[Giovanni Di Lauro – FiscoOggi]
L’opposizione alla pretesa tributaria, da parte dell’erede che ha accettato l’eredità con beneficio d’inventario, può essere fondata sulla sola base del valore dell’attivo ereditario che è stato oggetto di inventario o è necessario anche il procedimento di liquidazione del medesimo?
La distinzione non ha poco rilievo, dal momento che i beni oggetto di inventario hanno una valutazione che è ben diversa da quella che avranno in fase di liquidazione. Basti pensare solo che, in sede di inventario, i beni immobili ricadenti nella successione vengono indicati e valutati in base al valore catastale e non a quello di libero mercato. D’altra parte, la procedura di liquidazione, proprio dei beni immobili, può richiedere un tempo di realizzazione non breve a causa della molteplicità dei beni che potrebbero non risultare tutti intestati al 100% al de cuius, alla loro naturale tendenza alla svalutazione in sede di vendita tramite asta giudiziaria nonché alla poca propensione all’acquisto in un certo periodo congiunturale di beni di investimento.
In tale contesto, è comunque chiaro che l’erede non possa rispondere ultra vires hereditatis ed è altrettanto pacifico che il debito tributario diventerà esigibile nei confronti dell’erede solo quando sarà chiusa la procedura di liquidazione dei debiti ereditari e sempre che sussista un residuo attivo in favore dell’erede (da ultimo, cfr. Cassazione nn. 23019/2016, che ha colto la tesi dell’Agenzia delle entrate; conformi, Cassazione n. 14847/2015 e n. 4419/2008).
Il valore scaturente dalla redazione di inventario non rappresenta, dunque, il limite debitorio massimo entro il quale gli eredi sono chiamati a rispondere ma costituisce, invece, un valore ricognitivo della massa ereditaria sulla cui base si procederà successivamente alla liquidazione con conseguente realizzo di un valore, che sarà certamente diverso da quello originariamente indicato.
Sul punto, la costante giurisprudenza di legittimità ha affermato che “l’attività diretta alla formazione dell’inventario ex art. 484 c.c. ha carattere meramente descrittivo della situazione patrimoniale quale risulta dalle carte e dalle note del defunto” (Cassazione, sentenza n. 2626/1983); e, ancora, “l’osservanza delle forme e dei termini per la redazione dell’inventario prescritto dall’art. 9, comma secondo, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, non risponde alla finalità di limitare la responsabilità patrimoniale degli eredi per i debiti del de cuius, ma a quella di fissare un sistema probatorio per la ricostruzione della consistenza dell’eredità devoluta” (Cassazione, sentenza n. 15532/2006).
Risulta palese, dunque, l’errore in cui si potrebbe incorrere allorquando, ai fini della determinazione del limite della pretesa creditoria tributaria, non si colga la suddetta distinzione e si faccia confusione tra il valore dei beni effettuato in sede di redazione dell’inventario ex articolo 484 cc e il valore derivante dalla liquidazione degli stessi ex articolo 498 e seguenti del codice civile.
Inoltre, la sentenza del giudice tributario che condanni la parte al pagamento dei debiti ereditari nei limiti dell’attivo ereditario, se è certa nell’an, in quanto pone in capo all’erede l’obbligo di procedere alla liquidazione, dall’altro è incerta nel quantum, dipendendo da quello che ne sarà il ricavato.
Tra l’altro, la natura e la portata di tale tipo di sentenza sarebbe ipotizzabile anche sub specie di condanna futura, ma ciò non toglie che essa costituisce titolo esecutivo per il creditore, che potrà agire coattivamente a sua tutela sull’attivo ereditario in caso di decadenza dal beneficio dell’inventario o di inerzia degli eredi.