ABITAZIONE O UFFICIO? QUALE DURATA CONTRATTUALE PREVALE IN CASO DI LOCAZIONE DI IMMOBILE A USO PROMISCUO?
Un contratto d’affitto in cui è chiaramente indicato l’uso abitativo dell’immobile; ma un’effettiva destinazione promiscua dello stesso, adoperato dal conduttore anche come studio professionale. Quale delle due destinazioni prevale, nell’ottica della durata di legge del contratto? È la vicenda sulla quale si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza 9597 del 12 maggio 2015, di cui riportiamo un estratto.
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III civ., sent. 12.5.2015, n. 9597
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La … s.r.l. intimò a R.B. licenza per finita locazione, per la scadenza del 4.6.2011, in relazione ad un contratto stipulato in data 4.6.2003 per uso abitativo. R.B. si oppose alla convalida, assumendo che l’immobile era utilizzato in misura prevalente come studio professionale e che pertanto il contratto aveva la maggiore durata prevista per le locazioni ad uso diverso.
Il Tribunale di Pordenone rigettò la domanda, ritenendo prevalente l’utilizzo non abitativo.
La Corte di Appello ha riformato la sentenza, accertando l’uso abitativo e l’avvenuta scadenza del contratto.
Ricorre per cassazione R.B., affidandosi a due motivi; resiste la società intimata a mezzo di controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La Corte di Appello ha rilevato che nell’anno 2002, a seguito della separazione dalla moglie, R.B. era andato ad abitare nell’immobile che aveva precedentemente destinato ad attività professionale e che – per lo stesso immobile – nel giugno 2003 aveva stipulato un contratto di locazione ad uso abitativo “in deroga alla legge 392/78 ai sensi dell’art. 11, 2 comma, legge 8.8.1992 n. 359”; ciò premesso, ha affermato che dal contratto risultava pacifica tra le parti la destinazione abitativa e che era del tutto inapplicabile l’art. 80, legge n. 392/78, in quanto l’uso contemporaneo quale abitazione e studio professionale era precedente alla stipula del contratto; ha aggiunto che non vi era motivo per ritenere che le primarie esigenze di vita non fossero prevalenti su quelle professionali e che, in varie occasioni, lo stesso R.B. si era difeso affermando la destinazione abitativa dell’immobile; ha osservato, conclusivamente, che non risultava “affatto conforme a buona fede l’invocare una diversa destinazione, dopo che, pacifico essendo l’uso abitativo pregresso, era stato stipulato un contratto proprio a tale scopo”, tanto più che, alla luce della clausola finale del contratto (secondo cui l’eventuale nullità della previsione della durata inferiore a quella legale avrebbe determinato l’invalidità dell’intero contratto), “essenziale era il termine di scadenza che regolava i reciproci rapporti”.
2. Col primo motivo, il ricorrente deduce “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” in relazione agli artt. 27, 79 e 80, legge n. 392/78 e all’art. 2 comma, legge n. 431/98: censura la sentenza per non essersi attenuta al criterio dell’uso prevalente al fine di stabilire il regime giuridico del contratto di locazione “nel caso di parziale uso diverso da quello pattuito” e si duole che la Corte territoriale abbia riconosciuto “particolare peso” alla “clausola finale” del contratto che pure risultava nulla in quanto contraria alla previsione dell’art. 79, legge n. 392/78.
Col secondo motivo, R.B. deduce ogni possibile vizio motivazionale e censura la sentenza per avere valorizzato il fatto che, in alcuni procedimenti di sfratto, R.B. avesse chiesto la concessione del termine di grazia per sanare la morosità e per non avere “minimamente esternato i motivi per cui ha ritenuto prevalente l’uso abitativo rispetto a quello diverso”; rispetto al primo profilo, evidenzia che la qualificazione del contratto non poteva essere desunta dal mero fatto che la richiesta di sanatoria fosse incompatibile con una prevalente destinazione ad uso diverso; rispetto al secondo, rileva che la prevalenza dell’una o dell’altra natura avrebbe potuto essere accertata soltanto sulla base di una rigorosa istruttoria.
3. I motivi – che si esaminano congiuntamente per l’evidente connessione – sono entrambi infondati.
Premesso che è corretta l’affermazione della Corte circa il fatto che non debba trovare applicazione l’articolo 80, legge n. 392/78 (non trattandosi di modifica di utilizzo intervenuta in corso rapporto), non risulta censurata la ratio principale della decisione che desume la natura abitativa della locazione dalla stessa qualificazione datane dalle parti (a fronte di un immobile già promiscuamente adibito all’una e all’altra esigenza) ed evidenzia – altresì – la prevalenza delle primarie esigenze abitative. Al riguardo, va rilevato – peraltro – che R.B. non ha mai sostenuto che l’indicazione nel contratto della destinazione abitativa fosse preordinata a attribuire un indebito vantaggio al locatore in dipendenza della minore durata legale del rapporto.
Neppure ricorre il dedotto vizio motivazionale in quanto la Corte ha valorizzato la preminenza delle esigenze abitative e il dato della destinazione indicata dalle parti a fronte della preesistenza di un utilizzo promiscuo, considerando pertanto degli elementi che appaiono sufficienti a fondare la decisione, senza necessità di ulteriori accertamenti istruttori.
Non può sottacersi, inoltre, che il dato della richiesta di sanatoria – seppure non decisivo – costituiva comunque elemento di contorno idoneo a suffragare la tesi che le parti consideravano la locazione di natura abitativa.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna R.B. a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in euro 1.700 (di cui euro 200 per esborsi), oltre rimborso spese forfettarie e accessori di legge.