[A cura di: Giovanni Di Lauro – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate] La disponibilità di un bene immobile, specialmente se ha una forte vocazione turistica, costituisce una potenziale fonte di reddito realizzabile attraverso la semplice conclusione di un contratto di locazione che, laddove non abbia una durata superiore ai trenta giorni, ha una sua specifica disciplina fiscale semplificata (Dl 50/2017), relativamente alle stipulazioni che avvengono a decorrere dal 1° giugno 2017.
Nonostante l’utilizzo di internet o l’iscrizione ai diversi social network semplifichi di molto la possibilità di pubblicizzare l’offerta del bene sul mercato da parte del proprietario, il legame con il territorio e il momento della trattativa ad personam restano dei fattori di particolare importanza per il buon esito della conclusione del contratto sotto un profilo anche e soprattutto pratico.
A tal proposito, il punto di incontro tra domanda e offerta avviene spesso grazie alla figura del mediatore immobiliare che oltre a fungere medio tempore da custode e supervisore del bene immobile, si occupa anche e soprattutto di tutte le incombenze del caso, come la stipula del contratto su mandato del proprietario, la consegna delle chiavi al cliente con annessa riconsegna e il controllo dello stato dell’immobile alla fine del periodo della locazione.
I modelli organizzativi aziendali in questo settore sono molteplici, ma in quello degli immobili turistici, in particolare, ricorrono spesso o la figura dell’agenzia comune, che opera sulla base di un mandato finalizzato solo alla locazione, oppure le agenzie specializzate, che offrono servizi aggiuntivi rispetto alla semplice conclusione del contratto.
Tale distinzione non è di poco conto in quanto, se all’attività del mediatore immobiliare tout court si aggiungono prestazioni accessorie di servizi di natura alberghiera o di vario altro genere, tale modus operandi delinea un’attività più complessa e articolata che, in quanto avente natura imprenditoriale in re ipsa, va assoggettata nella sua globalità a un maggior reddito di impresa, pur in mancanza di una organizzazione esterna in forma aziendale e purché venga esercitata per professione abituale ancorché non esclusiva.
Questo è quanto è stato sancito dalla Corte di cassazione con ordinanza n. 21841 del 7 settembre 2018, che ha esaminato la vicenda processuale di una società di capitali operante sull’isola di Ponza, la cui attività formale sottoposta a tassazione era quella della mediazione immobiliare, ma a cui gli organi di controllo fiscale hanno contestato un maggior reddito di impresa per omessa contabilizzazione di ricavi in relazione allo svolgimento di fatto e in prevalenza di un’attività di affittacamere e di gestione di case e di appartamenti per vacanza, con fornitura degli annessi servizi accessori riconducibili a prestazioni di servizio di natura alberghiera.
Gli elementi di fatto che possono legittimare gli organi di controllo a effettuare delle contestazioni di natura fiscale e che possono poi condurre l’autorità giudiziaria a ritenere, come è avvenuto nel caso citato, che l’attività svolta sia di natura imprenditoriale, sono molteplici e, più precisamente:
Secondo la risoluzione 9/1986 dell’Amministrazione finanziaria, il requisito della professione abituale con il compimento, sia pur discontinuo, di una serie ripetuta di atti per la produzione e lo scambio di beni e di servizi, ha una rilevanza decisiva ai fini fiscali in quanto funge da elemento distintivo tra le attività commerciali attratte al reddito di impresa ex articolo 51 e seguenti del Dpr 597/1973, e le altre attività occasionali di cui all’articolo 77 dello stesso decreto.
Ai fini dell’Iva, invece, la risoluzione 180/E del 1998 precisa come il tributo si applica allorché la prestazione sia non occasionale, vale a dire che l’attività, pur se esercitata periodicamente, non deve essere svolta in modo sistematico con carattere di stabilità, deve essere senza organizzazione di mezzi et ergo non deve avere il carattere della professionalità. Diversamente, i ricavi che ne conseguiranno saranno imponibili ai fini Iva, ex articolo 4, Dpr 633/1972, che dà attuazione all’articolo 4, comma 2, della VI direttiva Cee n. 77/288 del 17 maggio 1977.