[A cura di: dott. Jean-Claude Mochet – vice presidente nazionale e presidente della Commissione Fiscale Nazionale U.P.P.I.] La legge di bilancio 2020 sancisce definitivamente il ruolo di garante dei conti pubblici del “mattone” e della piccola proprietà immobiliare.
La nuova legge di bilancio non proroga per il 2020 la cedolare secca sulle locazioni di immobili commerciali, una decisione che delude l’U.P.P.I. e i piccoli proprietari immobiliari per svariati motivi. Prima di tutto, lungi dal rappresentare un peso per lo Stato, la cedolare secca ha permesso una notevole emersione di redditi che, diversamente, non sarebbero stati tassati: è la stessa nota di aggiornamento al documento di economia e finanza a evidenziare che l’effetto dell’introduzione della cedolare secca è stato quello di dimezzare, dal 2012 al 2017, del 50,45% l’evasione tributaria negli affitti abitativi. In secondo luogo, la cedolare secca avrebbe comportato per lo Stato una riduzione del gettito Irpef molto marginale (inferiore ai 160 milioni di euro) senza tener conto dell’impatto sull’emersione e quindi la scelta di aver eliminato la cedolare secca sui negozi è una scelta di miopia politica che nulla ha a che fare con la riduzione del prelievo tributario.
Altra novità della legge di bilancio 2020 è costituita dall’abrogazione della Tasi; al suo posto subentrerà la nuova IMU, che unificherà le due vigenti forme di prelievo. Tuttavia l’effetto dell’elemento positivo dell’accorpamento dei due tributi è immediatamente vanificato dall’aumento dell’aliquota ordinaria, che passa dal 7,6 all’8,6 per mille; inoltre l’aliquota massima potrà, per 295 Comuni, essere maggiorata all’11,4 per mille, sancendo, definitivamente, che un numero limitato di Comuni possa usufruire di un limite massimo di tassazione maggiore rispetto a quello di tutti gli altri, senza che vi sia nessuna motivazione sottostante. Inoltre, sui proprietari graverà la quota oggi a carico degli inquilini, variabile tra il 10% e il 30% del tributo.
L’U.P.P.I. ritiene impraticabile la possibilità, introdotta dal Governo, che i Comuni possano azzerare l’IMU.
Da tempo l’U.P.P.I. sostiene che se si propone ai contribuenti una tassazione semplice, certa, equa e trasparente, accompagnata da adempimenti burocratici meccanici e di facile applicazione, non solo si generano enormi benefici per le casse statali, ma anche un forte stimolo ad importanti settori dell’economia, come il settore immobiliare, oppressi da un aumento selvaggio dei fardelli fiscali e imbrigliati in una giungla di cavilli burocratici.
Non solo. Uno snellimento della tassazione sul “mattone” avrebbe in parte contribuito a contrastare la crisi del mercato immobiliare in termini di andamento dei prezzi delle case. Infatti, rispetto al 2010, i prezzi delle abitazioni esistenti risultano in calo, secondo l’Istat, del 23,7%. Si noti che nel secondo trimestre del 2019 l’Italia è risultata l’unico Paese nel quale i prezzi delle case sono scesi, poiché, mediamente, nello stesso periodo, i prezzi delle case nell’Eurozona sono cresciuti dell’1%.
A questi motivi squisitamente economici si aggiunge anche la forte preoccupazione per l’affievolirsi di una tradizione culturale e sociale tipica del nostro Paese, il rifiuto del Governo, che deve sottostare alle direttive europee, di snellire la tassazione sulla “casa”, anzi la sua ormai evidente volontà di utilizzare i piccoli proprietari immobiliari come “bancomat” per il mantenimento dell’equilibrio dei conti pubblici, ha causato, dal 2011 al 2016, stando ai dati resi noti dall’Agenzia delle entrate, una diminuzione della percentuale di famiglie che possiedono la casa in cui sono residenti, passiamo dal 79,1% del 2011, al 77,4% del 2014, fino ad arrivare al 75,2% del 2016.
È evidente che, da un lato l’aumento della tassazione e della complessità burocratica, dall’altro la svalutazione del valore del “mattone” rendono questo tradizionale investimento sempre meno appetibile.