[A cura di: Romina Morrone – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate] Va tassata con riferimento al contratto definitivo la plusvalenza da cessione di terreno edificabile, non potendosi attribuire al pagamento già effettuato da parte dell’acquirente un effetto anticipatorio del preliminare rispetto al definitivo.
È solo quest’ultimo, infatti, l’unico atto capace di operare giuridicamente la cessione del bene, su cui calcolare la plusvalenza. Lo ha chiarito la Cassazione nell’ordinanza n. 1242 del 21 gennaio 2020.
Con avvisi di accertamento relativi all’anno di imposta 2001, l’ufficio ha rettificato il reddito dichiarato da due contribuenti ai fini Irpef, contestando l’omessa dichiarazione della plusvalenza derivante dalla cessione a titolo oneroso di un terreno edificabile, pervenuto alle venditrici iure hereditatis, rispettivamente madre e figlia, dal de cuius.
Le aree erano state vendute a una cooperativa con atto pubblico dell’aprile 2001, registrato nel maggio successivo, in adempimento di quanto previsto nel preliminare stipulato dal dante causa nel 1998.
Dalla denuncia di successione presentata ai fini fiscali e dalla relativa nota di trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari, emergeva che, alla stipula dell’atto di vendita tra le eredi e la cooperativa, il bene era detenuto dalle signore in comproprietà e in quote di pari valore.
Per l’ufficio, il presupposto per la realizzazione della plusvalenza era costituito dall’atto pubblico di vendita stipulato nel 2001.
La scrittura privata, invece, era titolo con semplici effetti obbligatori, anche se parte del prezzo era stata già corrisposta antecedentemente alla stipula del contratto definitivo, visto che il trasferimento avrebbe avuto luogo all’ulteriore condizione del pagamento del saldo e del trasferimento di due appartamenti, non ancora edificati al momento del preliminare.
Di diverso avviso le contribuenti che hanno proposto ricorso in Commissione tributaria, affermando che:
Il rogito notarile, quindi, aveva solo la funzione di regolarizzare, anche ai fini di pubblicità catastale, un’operazione immobiliare già perfezionata dal defunto al momento del preliminare.
Di conseguenza, alla data del rogito non si era generata alcuna plusvalenza tassabile visto che le contribuenti non avevano né trasferito il bene ceduto né percepito le somme per le quali avevano, invece, dichiarato di rilasciare quietanza.
Respinto il ricorso in primo grado, la Commissione tributaria regionale, in riforma della sentenza impugnata, ha ritenuto che, nella fattispecie, si trattava di un “preliminare di vendita complesso” o a esecuzione anticipata che produceva, al momento della sua conclusione, alcuni effetti tipici del contratto definitivo di vendita (ad esempio il pagamento totale o parziale del prezzo di vendita pattuito).
L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione di legge in termini sia di contestazione dell’effetto anticipatorio del preliminare rispetto al definitivo, unico capace di operare giuridicamente la “cessione” del bene su cui calcolare la plusvalenza tassabile (ex articoli 1351, 1362, 1415, 2697, 2699 e 2702 cc), sia del presupposto della plusvalenza tassabile (ex articolo 67 Tuir), e ritemendo che non poteva anticiparsi la tassazione della plusvalenza all’annualità nella quale la stessa cessione veniva solo prevista, pur riconoscendo l’operatività del principio di cassa e non di competenza.
La Corte, ritenendo i due motivi fondati e legati da consequenzialità logica da poter essere trattati congiuntamente, ha affermato che la “cessione che qui rileva si perfeziona con l’atto notarile trascritto e sul presupposto della cessione sorge l’obbligazione tributaria di corrispondere la plusvalenza da cessione maturata, secondo un criterio di cassa, per cui le somme vanno tassate nel momento in cui sono corrisposte.” (cfr Cassazione, decisione n. 1242/20).
I giudici di legittimità sono stati chiamati a individuare quale sia il fatto generatore della plusvalenza generata a seguito di cessione di terreni edificabili ex articolo 67 Tuir e cioè se, ai fini della tassazione, doveva farsi riferimento al preliminare ovvero al contratto definitivo.
In particolare, la Corte ha ritenuto che, nella fattispecie concreta, peraltro usuale nella prassi, si era in presenza di un preliminare a effetti anticipati, con immissione nel possesso e anche di trasformazione del terreno, per iniziare la costruzione dell’immobile residenziale di cui due unità abitative realizzande sarebbero state parte del saldo prezzo.
Dai capi della sentenza impugnata, risultava che il giudice di appello aveva accertato sia che non vi era incertezza sugli immobili ceduti (individuati in base alla ricostruzione della numerazione catastale dei mappali a seguito di ricomposizione fondiaria) sia che le contribuenti non avevano ricevuto somme a titolo di “saldo-prezzo” in sede di stipula del rogito, in quanto avevano evocato in giudizio la cooperativa acquirente, ritenuta inadempiente anche per la corresponsione della minor somma transattivamente pattuita.
Intervenendo in tale contesto, la Cassazione ha chiarito che, ai fini della tassazione della plusvalenza, l’obbligazione tributaria sorge con la cessione, cioè con il trasferimento della proprietà del bene immobile e che tale effetto traslativo può ritenersi prodotto solo con l’atto notarile trascritto (per i tributi locali, Cassazione, decisione n.14119/17).
Tali conclusioni risultano fondate sia sul piano giuridico-formale, sia su quello sostanziale-materiale. Sulla base di un’interpretazione letterale dell’articolo 67 Tuir, la Corte ha fatto riferimento al momento della cessione per individuare il presupposto di realizzazione della plusvalenza tassabile anche se, nella fattispecie al suo esame, il corrispettivo era stato già percepito antecedentemente. Tra i redditi diversi ex articolo 67 Tuir rientrano, infatti, le “plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”.
Dal punto di vista degli effetti, poi, seguendo la tesi delle contribuenti, siccome l’area edificabile era già stata ceduta con scrittura privata del 1998, sottoscritta tra il dante causa e la cooperativa, non sarebbe stato possibile che il notaio, raccolta la documentazione relativa alla proprietà dei terreni oggetto di compravendita, avesse attestato, con proprio atto del 2001, che le aree in oggetto erano di proprietà delle contribuenti, eredi dell’originario dante causa.
I giudici di piazza Cavour, quindi, hanno concluso che la scrittura privata non poteva ritenersi una vendita, quanto piuttosto una promessa di vendita, un impegno a prestare un futuro consenso, incapace di generare plusvalenza da cessione.
A sostegno di tali conclusioni, militavano tre circostanze e cioè: