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Con l’ordinanza n. 1538 del 25 gennaio 2021 la Corte di cassazione torna sul discusso tema dei criteri utilizzabili per individuare la categoria dei “beni di lusso”, necessaria per l’attivazione di determinate agevolazioni fiscali. La decisione in commento afferma che al fine di stabilire se un’abitazione è di lusso, occorre fare riferimento alla nozione di superficie utile complessiva che va determinata escludendo dalla estensione globale riportata nell’atto di acquisto sottoposto all’imposta, quella di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posto macchina. In altri termini, ciò che assume rilievo – in coerenza con l’apprezzamento dello stesso mercato immobiliare – è la marcata potenzialità abitativa del bene e, più precisamente, l’idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana.
La vicenda
La controversia in commento origina dalla notifica, da parte dell’Agenzia, di un avviso di decadenza dalle agevolazioni “prima casa”, dovuta al fatto che il bene compravenduto – un villino unifamiliare dotato di garage e lotto di terreno antistante – era risultato dotato delle caratteristiche tipiche dei “beni di lusso”, così come individuate dall’articolo 6 del Dm Lavori pubblici del 2 agosto 1969.
Il ricorso presentato dal contribuente, avverso il suddetto atto impositivo, veniva accolto dalla Commissione tributaria di primo grado sulla base del convincimento che la differenza tra la metratura accertata dal consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice e quella individuata secondo i criteri di cui all’articolo 6 del citato decreto ministeriale, determinante la caratteristica del bene di lusso, potesse essere frutto di ragionevole errore.
I giudici regionali, successivamente aditi, accoglievano l’appello proposto dall’Agenzia riconoscendo il carattere di lusso dell’immobile sulla scorta delle conclusioni a cui è giunto il consulente tecnico d’ufficio che aveva accertato il superamento del limite di 240 mq escludendo dal computo i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e il posto macchina.
Nel proporre ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado, il contribuente deduceva che i giudici regionali avessero errato nell’includere ai fini del calcolo della superficie utile i pianerottoli presenti all’interno dell’immobile al piano terra, al primo piano e al piano seminterrato e nell’omettere di considerare che una porzione del seminterrato antistante agli accessi al bagno e al locale lavanderia fosse adibita a cantina e, quindi, da escludere dal computo della superficie utile complessiva.
La decisione
Con l’ordinanza in commento la Corte suprema, nel dar seguito a un indirizzo interpretativo già affermato e ormai consolidato, ritiene che al fine di stabilire se un’abitazione è di lusso e, come tale, esclusa dai benefici “prima casa”, occorra fare riferimento alla nozione di superficie utile complessiva di cui al Dm citato, per il quale, premesso che viene in rilievo la sola utilizzabilità e non anche l’effettiva abitabilità degli ambienti, detta superficie deve essere determinata escludendo dalla estensione globale riportata nell’atto di acquisto sottoposto all’imposta, quella di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchina. In definitiva, ciò che assume rilievo – in coerenza con l’apprezzamento dello stesso mercato immobiliare – è la marcata potenzialità abitativa del bene e, più precisamente, l’idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana.
Nel caso esaminato i giudici di legittimità rilevano inoltre che “i pianerottoli interni all’immobile non sono compresi nella elencazione tassativa, prevista dall’art. 6 d.m. citato, delle aree escluse dal calcolo né possono equipararsi alle scale stante la diversa conformazione ed utilizzo delle aree. Non è possibile, quindi, aderire ad una soluzione ermeneutica estensiva, atteso che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere in materia fiscale non sono passibili di interpretazione analogica e, quindi, questi non possono essere riconosciuti nelle ipotesi in cui non siano espressamente previsti”.
Brevi considerazioni finali
L’articolo 6 del Dm Lavori pubblici del 2 agosto 1969 definisce “abitazione di lusso” le singole unità immobiliari che hanno superficie utile complessiva superiore a 240 mq, il cui computo va effettuato escludendo i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine. Differenti sono le interpretazioni che sono state offerte del concetto di “superficie utile”.
La Corte di cassazione, già con la sentenza del 18 settembre 2013, n. 21287, ha affermato che la norma contenuta al citato articolo 6, dovesse essere interpretata nel senso di dover escludere dal dato quantitativo globale della superficie dell’immobile indicata nell’atto di acquisto (in essa compresi, dunque, i muri perimetrali e quelli divisori) solo, i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine e non l’intera superficie non calpestatile. A sostegno di tale impostazione può altresì sottolinearsi come nella formula “superficie utile complessiva” contenuta nella norma, manchi l’aggettivo “netta” che, invece era presente nel testo “superficie utile netta complessiva” della disposizione che dettava la previgente definizione delle caratteristiche delle abitazioni di lusso (tabella allegata al Dm 4 dicembre 1961; in questi termini, si veda anche Cassazione, ordinanza n. 24469/2015).
Pertanto. alla luce della prevalente impostazione adottata dalla Corte di legittimità è possibile affermare che la corretta interpretazione da offrire alla norma in esame, presuppone che la superficie utile vada considerata escludendo, dal computo metrico, solo i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine e, in particolare, includendo nella metratura i muri, le soglie di passaggio da un vano all’altro, le nicchie, gli sguinci di porte e finestre. Va ribadito che, al fine di individuare la superficie utile per identificare le abitazioni di lusso, è irrilevante la calpestabilità dell’area in questione.
In definitiva viene affermato, ormai in termini consolidati, che ai fini dell’individuazione di una abitazione di lusso, nell’ottica di escludere il beneficio “prima casa”, la superficie utile deve essere determinata guardando alla “utilizzabilità degli ambienti” a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituendo tale requisito, il parametro idoneo a esprimere il carattere “lussuoso” di una abitazione. Ne consegue che il concetto di superficie utile non può restrittivamente identificarsi con la sola “superficie abitabile”, dovendo l’articolo 6 essere interpretato nel senso che è “utile” tutta la superficie dell’unità immobiliare diversa dai balconi, dalle terrazze, dalle cantine, dalle soffitte, dalle scale e dal posto macchine e che nel calcolo dei 240 mq rientrano anche le murature, i pilastri, i tramezzi e i vani di porte e finestre. A tal fine, quindi, non si applicano le normative edilizie o igienico-sanitarie, in quanto gli unici locali da escludersi sono quelli espressamente indicati nella suddetta normativa. Pertanto, il requisito dell’utilizzabilità degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituisce parametro idoneo a esprimere il carattere lussuoso di una abitazione, assumendo rilievo – in coerenza con l’apprezzamento dello stesso mercato immobiliare – la marcata potenzialità abitativa dello stesso. A fronte dell’irrilevanza del mero dato catastale, quindi, grava sul contribuente l’onere di provare, tramite idonea documentazione tecnica, che i vani in questione non siano utilizzabili a scopo abitativo (Cassazione, ordinanda n. 4592/2018).