“Un avviso di liquidazione fondato esclusivamente sui valori OMI, in difetto di ulteriori elementi forniti dall’Agenzia delle Entrate, anche solo nella eventuale fase contenziosa, non può indicare congruamente il valore venale in comune commercio del bene (immobiliare) né costituire l’unico presupposto della rettifica del valore degli immobili dichiarato in un atto di compravendita, e della conseguente maggiorazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali”.
È il principio di diritto richiamato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 13369/2020, di cui riportiamo un ampio estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V civ., sent. 1.7.2020,
n. 13369
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1. Con sentenza n. 358/14/12, depositata il 23 maggio 2012, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio rigettava l’appello proposto da I.C. e dalla L. Spa avverso la sentenza n. 247/63/11 della CTP di Roma, con compensazione delle spese di lite.
Il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di due avvisi di rettifica e liquidazione, notificati ad alienante ed acquirente, con i quali l’Agenzia delle Entrate, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, aveva rideterminato in euro 1.842.750 il valore di un immobile sito in Roma alla via …, dichiarato nella misura inferiore di euro 500.000 nell’atto di compravendita rogato in data 23 marzo 2007.
La Commissione di primo grado aveva parzialmente accolto i ricorsi dei contribuenti e, tenuto conto delle condizioni dell’immobile, ne aveva ridotto il valore accertato ad euro 980.000.
Gli appellanti avevano chiesto la riforma di tale decisione insistendo sul difetto di motivazione in ordine ai criteri di determinazione del valore degli immobili, sull’omessa pronuncia in merito ai presupposti di fatto, sulla contraddittorietà con altro precedente accertamento effettuato dall’amministrazione.
La CTR aveva confermato la decisione di primo grado, ritenendo sufficiente, ai fini della motivazione, l’indicazione del valore del bene accertato rispetto a quello dichiarato ed il riferimento agli elementi in base ai quali era stato determinato, lasciando alla fase contenziosa una più specifica ed analitica articolazione dei criteri di valutazione utilizzati; nel merito aveva ritenuto che tale valore fosse stato correttamente determinato mettendo a confronto la stima dell’Ufficio, derivante dall’applicazione delle valutazioni OMI, con quella della parte, espressa in una minuziosa relazione tecnica, tenuto conto dell’ubicazione dell’immobile, della categoria catastale D/8 e della rendita di euro 18.000 al mq già accertata dall’Agenzia del Territorio.
2. Avverso la sentenza di appello, I.C. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 9 gennaio 2013, affidato ad otto motivi; la L. Spa, con atto notificato il 20 febbraio 2013, a sua volta proponeva ricorso avverso la stessa sentenza, fondato su di un unico motivo; l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
(omissis)
1. Con il primo motivo la ricorrente I.C. censura la sentenza impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 24, comma 4, della I. n. 88 del 2009 e degli artt. 14 e 54, comma 2, del d.P.R. n. 633 dei 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., rilevando che a seguito della riformulazione di tali articoli non poteva più essere utilizzato, come unico elemento giustificativo dell’accertamento, lo scostamento dai valori normali stabiliti dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia del territorio, occorrendo invece l’indicazione di presunzioni gravi, precise e concordanti, per cui l’avviso andava annullato, dovendosi escludere il potere della CTP di sostituire l’Ufficio nella determinazione del valore;
(omissis)
4. La L. Spa, con un unico motivo, denuncia una omessa pronuncia sulla nullità dell’accertamento per mancanza dei presupposti e carenza di motivazione, risultando lo stesso basato esclusivamente sullo scostamento del valore dichiarato rispetto a quello “normale” di mercato determinato dall’OMI; lamenta poi la mancata valutazione del fatto che l’acquirente fosse una società di leasing, che non avrebbe avuto alcun interesse a corrispondere somme a nero di cui non avrebbe potuto ottenere la restituzione, la contraddittorietà con un precedente accertamento che aveva attribuito alla stessa porzione di immobile un valore inferiore, l’omessa valutazione delle caratteristiche dell’immobile, posto al piano interrato, e quindi di valore inferiore ai negozi posti al piano strada, e bisognevole di importanti lavori di manutenzione.
5. Preliminarmente va rilevato che dalla nota depositata dall’Agenzia delle Entrate si evince che l’istanza di definizione agevolata presentata dalla ricorrente I.C., ai sensi della l. n. 193 del 2016, non aveva ad oggetto anche l’imposta di registro di cui si controverte nel presente giudizio, sicché non sussistono i presupposti per dichiarare la cessazione della materia del contendere.
6. Venendo all’esame dei ricorsi, entrambi meritano accoglimento, stante la fondatezza del primo motivo proposto dalla ricorrente I.C. nonché del motivo proposto dalla società L. Spa.
6.1. Gli avvisi di rettifica e liquidazione di maggiori imposte di registro, ipotecarie e catastali impugnati, relativi alla compravendita di un immobile, sono stati redatti dall’Ufficio esclusivamente sulla base dei dati elaborati dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare, da cui è stato desunto il valore venale in comune commercio dei beni che, confrontato con il valore inferiore dichiarato, ha determinato l’accertamento in rettifica.
