[A cura di: Emiliano Marvulli – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate] È legittimo l’accertamento presuntivo ai fini Iva nei confronti di una società immobiliare che sia basato sullo scostamento tra i corrispettivi dichiarati negli atti di compravendita e l’importo del mutuo richiesto dagli acquirenti, non potendosi escludere in materia di presunzioni semplici che l’accertamento trovi fondamento anche su un unico elemento presuntivo. Questo il principio contenuto nell’ordinanza n. 23379/2019, con cui la Corte di cassazione ha respinto il ricorso di una società.
La controversia prende le mosse dal ricorso proposto da una società immobiliare avverso un avviso di accertamento ai fini Irpeg e Iva, con cui l’Agenzia delle entrate ha rettificato il reddito dichiarato nel periodo d’imposta 2003. L’ufficio, riscontrando una serie di elementi indiziari di evasione fiscale relativamente a tre cessioni immobiliari – scostamento tra i corrispettivi dichiarati rispetto ai valori Omi e alle risultanze degli studi di settore e divergenza con l’importo dei mutui contratti dagli acquirenti – aveva accertato, in via presuntiva, l’esistenza di maggiori ricavi non dichiarati.
A seguito del rigetto da parte della Commissione tributaria provinciale, la società ha proposto appello, respinto anche dalla Commissione regionale. I giudici di secondo grado, confermando la pretesa erariale, hanno dichiarato la legittimità dell’avviso di accertamento perché poggiato su diversi elementi che nel loro complesso costituivano presunzioni gravi, precise e concordanti.
La contribuente ha impugnato la decisione d’appello dinanzi alla suprema Corte di cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione dell’articolo 15 del Dl 41/1995. A parere della ricorrente, la pronuncia risultava erronea per non aver tenuto conto della preclusione della rettifica dei valori indicati negli atti di compravendita, dal momento che i corrispettivi degli immobili non erano inferiori a quelli delle tariffe catastali rivalutate.
Il Collegio di legittimità ha ritenuto infondata la tesi della società e ne ha rigettato il ricorso.
Nella controversia in commento la Corte di cassazione si è pronunciata in merito alla legittimità degli accertamenti ai fini Iva con cui l’amministrazione finanziaria rettifica i corrispettivi delle transazioni immobiliari. Dopo un’articolata esposizione del quadro normativo a cui si riferisce il caso in esame, i giudici di cassazione hanno chiarito che le disposizioni previste dal Dl 223/2006, in materia di poteri di controllo degli uffici finanziari non hanno effetto retroattivo.
In ragione di tale chiarimento, la presunzione semplice legale introdotta dall’articolo 35 del citato decreto, che consente all’Amministrazione di rettificare i corrispettivi sulla base del solo scostamento dal valore normale – determinato secondo i valori Omi e i coefficienti di merito relativi alle caratteristiche dell’immobile, integrato da altre informazioni in possesso dell’ufficio – è applicabile solo agli atti (atti pubblici, scritture private autenticate e scritture private) redatti dopo il 4 luglio 2006.
Per gli atti formati anteriormente, invece, lo scostamento dal valore normale ha la valenza di una presunzione semplice e resta vigente il disposto dell’articolo 15 del Dl 41/1995. La disposizione preclude, ai fini Iva, la possibilità di rettifica del corrispettivo delle cessioni di fabbricati, se lo stesso è indicato nell’atto in misura non inferiore al valore determinato dalla capitalizzazione delle rendite catastali ai sensi dell’articolo 52, comma 4 del Dpr n. 131/1986, con l’unico limite che l’ufficio deve individuare i corrispettivi non dichiarati sulla base di un atto o di documento e non di “mere presunzioni estimative”.
Con particolare riferimento alla corretta applicazione dell’articolo 15 del Dl 41/1995, i giudici di piazza Cavour hanno chiarito che, se il corrispettivo della cessione indicato in atti:
In buona sostanza, quindi, il “valore normale” dell’immobile, costituendo un mero elemento indiziario di evasione, configura una presunzione semplice che necessita di ulteriori elementi di supporto per assumere i requisiti di gravità, precisione e concordanza e poter essere validamente sostenuto in giudizio.
Nel caso concreto i giudici di merito hanno dato corretta applicazione a tale principio, perché hanno valorizzato non solo lo scostamento del corrispettivo dichiarato con valori estimativi, quali i valori Omi e le risultanze degli studi di settore. L’accertamento, infatti, poggia anche sulla divergenza tra prezzo dichiarato in atti, comunque non inferiore al valore catastale, e il maggior importo del mutuo richiesto dagli acquirenti, che costituisce una prova di natura documentale, idonea a supportare la rettifica della dichiarazione ai fini Iva.
In calce alla sentenza, inoltre, i giudici di cassazione hanno affermato che, in materia di presunzioni semplici, l’accertamento può trovare fondamento anche su un unico elemento presuntivo, non essendo necessario a tal fine “che gli elementi assunti a fonte di presunzioni siano plurimi, benché gli artt. 2729, primo comma, cod. civ., 38, terzo comma, 39, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973 e 54 del D.P.R. n. 633 del 1972 si esprimano al plurale, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su un unico elemento, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico, non è sindacabile in sede di legittimità qualora sia sorretto da una adeguata motivazione che sia immune da contraddittorietà.”.
Nel caso in esame, quindi, non avrebbe comportato alcuna violazione delle norme in materia di onere probatorio la circostanza che la rettifica dei corrispettivi dichiarati fosse fondata solo sullo scostamento tra l’importo dei mutui ed i minori prezzi indicati dal venditore, non potendosi escludere in materia di presunzioni semplici che l’accertamento trovi fondamento anche su un unico elemento presuntivo.