[A cura di: Cristina Fiaschi e Martino Verrengia – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate] La Corte di cassazione, con la pronuncia n. 12332 dello scorso 9 maggio, ha deciso che l’articolo 26 del Tuir nello stabilire che i redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo dei proprietari degli immobili indipendentemente dalla loro percezione, opera anche nel particolare caso di usurpazione dei proventi locatizi. Detta previsione, inoltre, non contrasta con il quadro costituzionale di riferimento.
La controversia origina dalla pretesa erariale, avanzata da un ufficio campano dell’Agenzia delle entrate, al pagamento dell’Irpef relativa al canone di locazione di un immobile, del quale il ricorrente era proprietario al 50 per cento, che era stato concesso in locazione, a sua insaputa, dal comproprietario del bene, nipote del contribuente, dal quale inutilmente aveva cercato di ottenere il pagamento della quota di canone a lui spettante.
Secondo l’ufficio impositore, il caso in questione trovava la propria disciplina in via analogica, rispetto a quanto previsto per la tassazione Irpef dei canoni di conduttori morosi, ai sensi dell’articolo 26 del Tuir.
La vertenza veniva, quindi, portata all’attenzione della Ctp di Salerno, innanzi alla quale il contribuente rappresentava di aver intrapreso un’azione legale civile nei confronti del nipote, per il pagamento della metà del canone pattuito e riscosso a sua insaputa, dopo il buon fine della quale avrebbe provveduto all’adempimento dell’obbligazione tributaria, allo stato a suo avviso non sussistente.
Secondo l’Amministrazione finanziaria, invece, i canoni di locazione in questione avrebbero dovuto essere dichiarati dal contribuente, indipendentemente dalla loro percezione.
Sia la Ctp di Salerno, che la Ctr, sezione staccata del medesimo capoluogo di provincia, concordavano con la prospettazione dell’ufficio.
Il contribuente, pertanto, ricorreva per la cassazione della sentenza del giudice regionale, eccependo l’insussistenza dell’obbligazione tributaria in assenza di reddito e l’inapplicabilità dell’articolo 26 del Tuir al caso in questione, trattandosi non di canoni non corrisposti, bensì di canoni usurpati.
Resisteva, di contro, l’ufficio, argomentando circa la legittimità e la fondatezza del proprio operato, riconosciute anche dal Collegio regionale campano.
La Cassazione premette che il disposto dell’articolo 26 del Tuir, in base al quale il contribuente è obbligato a dichiarare anche i canoni relativi alle mensilità non corrisposte, disciplina ogni fattispecie di mancata percezione dei canoni di locazione, qualunque sia la causa concreta della mancata percezione, salvi i correttivi previsti in caso di morosità del conduttore.
Detti correttivi, ricorda il supremo Collegio, vengono stabiliti nei termini che seguono: “I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare”.
Fatte le premesse esposte, la Cassazione ritiene che la distinzione fra canone locatizio non riscosso e canone “usurpativamente” somministrato sia del tutto “sterile” – nonostante il contrario avviso del contribuente – in quanto il reddito fondiario è ontologicamente legato alla titolarità del diritto reale, a prescindere dalla sua effettiva percezione.
E ciò, nonostante sussista un diverso orientamento dello stesso Consesso che, con la sentenza 2771/2016, ha ritenuto il reddito derivante dalla locazione di un fabbricato come reddito diverso da quello fondiario e, quindi, imputabile al locatore, a prescindere dalla titolarità del diritto reale.
Tuttavia, se è evidente – prosegue la suprema Corte – che, secondo gli articoli 25 e seguenti, Tuir, i redditi fondiari (dominicali, agrari e di fabbricati) sono parametrati a tariffe d’estimo (come previsto dagli articoli 28, 34 e 37, Tuir), è altrettanto innegabile che, per quanto concerne i redditi di fabbricati, sia l’articolo 26 che l’articolo 37 introducono, all’interno del testo, la variabile del reddito locatizio senza alcuna modificazione del criterio d’imputazione, che resta quella della titolarità del diritto reale (cfr. anche Cassazione, 19166/2003, 20764/2006, 15171/2009, 651/2012 e, da ultimo, 19240/2016 e 26447/2017).
Quanto precede, a parere dei giudici di legittimità, rende sistematicamente impossibile estrapolare il reddito locatizio dal reddito fondiario e dalla sua disciplina, con conseguente legittimità del prelievo impositivo.
Nel motivare la vertenza in questione, la Corte di cassazione scrutina i deliberati del Giudice delle leggi, chiamati in causa dal contribuente, che riteneva il prelievo erariale dissonante rispetto ai fondamentali principi costituzionali tributari.
In argomento, ricorda il supremo Collegio, la Corte costituzionale stessa ha avuto modo di stabilire che l’applicazione, al caso di specie, dell’articolo 26, non ne implica un’interpretazione costituzionalmente illegittima, in quanto, “la capacità contributiva, quale idoneità all’obbligazione di imposta, desumibile dal presupposto economico al quale l’imposta è collegata, può essere ricavata, in linea di principio, da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di costituzionalità” (cfr. Corte costituzionale, 362/2000, 42/1992, 315/1994 e 143/1995).
Secondo il giudice costituzionale, in definitiva, il sistema del riferimento per la determinazione del reddito dei fabbricati al canone risultante dal contratto di locazione – come sopra sottolineato – è del tutto eccezionale e deve armonizzarsi nel contesto di un sistema che pone la regola per cui i redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo indipendentemente dalla percezione.
Sicché esso potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e, quindi, sarà dovuto un canone in senso tecnico.
Quando, infine, la locazione sia cessata per scadenza del termine (articolo 1596 cc) e il locatore pretenda la restituzione essendo in mora il locatario per il relativo obbligo, ovvero quando si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (articolo 1456 cc) o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (articolo 1454 cc), tale riferimento al reddito locativo non risulta più praticabile, tornando, invece, in vigore la regola generale.