[A cura di: dr. Jean-Claude Mochet – pres. Comm. fiscale naz. Uppi] Le politiche economiche e finanziarie dell’Unione Europea hanno avuto come conseguenza la modifica della composizione della ricchezza delle famiglie italiane: in precedenza la maggior parte della ricchezza era costituita dalla casa di proprietà e, in parte, dal risparmio privato. Oggi, a causa dell’attuazione delle politiche di austerità, che hanno come principio quello dell’aumento indiscriminato della tassazione nell’ipotesi che tale aumento consenta di ridurre il debito pubblico, il valore dei beni immobili è crollato, trascinato dall’impennata di IMU e TASI a livello locale.
Il fallimento di tali politiche è sotto gli occhi di tutti, non solo dal punto di vista del rilancio economico, sempre più solo un miraggio, ma anche dal punto di vista dei conti dello Stato che, nonostante le tasse in Italia, secondo un autorevole studio della Cgia di Mestre, siano aumentate dell’80%, continuano a non tornare: il debito dello Stato italiano non solo sale, ma addirittura è in accelerazione.
Non si può, quindi, non essere d’accordo con quanto ha dichiarato il ministro dell’Economia Giovanni Tria in risposta all’ennesimo attaccato del Fondo Monetario Internazionale il quale sostiene che l’Italia rappresenti un rischio per l’Europa: “Il vero rischio è proprio il FMI con le sue politiche”.
La realtà è che, in un contesto di recessione economica, come è quello in cui si trova il nostro Paese, non è possibile ripagare il debito pubblico, infatti, famiglie e imprese sono esse stesse in difficoltà nel pagamento dei loro debiti privati. In Italia, in meno di venti anni, la quota di ricchezza nominale detenuta dal 90% meno benestante della popolazione si è ridotta dal 60 al 45%. Occorre interrogarsi, in maniera chiara, sul senso dell’attuazione di politiche, dettate dall’Unione Europea, che non solo non generano nessun beneficio, ma, addirittura, danneggiano la nostra economia.
Fa riflettere non poco la nota dell’agenzia di rating Moody’s, che giudica positivamente e si compiace per lo sblocco delle aliquote a livello locale che, sempre secondo l’agenzia, pone fine ad un “congelamento” delle tasse locali durato tre anni. Nonostante le tasse locali generino già circa 60 miliardi di euro di entrate all’anno, l’agenzia Moody’s gioisce riportando che la riforma potrebbe consentire ulteriori entrate di circa 2 miliardi di euro, pari al 10% dei loro margini correnti se la rimodulazione di tasse ed esenzioni fosse portata all’estremo: tradotto, se tutti i comuni accettassero di portare le tasse locali all’aliquota massima.
La verità è che un Paese è tanto più gradito alle agenzie di rating e all’Unione Europea, quanto più aumenta le tasse. Poco importa che questo aumento folle della tassazione paralizzi un’intera economia e non generi assolutamente una riduzione del pubblico indebitamento.
Per l’U.P.P.I. è più che mai importante che il legislatore italiano capisca che al nostro paese serve una tassazione più sostenibile per gli italiani, più snella e trasparente, in particolare sulla casa, che sia da trampolino di lancio per la ripresa di importanti settori dell’economia, come il settore immobiliare.