[A cura di: Gian Vincenzo Tortorici – Avvocato in Pisa]
L’impianto idrico è di proprietà comune, salvo prova contraria ex art. 1117 c.c., dal punto di innesto della conduttura comunale, o comunque dell’ente erogatore dell’acqua potabile, alle singole diramazioni di ogni unità immobiliare di proprietà esclusiva. Sovente, ai fini del calcolo del consumo dell’acqua e quindi della ripartizione delle relative spese a ciascun condomino, tali diramazioni sono individuate tramite un sub-contatore individuale.
Sono altresì di proprietà comune la cabina idrica contenente le cassette di distribuzione e il serbatoio per l’acqua diretta, nonché l’autoclave che consente l’utilizzazione costante dell’impianto idrico condominiale, anche in periodi di minor gettito d’acqua da parte dell’ente erogatore, e il dolcificatore dell’acqua; queste apparecchiature devono corrispondere alle prescrizioni dettate dal d. m. 7 febbraio 2012, n. 25, per la maggior garanzia della salubrità della stessa allorché venga utilizzata anche per il consumo umano, per esempio per dissetarsi, come sempre avviene.
È opportuno quindi centralizzare le relative apparecchiature per il trattamento dell’acqua e, in particolar modo, il filtro, l’addolcitore e l’impianto di dosaggio.
SALUBRITÀ DELL’ACQUA
La salubrità dell’acqua potabile è sempre stata una questione di interesse sociale della collettività e quindi il legislatore si è preoccupato di sanzionare sotto diversi profili chi, a qualunque titolo o causa, la inquinasse.
Si deve infatti ricordare che già la legge 10 maggio 1976, n. 319, sostituita dal d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152, e successivamente dal d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per la tutela delle acque, disponeva sanzioni a carico del trasgressore che inquinava le falde acquifere e dei corsi di acqua con scarichi non autorizzati; si tratta, quindi, di verificare l’attestazione di conformità di tubazioni e sistemi di accumulo, di serbatoi, di valvole, rubinetti, pompe, rivestimenti, e così via.
I DEPOSITI D’ACQUA
Si devono, inoltre, verificare le esatte disposizioni del d. lgs. n. 31/2001, in particolare quelle previste dall’art. 5, per stabilire le competenze operative dell’amministratore di condominio.·Se, poi, si esaminino gli articoli del codice penale, ma anche di altre leggi ante 1990, questi recitano: “chiunque commetta …”. A partire dal 1990 il legislatore ha incominciato ad individuare espressamente quale sia il soggetto al quale comminare una sanzione penale relativa ad una violazione di legge. In molte leggi che si sono susseguite nel tempo, infatti, si può rilevare che vi è un esplicito riferimento al proprietario dell’immobile o all’amministratore di condominio, quali ad esempio la legge 5 marzo 1990, n. 46 e la legge 9 gennaio 1991, n. 10.
L’ART. 5 D. LGS. 31/2001
Nel decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, all’art. 5, come modificato dal d. lgs. 2 febbraio 2002, n. 27, il legislatore prevede la figura del “gestore” che, per il combinato disposto di più norme, si individua per certo nel gestore del servizio idrico integrato e, quindi, nel gestore del servizio idrico pubblico. Pur tuttavia, il secondo comma dell’art. 5, precitato, recita: “Per gli edifici e le strutture in cui l’acqua è fornita al pubblico, il titolare e il responsabile della gestione dell’edificio o della struttura devono assicurare […]”.
Innanzi tutto, si pone un problema linguistico e testuale, considerato che l’interpretazione di una legge deve essere basata in primis sulle parole italiane utilizzate dal legislatore. Il testo del decreto legislativo n. 31/2001 si riferisce espressamente al titolare del servizio idrico, e pertanto, allorché si riferisce a un soggetto diverso dal gestore del servizio pubblico, deve indicare espressamente, come nell’articolo de quo, “il titolare o il gestore”. Quindi sussiste solo in questa fattispecie una unificazione tra il titolare del servizio e il gestore della fornitura dell’acqua, l’Ente Pubblico, solamente però allorché l’acqua è fornita al pubblico.
IL PUBBLICO DEGLI UTENTI
Ormai per giurisprudenza consolidata il pubblico è quello che frequenta indistintamente un determinato locale pubblico, quindi non sono tali i condomini. La norma, conseguentemente, si applica all’amministratore di condominio, allorché amministri esclusivamente centri commerciali o immobili nei quali sussistono cinematografi, supermercati e via discorrendo, con sale di frequentazione del pubblico, terzo rispetto ai condòmini. Se vi sono, ad esempio, solo alcuni fondi commerciali a piano terra, il problema del “titolare” non riguarda l’amministratore, in quanto tali fondi si approvvigionano dell’acqua tramite conduttore interne al fondo stesso, quali diramazioni dell’impianto condominiale.
