[A cura di: FiscoOggi – Agenzia delle Entrate] È legittimo il sequestro preventivo che abbia a oggetto la casa coniugale, anche in caso di assegnazione di quest’ultima al coniuge in sede di accordi in tema di separazione personale, poiché non viene meno il profilo della disponibilità del bene in capo al conferente.
A stabilirlo, con la sentenza n. 2862 del 22 gennaio 2019, la Corte di cassazione.
La lite origina da un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni mobili e immobili di un amministratore di fatto di alcune società, indagato per diversi anni d’imposta per il reato di omessa presentazione della dichiarazione annuale (articolo 5, Dlgs 74/2000) e per il reato di indebita compensazione (articolo 10- quater, Dlgs 74/2000).
Il sequestro era confermato dal tribunale del riesame e, avverso tale provvedimento, l’indagato ricorreva per cassazione, eccependo vari motivi di illegittimità. Fra essi, era lamentata l’errata competenza territoriale del tribunale giudicante, in quanto il delitto di omessa presentazione della dichiarazione comportava l’individuazione del giudice competente di altra sede.
Inoltre, un’ulteriore censura atteneva l’avvenuta esecuzione della misura cautelare su di un immobile che, in sede di accordi per la separazione fra coniugi, era stato assegnato alla moglie separata dell’amministratore di fatto, per essere destinato ad abitazione di questa e delle figlie minorenni della coppia: ad avviso del ricorrente, detto bene, dunque, non essendo nella disponibilità dell’indagato a seguito dell’assegnazione alla moglie separata, non poteva essere attinto dalla misura cautelare.
La Corte di cassazione, ritenendo corretta la competenza territoriale del tribunale giudicante, conferma la legittimità del sequestro in questione.
In dettaglio, ad avviso del supremo Collegio, correttamente il tribunale di Milano ha preso quale riferimento per la determinazione della competenza territoriale la violazione del Dlgs 74/2000, articolo 10-quater, facendo da ciò coerentemente discendere l’applicazione dell’ordinario regime codicistico di radicamento della competenza nel luogo di consumazione del reato.
Del resto, il caso in esame presenta la peculiarità che tale luogo, trattandosi di un reato il cui momento perfezionativo è dato dalla inutile scadenza del termine per il versamento dell’imposta omessa, non è precisamente identificabile, atteso che il contribuente avrebbe potuto effettuare l’operazione omessa presso un qualsiasi concessionario abilitato alla riscossione delle imposte o, comunque, utilizzando forme di pagamento delocalizzate eseguite tramite soggetti intermediari (per lo più istituti di credito) a ciò espressamente preposti.
Conseguentemente, la Corte conviene con il tribunale del riesame, nel ritenere applicabile al caso di specie il criterio sussidiario di cui all’articolo 9 del codice di procedura penale, comma 3, in forza del quale, ove non sia stato possibile diversamente determinare la competenza territoriale sul reato per cui si indaga, questa è spettante all’ufficio che per primo abbia provveduto all’iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 c.p.p., della notizia di reato per cui si procede.
Quanto al merito, la Corte ribadisce l’importante principio di diritto, secondo cui, essendo stato espressamente finalizzato il sequestro a garantire la successiva eventuale confisca per equivalente (misura di sicurezza a carattere sanzionatorio, con la quale non si intende colpire direttamente i beni che abbiano costituito il prezzo o il profitto del reato commesso, quanto rendere improduttiva la sua commissione, sottraendo all’autore il controvalore del vantaggio realizzato attraverso quello), il fatto che i beni oggetto di sequestro non siano in diretto rapporto con i reati ipoteticamente realizzati è fattore del tutto fisiologico e privo di qualsivoglia significato in relazione a un eventuale vizio del provvedimento cautelare in questione.