[A cura di: Dott. Jean-Claude Mochet vice pres. naz. e pres. Commissione fiscale Uppi] In questi mesi leggiamo ovunque che il Recovery Fund salverà l’Italia dal disastro economico; molti politici lo accolgono con entusiasmo, salutandolo come un novello piano Marshall; gli amministratori locali immaginano già progetti faraonici che si materializzeranno sotto una pioggia di soldi provenienti dall’Unione Europea. Peccato che la realtà sarà ben altra.
Partiamo innanzitutto dal fondo previsto per aiutare i singoli Stati ad affrontare la crisi economica, determinata dal Covid-19 che ammonta a 750 miliardi, di cui 390 saranno erogati a fondo perduto, altri 360 sotto forma di prestiti. All’Italia ne dovrebbero spettare 209: 82 miliardi di sussidi e 127 di prestiti.
È bene precisare che l’intero importo del fondo che costituirà il Recovery Fund, cioè 750 miliardi, sarà finanziato con l’erogazione di debito da parte della Commissione. Pertanto l’Italia, come ogni Paese che beneficerà del fondo, non dovrà solo restituire i 127 miliardi ottenuti in prestito, ma dovrà anche partecipare al rimborso complessivo dei 390 miliardi che l’Europa erogherà a fondo perduto. Poiché l’Italia partecipa all’intera economia europea per il 13,5%, il nostro Paese, tra il 2028 e il 2057, dovrà contribuire maggiormente al bilancio europeo per un importo oggi stimato in 55 miliardi propri. Insomma, degli 80 miliardi a “fondo perduto” l’Italia dovrà comunque restituirne due terzi, anche se in tempi lunghi, restandole, per gli “investimenti” solamente 25 miliardi.
C’è poco da festeggiare anche se pensiamo che ogni anno la Commissione Europea licenzia delle raccomandazioni ovvero delle indicazioni sulle riforme da porre in essere nei vari Stati. Tali raccomandazioni non sono tuttavia sostenute da meccanismi che ne rendano inevitabile l’attuazione, e qui entra in gioco il Recovery Fund. In base a tale accordo, i Paesi che non lavoreranno per riformare in senso europeo il sistema, non percepiranno soldi dal fondo. In particolare, una grande parte di essi dovrà essere destinata ad azioni per frenare il cambiamento climatico: paradossalmente dunque, potremmo poter beneficiare di soldi e non usufruirne per mancanza di progetti.
Prepariamoci quindi ad attuare le raccomandazioni europee che conosciamo benissimo: fin da subito saremo obbligati ad attuare politiche fiscali restrittive, nessun aumento della spesa pubblica e pareggio strutturale di bilancio. Tale condizionalità svuota definitivamente i Parlamenti di quel piccolo residuo di sovranità che rimaneva. Già dal 2012 infatti la legge di Bilancio segue un percorso obbligato, facendo prima il suo ingresso, per l’approvazione, a Bruxelles e successivamente in Parlamento.
Gli spazi di manovra per il bilancio saranno ulteriormente ristretti. Dovremo tagliare sanità, scuola, giustizia e pensioni. Al taglio della spesa pubblica farà da contraltare l’aumento della tassazione, in particolare, l’Italia dovrà rassegnarsi ad aumentare la tassazione immobiliare.
Lo Stesso Commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni si è recentemente schierato contro l’esenzione dell’IMU sulla prima casa e non è altresì un mistero che l’Europa da tempo auspichi una riforma dei valori catastali che farà definitivamente crollare il valore degli immobili e la tradizione, tutta italiana, di investire nel mattone.
Come se non bastasse, e come è già stato dimostrato da autorevoli economisti, la politica di austerity, declinata nel taglio della spesa pubblica e nell’aumento della tassazione non farà altro che peggiorare il rapporto debito/PIL.
Da un lato si chiederà all’Italia di continuare a tagliare le spese e di aumentare le tasse, in particolare si cercheranno spazi fiscali nei “consumi” e nel “patrimonio”, con l’aumento dell’IVA e con l’introduzione di ulteriori patrimoniali; dall’altro ogni nuova spesa verrà a dipendere dal Recovery Fund, e quindi “passerà” per Bruxelles. In più questi prestiti aumenteranno del 10% il nostro debito poiché, sul piano contabile, andranno aggiunti al calcolo del debito pubblico.
Lo stesso Governo, nella nota di aggiornamento al DEF contenente il quadro macroeconomico nel quale si inserirà la prossima manovra di bilancio, fornisce ulteriori dettagli riguardo l’effettiva entità e l’impatto del nuovo strumento europeo che dovrebbe rispondere alla crisi economica. Senza scendere in tecnicismi, ciò che conta delle precisazioni della nota di aggiornamento al Def è che il Recovery Fund è composto da una parte di sovvenzioni e da una parte di prestiti. Solamente la parte composta da sovvenzioni non rappresenta nuovo debito pubblico, la parte composta da prestiti invece rappresenta nuovo debito pubblico.
Lo stesso Governo, pertanto prevede “l’utilizzo pieno delle sovvenzioni, le quali forniscono uno stimolo fiscale, ma sono al contempo neutrali dal punto di vista dei saldi di bilancio”, mentre, per quanto riguarda i prestiti, si prevede “un utilizzo compatibile con il raggiungimento degli obiettivi di bilancio”. Insomma, ad un utilizzo della quota dei prestiti dovrà corrispondere una correzione del bilancio in termini restrittivi, per limitare il più possibile l’impatto del deficit.
Ecco allora che per poter utilizzare il Recovery Fund sarà certamente richiesto un ennesimo sacrificio ai proprietari immobiliari nonostante questi ultimi siano già stati penalizzati da un provvedimento incostituzionale come il blocco dell’esecuzione degli sfratti e non abbiano beneficiato di alcun intervento governativo a sostegno dell’emergenza epidemiologica!