LA PROPRIETÀ DELLE TUBAZIONI
Ma vi è ancora di più: si possono avere tratti di tubazioni dell’acqua di tre diversi proprietari: la proprietà del gestore, che arriva fino al contatore di immissione nel condominio; la proprietà condominiale sino ad eventuali contatori individuali, installati per ogni appartamento e, infine, la proprietà esclusiva delle singole tubature dai suddetti contatori.
Quindi, in ogni caso, se vi è una responsabilità dell’amministratore questa sussiste esclusivamente per il tratto di competenza condominiale, a monte e a valle dei tratti precedenti. L’amministratore, non essendo destinatario di particolari obblighi in forza del decreto legislativo n. 31/2001, deve effettuare saltuariamente un controllo della salubrità dell’acqua, soprattutto allorché, considerata la vetustà dei tubi e il materiale in cui sono stati realizzati (per esempio, il piombo, pure non utilizzato più da tempo), un possibile inquinamento sia prevedibile.
Uno screening dei tubi dell’acqua consente di evitare addebiti di colpa, anche se, allorché sia stato rilevato l’inquinamento, l’acqua, per un qualsiasi motivo, poteva essere giunta già inquinata dall’Ente pubblico.
GLI ASPETTI CONDOMINIALI
Nel caso si rinvenga una qualche anomalia è necessario che l’amministratore, anche senza il preventivo assenso dell’assemblea, considerata l’urgenza di dover intervenire per salvaguardare la salute dei condòmini, garantita anche dalla Costituzione (art. 32), provveda ad eliminare cause della insalubrità dell’acqua.
Successivamente può essere disposta una integrale risistemazione o sostituzione dell’impianto con tubazioni in ferro zincato protetto o in plastica; il polietilene è allo stato il materiale prevalente nel settore considerati i suoi notevoli vantaggi, quali la flessibilità e la duttilità, soprattutto per i tratti interrati. Nel caso in cui non sia agevole sostituire i tubi interni ai muri, si deve provvedere con una alimentazione alternativa.
Se, in ogni caso, al punto d’uso dell’acqua, vale a dire al rubinetto interno degli appartamenti o dei fondi, non si riscontrino i requisiti di potabilità dell’acqua, effettuate le verifiche ut supraindicate, l’amministratore del condominio non può essere ritenuto responsabile, a titolo di colpa in sede civile ex art. 2051 c.c. e in sede penale ex art. 40 c.p., non potendo essere dimostrata con certezza che l’acqua insalubre non sia pervenuta già tale dall’Ente fornitore, malgrado i controlli che questo e l’ A.S.L. possono aver in precedenza compiuti.
LA RIPARTIZIONE DELLE SPESE
La ripartizione delle spese relative all’impianto idrico è regolata dall’art. 1123 c.c., per cui le relative spese, nella parte destinata al servizio di tutti i condòmini, sono ripartite in proporzione al valore delle singole proprietà dell’intero condominio; le spese relative all’impianto, nella parte che serve un solo gruppo di condòmini, viene, invece, ripartita solo tra coloro che ne traggono utilità.
La ripartizione delle spese nel condominio, deve essere effettuata in base ai criteri legali previsti dall’art. 1123 c.c., a propria volta fondati sul valore delle tabelle millesimali attribuito a ogni unità immobiliare del condominio. L’art. 1123 c.c. citato non è dichiarato inderogabile dall’art. 1138 c.c. e, del resto, lo stesso prevede la possibilità che una convenzione negoziale disponga una differente ripartizione.
Le spese dell’acqua sono state sempre oggetto di discussione e anche la giurisprudenza non è univoca. In linea di massima, qualora tutti gli appartamenti e i fondi commerciali siano sprovvisti di un apposito contatore per il conteggio del consumo dell’acqua, i relativi costi devono essere ripartiti in base ai valori millesimali, con la conseguenza che è nulla la delibera che li suddivida in relazione al numero di coloro che abitano stabilmente nelle singole unità immobiliari (Cass. civ., Sez. II, 1 agosto 2014, n. 17557) ovvero in parti uguali (Trib. Roma, Sez. V, 30 gennaio 2017, in Leggi d’Italia). Se, viceversa, sussistano i sub-contatori, a questi si deve fare riferimento, verificandone costantemente la corretta regolarità funzionale.