[A cura di: dott. Jean-Claude Mochet – presidente commissione fiscale UPPI] Siamo abituati a pensare che l’Italia sia il paese europeo con la percentuale più alta di persone che detengono la casa di proprietà: così non è. Lo Stato membro dell’Unione Europea con il tasso più alto di proprietari della casa in cui vivono è la Romania (96%). Lo rende noto Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione europea, riportando dati relativi al 2016. Sempre secondo Eurostat, il 70% dei cittadini europei vive in una casa di proprietà, mentre il 30% è in affitto.
Dopo la Romania, a pari merito, Lituania, Croazia e Slovacchia (90%) segue l’Ungheria (86%). Il tasso di proprietari più basso è detenuto dalla Germania (52%), dall’Austria (55%), dalla Danimarca (62%), dal Regno Unito (63%) e dalla Francia (65%).
E l’Italia? Secondo l’Istat è all’80%. Nonostante ciò, lo stesso istituto certifica che l’edilizia in Italia non sta registrando segnali di ripresa, ed Eurostat evidenzia che il nostro Paese è il solo in Europa in cui i prezzi delle abitazioni – cioè il valore immobiliare dei risparmi delle famiglie e delle imprese – continuano a scendere.
Urgono azioni forti finalizzate a rimuovere i vincoli normativi e fiscali che impediscono al settore immobiliare di trainare lo sviluppo economico. Il carico tributario sugli immobili, infatti, arrivato a 50 miliardi di euro l’anno, costituisce un macigno fiscale che frena pesantemente un settore e il suo indotto, specie per effetto della tassazione patrimoniale, passata da 9 miliardi di euro del 2011 (con l’ICI) ai 21 miliardi del 2017 (con IMU e TASI).
Gli aumenti fiscali, peraltro, hanno penalizzato l’economia italiana: chiusura di imprese, perdita di posti di lavoro, caduta dei consumi, aumento dei locali commerciali sfitti, ulteriori ripercussioni sul settore bancario.
Negli ultimi 10 anni il sistema “costruzioni” si è letteralmente sgretolato: il suo peso sul Pil nazionale si è praticamente dimezzato, passando dal 29% al 17% attuale.
L’immobiliare italiano si distingue, rispetto a tutti gli altri Paesi europei, per un unico dato: in Italia sono state attuate politiche fiscali miopi, che hanno letteralmente annientato un intero settore e tutta l’economia che ruotava intorno ad esso, trasformando il mattone in un asset spesso illiquido. Sarebbe ora di prenderne coscienza e di varare misure di segno opposto.
La diminuzione del valore delle case è segno che la crisi è lungi dal risolversi, e getta nella sfiducia la maggioranza di coloro che ha investito, o intenderebbe investire, nel settore immobiliare.
In definitiva, la ricchezza delle famiglie italiane è allocata per l’87% in un bene, quello immobiliare, che, a causa della contingenza economica è tra i più illiquidi sul mercato e il cui valore è più ipotetico che reale; viceversa, le tasse e le imposte che gravano su di esso sono certe e reali e possibili ulteriori patrimoniali non sono oggi da escludere.
Le imposte sulla ricchezza oggi sono molto meno diffuse rispetto al passato. Le ragioni dell’abbandono di questa tipologia di tassazione sono state individuate nelle basse entrate fiscali e nel fallimento dell’obiettivo di una maggiore redistribuzione delle risorse. Nel corso del tempo, infatti, le entrate generate da tali imposte non sono aumentate nonostante la significativa crescita della ricchezza. Tuttavia, recentemente, soprattutto a causa delle pressioni provenienti dalle direttive europee, molti Paesi stanno ripensando ad una loro possibile reintroduzione.
Per l’U.P.P.I. desta preoccupazione la dichiarazione del Fiscal Monitor del Fondo Monetario che ritiene una priorità, per il nostro Paese, il risanamento dei conti pubblici, da realizzare tassando la proprietà immobiliare e i risparmi, introducendo una super-patrimoniale per restare in Europa.
È necessario che il legislatore capisca che all’Italia serve una tassazione snella e trasparente, di facile e meccanica applicazione, equa e sostenibile, che non solo generi beneficio alle casse dello Stato, ma che sia trampolino di lancio per la ripresa di importanti settori dell’economia, come il settore immobiliare, oltre che disincentivo all’evasione.
Corrette dunque le affermazioni del Ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria che, a proposito dell’aumento della tassazione immobiliare, ne riconosceva, già nel 2015, “gli effetti negativi sia sul settore delle costruzioni sia sui consumi, a causa dell’effetto ricchezza negativo sulle decisioni di spesa delle famiglie”.