo patrimoniale non va, dunque, ricercato nell’intrinseca natura delle obbligazioni, ma nella “relazione esistente tra il fatto generatore di esse e i bisogni della famiglia”.
Va, quindi, “accertato in fatto, se il debito in questione si possa dire contratto per soddisfare i bisogni della famiglia” (Cassazione, 3738/2015).
Secondo la Corte, la natura di “tributo” “non contraddice, in mancanza di prova contraria della quale era onerato il ricorrente, la circostanza che i crediti portati dai titoli esecutivi (…) riguardassero esigenze familiari”; per tal modo, spetta al debitore dimostrare che l’obbligazione tributaria fu contratta per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
Tra le righe si coglie altresì la cornice costituzionale all’interno della quale collocare l’istituto del fondo patrimoniale: il giudice del merito, difatti, è sempre tenuto a bilanciare le misure di protezione per i bisogni economici della famiglia (articoli 167 e seguenti cc) con i fondamentali principi concernenti la solidarietà economica fissati dagli articoli 23 e 53 della Carta costituzionale, evitando “l’utilizzo del fondo patrimoniale (…) a scopo elusivo”.