[A cura di: Flavio Maccione – segr. gen. nazionale APPC]
Fare uscire il mattone dalla palude è l’obiettivo che il Paese deve porsi, se vuole dare fiato a quello che è considerato uno dei volani portanti dell’economia che, in questi anni di crisi, ha perso oltre il 30% di occupati, scendendo dai due milioni di addetti a poco più di un milione e quattrocentomila. Con una perdita di 600mila posti di lavoro, nello stesso periodo il comparto del residenziale è crollato del 40% ed ora potrebbe essere pronto ad una leggera inversione di tendenza.
Ma, in una situazione dove il recupero dell’esistente è arrivato al massimo e più di tanto non può crescere, e dove la spinta dei bonus dedicati alla antisismica non si sa quale impatto potrà avere, qualche positività può essere raccolta investendo sulle energie rinnovabili, le nuove tecnologie, i nuovi materiali, la digitalizzazione, e, certamente qualche spiraglio di luce in più potrebbe venire, oltre che dagli investimenti sulle opere pubbliche, dalla rigenerazione urbana.
In ogni caso per ridare quello slancio di cui c’è bisogno, occorre, a costo di essere monotoni e ripetitivi, ricreare fiducia, serenità, stabilità e fare quell’energico taglio alle tasse, che tutti si aspettano, collegato ad una sforbiciata della spesa pubblica, che continua, purtroppo, tendenzialmente, a crescere.
All’orizzonte del pianeta casa, si sono affacciati timidi segnali di ripresa, ma ancora troppo deboli ed oscillanti: per creare aspettative c’è bisogno di rafforzarli e renderli stabili. Ecco allora il proprietario – a caccia di un rendimento concreto dell’immobile – augurarsi di evitare la bomba ad orologeria innescata dalla malasorte di una morosità e di un periodo di sfitto, più o meno lungo, e dalle tasse che azzerano, o meglio negativizzano, anche la più pallida speranza di profitto.
Eccolo alle prese con la necessità di sciogliere gli interrogativi sulla tipologia contrattuale da praticare, la forma di tassazione cui sottoporre il reddito da affitto e la scelta dell’inquilino.
Prendendo in esame l’andamento del mercato della locazione, ultimamente si è rilevata una certa dinamicità, con un percepibile abbattimento dello sfitto ed una crescita dei rendimenti. Analizzando, emerge che diversa è la posizione di chi ha investito su un immobile dieci anni fa ed ha visto volatilizzarsi ogni redditività (considerato che i valori hanno subito un crollo di oltre il 30%) rispetto a chi ha investito di recente (in questo caso il periodo consente un calcolo positivo, in quanto il rendimento netto può essere anche di un pieno 2%).
Per l’uso abitativo la legge 431/98 regola, all’art. 2, comma 1, i cosiddetti contratti a canone libero (4+4), dove il canone è lasciato alla libera contrattazione delle parti. Il contratto ha una durata di quattro anni, che viene prorogata di altri quattro a meno che il proprietario non intenda, alle condizioni contenute nell’articolo 3, adibire l’immobile all’uso previsto, o effettuare sullo stesso opere, o venderlo sempre secondo le modalità indicate nello stesso articolo.
Alternativo al canone libero è il canone concordato (3+2), regolato dall’art. 2, comma 3 della sopracitata legge: il canone è stabilito secondo gli accordi territoriali che sono stati definiti, in sede locale, tra le organizzazioni più rappresentative della proprietà e dell’inquilinato e che sono stati depositati presso i Comuni nelle aree interessate, i cosiddetti Comuni ad alta tensione abitativa. In assenza di accordi locali ci si avvale dell’accordo di un Comune limitrofo similare. È da rilevare che, sulla base del decreto ministeriale delle Infrastrutture e dei Trasporti del 16.01.2017, entrato in vigore il 15 marzo dell’anno scorso, sono in fase di definizione, su scala nazionale, i nuovi accordi, che ora interessano tutti i Comuni del territorio nazionale. Ma è importante verificare con attenzione dove sia possibile godere delle agevolazioni fiscali. Ad ogni buon conto, in questo caso il canone viene determinato secondo parametri stabiliti nelle varie microzone ed è compreso tra un valore minimo ed un valore massimo.
Molte altre forme contrattuali sono da prendere in considerazione, a cominciare dai contratti per studenti, che, soprattutto nelle città universitarie, ed in tutte le città sedi di centri universitari, registrano margini di ritorno più sostanziosi, qualora si verifichino solo ipotesi favorevoli, molto vicini al 5% lordo. In questo caso, l’investimento sul mattone ha preso in considerazione situazioni quali la vicinanza alla sede universitaria, l’incremento del prezzo rispetto ad un affitto tradizionale, in quanto si tratta di case arredate, la solvibilità dello studente che, di solito, è garantita dal genitore, coinvolto come garante nel contratto, inoltre la formula dell’affitto concordato per studenti consente l’accesso alla cedolare al 10%.