Nell’attuale quadro normativo l’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009 (c.d. legge comunitaria 2008), ha modificato l’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 (così come l’omologo art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA), eliminando le disposizioni introdotte dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla l. n. 248 del 2006, a seguito di un parere motivato del 19 marzo 2009 della Commissione europea, la quale, nell’ambito del procedimento di infrazione n. 2007/4575, aveva rilevato l’incompatibilità – in relazione, specificamente, all’IVA, ma con valutazione ritenuta estensibile dal legislatore nazionale anche alle imposte dirette – di tali disposizioni con il diritto comunitario.
Ne è conseguito il ripristino del regime anteriore al luglio 2006, per cui, sopprimendo la presunzione legale (ovviamente relativa) di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, tutto è tornato ad essere rimesso alla valutazione del giudice, il quale può, in generale, desumere l’esistenza di attività non dichiarate «anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti».
Questa Corte, in tema di accertamento dei redditi di impresa, ha già precisato che questa reviviscenza deve intendersi con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto comunitario che ha spinto il legislatore nazionale del 2009 ad intervenire (omissis), e che il principio è applicabile con effetto retroattivo anche all’imposta di registro. (Vedi Cass. n. 11439 del 2018).
È stato anche affermato che le quotazioni OMI, risultanti dal sito web dell’Agenzia delle entrate, non costituiscono una fonte tipica di prova del valore venale in comune commercio del bene oggetto di accertamento, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, ma strumento di ausilio ed indirizzo per l’esercizio della potestà di valutazione estimativa, idonee solamente a “condurre ad indicazioni di valori di larga massima” (Cass. n. 25707 del 2015) e che il riferimento alle stime effettuato sulla base dei valori OMI, per aree edificabili del medesimo comune, non è quindi idoneo e sufficiente a rettificare il valore dell’immobile, tenuto conto che il valore dello stesso può variare in funzione di molteplici parametri quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico, nonché lo stato delle opere di urbanizzazione (Cfr. Cass. n. 18651 del 2016 e n. 11439 del 2018).
Con principio, cui va data continuità, si è così ritenuto che “In tema di imposta di registro, l’avviso di liquidazione non può essere fondato esclusivamente sullo scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore del bene risultante delle quotazioni OMI pubblicate sul sito web dell’Agenzia delle Entrate, atteso che queste non costituiscono fonte di prova del valore venale in comune commercio, il quale può variare in funzione di molteplici parametri (quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico), limitandosi a fornire indicazioni di massima e dovendo, invece, l’accertamento essere fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti (vedi Cass. n. 21813 del 2018).
6.2. Pur volendo dare applicazione ad altro principio consolidato secondo cui “In tema di accertamento tributario, la motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che, fermo restando l’onere della prova gravante sulla Amministrazione, è sufficiente che la motivazione contenga l’enunciazione dei criteri astratti, in base ai quali è stato determinato il maggior valore, senza necessità di esplicitare gli elementi di fatto utilizzati per l’applicazione di essi, in quanto il contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale, senza poter invocare la violazione, ai sensi dell’art. 52, comma 2-bis, del d.P.R. n. 131 del 1986, del dovere di allegazione delle informazioni previste ove il contenuto essenziale degli atti sia stato riprodotto sull’avviso di accertamento” (vedi Cass. n. 22148 del 2017; n. 25153 del 2013; 14027 del 2012), si rileva che neppure nella fase giudiziale l’Amministrazione ha fornito ulteriori elementi idonei ad integrare quelle presunzioni gravi precise e concordanti richieste per giustificare l’inadeguatezza del valore dichiarato e l’attendibilità di quello accertato.
6.3. Va quindi ribadito che un avviso di liquidazione fondato esclusivamente sui valori OMI, in difetto di ulteriori elementi forniti dall’Agenzia delle Entrate, anche solo nella eventuale fase contenziosa, non può indicare congruamente il valore venale in comune commercio del bene né costituire l’unico presupposto della rettifica del valore degli immobili dichiarato in un atto di compravendita, e della conseguente maggiorazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali.
La CTR non ha fatto corretta applicazione dei principi espressi, ritenendo sufficiente, ai fini della legittimità dell’accertamento, il solo dato dello scostamento del valore dichiarato rispetto a quello risultante dalle quotazioni OMI.
7. Assorbiti tutti gli altri motivi, i ricorsi vanno, pertanto, accolti, la sentenza impugnata cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va accolto il ricorso introduttivo proposto dalle parti contribuenti.
(omissis)
La Corte accoglie i ricorsi, nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie i ricorsi introduttivi proposti da I.C. e dalla L. Spa;
compensa interamente tra le parti le spese di lite dei gradi di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate soccombente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in favore di ciascuna parte in euro 6.500 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.