[A cura di: Salvatore Tiralongo – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate] La vicenda trae origine dal ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di liquidazione con il quale l’Amministrazione finanziaria richiedeva il versamento delle maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, a seguito della revoca delle agevolazioni “prima casa” concesse sull’atto di acquisto di un immobile. Questo perché il ricorrente aveva ceduto per donazione detto immobile prima del decorso del termine di cinque anni dall’acquisto e non aveva provveduto al riacquisto di abitazione nei successivi dodici mesi.
Il contribuente ricorreva in Commissione tributaria provinciale sostenendo l’illegittimità dell’atto impugnato, in quanto l’immobile era stato sì donato – nei cinque anni dall’acquisto agevolato – ma solo simulatamente e vi era una controdichiarazione sottoscritta dalle parti con efficacia risolutoria e retroattiva.
A seguito della sentenza della Ctp favorevole al contribuente, l’ufficio proponeva appello alla Commissione regionale. Questa lo accoglieva, affermando che “l’atto posto in essere, ovvero la simulata donazione, ha significato solo in quanto ha effetto nei confronti dei terzi, tra i quali non può non esserci l’Erario”.
Avverso detta pronuncia il contribuente propone ricorso per cassazione, tra gli altri, per il seguente motivo: violazione e falsa applicazione degli articoli 1414 e 1415 cc, per non avere la Commissione tributaria regionale considerato che la simulazione assoluta e la risoluzione per mutuo dissenso hanno determinato l’eliminazione dell’atto di liberalità posto a base della revoca delle agevolazioni prima casa.
La suprema Corte, con sentenza 21312/2018, conclude il giudizio con la conferma dell’operato dell’ufficio e il rigetto del ricorso del contribuente. Ai sensi del disposto dell’articolo 1414 del codice civile, “il contratto simulato non produce effetto tra le parti”. Il legislatore, all’articolo successivo, 1415 cc, specifica che lo stesso contratto simulato produce però effetti nei confronti dei terzi, non potendo “la simulazione…. essere opposta né dalle parti contraenti, né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione”.
Nella sentenza in esame, la suprema Corte sostiene, quindi, che la donazione simulata – in quanto trascritta ex articolo 2643 cc – determina il venir meno di una condizione giustificativa del regime delle agevolazioni “prima casa”, ovvero che l’immobile non sia venduto o donato prima che siano trascorsi cinque anni dalla data di acquisto.
Infatti, a giudizio della Cassazione, “non può assumersi che l’atto di risoluzione per mutuo dissenso abbia efficacia risolutoria degli effetti verso i terzi dell’atto di donazione, considerando che l’effetto risolutorio attiene unicamente ai rapporti tra le parti ex art. 1373 c.c.”.
La sentenza, inoltre, tiene conto del fatto che, secondo la prevalente dottrina, il mutuo dissenso può rappresentare una causa di risoluzione dei soli contratti a effetti obbligatori e non di quelli a effetti traslativi, considerando che questi ultimi esauriscono la loro funzione nel momento in cui viene prestato il consenso. Infatti, per far cessare gli effetti traslativi – già prodotti – non è ipotizzabile il mutuo dissenso che, come causa risolutiva tipica del contratto, presuppone che il rapporto giuridico sussista e permanga in vigore, quanto piuttosto un contratto a effetti opposti a quelli traslativi. Pertanto, a seguito del mutuo dissenso, il rapporto giuridico costituito con il contratto viene meno con effetto retroattivo, ma sono fatti salvi i diritti dei terzi.
Nel caso di specie, inoltre, detto atto era stato stipulato in data successiva alla notifica dell’avviso di liquidazione diretto al recupero delle imposte in misura ordinaria. La suprema Corte aveva già negato l’efficacia retroattiva del mutuo dissenso, con sentenza 791/2015, affermando che “l’applicazione dell’art. 38 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, che prevede la restituzione dell’imposta per la parte eccedente la misura fissa nel caso di nullità o annullamento dell’atto per causa non imputabile alle parti, è limitata, in considerazione del dato letterale e della sua ratio, alle sole ipotesi di nullità o annullamento dell’atto per patologie ascrivibili a vizi esistenti ab origine, e con esclusione di quelli sopravvenuti o relativi ad inefficacia contrattuale derivante da altre e diverse ragioni”.
Con sentenza 5075/1998, aveva ritenuto che “il contratto con il quale viene convenuta la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà di un immobile, comportando la retrocessione del bene oggetto del contratto risolto – cosa che per la legge di registro si verifica anche nella ipotesi di vendita con riserva di proprietà, dato che tale normativa considera detta vendita immediatamente produttiva dell’effetto traslativo – deve essere assoggettato alla imposta proporzionale da applicarsi con la aliquota prevista per i trasferimenti immobiliari”.