È, altresì, vero che l’affitto allo studente presenta svantaggi quali la durata contrattuale breve, la scarsa cura con cui viene tenuto l’immobile, ma questa tipologia di locazione rende più della media.
Se il mercato dell’affitto è in tendenziale ripresa ciò è dovuto anche alla domanda dell’affitto transitorio, in crescita a causa di una maggiore mobilità della popolazione (durata del contratto fino a diciotto mesi), ed al cosiddetto affitto breve – durata del contratto fino a trenta giorni – che si identifica con quello a carattere tipicamente turistico, al quale, a decorrere dal primo giugno 2017, è stata introdotta la ritenuta del 21% da operarsi, da parte dell’intermediario al momento del versamento dell’affitto al locatore. Chi non si è servito di portali o di intermediari pagherà l’Irpef o la cedolare al momento del saldo della tassazione il prossimo giugno.
Scelta la tipologia di contratto, importante valutarne attentamente il prelievo fiscale: quindi spetta al proprietario verificare se optare per il regime IRPEF, sottoponendo a tassazione il canone annuo dedotto il 5%, con un’ulteriore eventuale riduzione del 30% nell’ipotesi si prenda in considerazione un canone concordato, o se optare per la cedolare secca, che nel canone libero, 4+4, prevede un’aliquota fissa al 21%, mentre nel canone concordato l’aliquota è scesa, a partire dal 2014, dal 15% al 10% (questa percentuale è stata confermata dalla legge di stabilità fino al 31 dicembre 2019, anche se l’Appc aveva chiesto che andasse a regime).
Questa forma di imposizione fiscale, in generale, piace ed è sempre più praticata, grazie all’aliquota favorevole, che compensa l’affitto certamente più basso, per cui la redditività rimane ugualmente interessante.
È da tenere presente che, per quanto riguarda la cedolare secca:
Va rilevato che l’Appc, nell’ambito di un progetto, presentato al Ministero delle Infrastrutture, sulla riforma dell’affitto ad uso diverso dall’abitazione, aveva richiesto che si approvasse la forma di tassazione a cedolare secca anche su questo canale. Ma il sogno di vedere concretizzata la nostra richiesta, e quella delle altre associazioni della proprietà, si è vanificato. Da qui l’amara constatazione che non si è voluto aprire uno spiraglio a favore degli immobili dedicati al terziario, oggi particolarmente in crisi.
E ora la scelta impegnativa dell’inquilino. Questi, di solito, è persona (o una famiglia) che ha una situazione di provvisorietà, dovuta a motivi di lavoro o a motivi di studio; oppure si tratta di persona (o famiglia) che non ha disponibilità finanziarie per rivolgersi all’acquisto. In quest’ultimo caso è consigliato valutare che il locatario possa dedicare all’affitto almeno il 30% della disponibilità dei suoi introiti, in quanto il rischio morosità, nell’ipotesi di situazione economica debole, non è poi così remoto.
Al proprietario è consigliato esaminare la capacità reddituale del soggetto, verificandone la condizione lavorativa, eventuali referenze e motivazioni della ricerca dell’immobile in affitto.
È bene valutare, inoltre, se rivolgersi, a garanzia degli impegni contrattuali, a fidejussioni bancarie o ad altre forme di garanzia assicurativa.
Nella malaugurata ipotesi di ritardati o mancati pagamenti del canone, occorre attivarsi subito per le procedure di morosità per evitare eccessivo danno economico, tenuto conto anche della durata del percorso di uno sfratto per rientrare in possesso dell’immobile. Gli sfratti per morosità, purtroppo, anche per quella incolpevole, perché causata da perdita del posto di lavoro, fanno registrare un trend in crescita. È da prendere in considerazione che, oltre la tassazione, proprio la morosità e il periodo in cui l’immobile rimane sfitto sono i principali nemici della redditività del mattone. La morosità, spesso, si conclude con uno sfratto esecutivo, dopo un’attesa media per la quale non sono stati percepiti canoni di circa un anno; a quel punto, nella generalità dei casi, occorre muoversi per il riordino dell’immobile prima di procedere ad un nuovo affitto, ed il periodo per il quale l’immobile non ha redditività si allunga almeno di altri due-tre mesi, e va unito al periodo di sfitto trascorso nella ricerca di un inquilino, che evidenzi qualche chance di affidabilità, per calcolare la perdita subita.