[A cura di: avvocato Rodolfo Cusano]
In materia di omessa registrazione del contratto di locazione ad uso non abitativo, è possibile la sanatoria ex tunc con la registrazione tardiva. E le ipotesi di maggiorazione del canone con controdichiarazione non registrata, anche se effettuate al momento della stipula contrattuale, sono illegittime. È quanto ha stabilito la Suprema Corte con la sentenza resa a SS.UU. n. 23601 del 9 ottobre 2017. Il merito della pronuncia in esame è quello di aver ricondotto ad unità la disciplina normativa in merito alla mancata registrazione del contratto, sia abitativo che non abitativo. Essa ha infatti, stabilito che il contatto di locazione di immobili, quando sia nullo per (la sola) omessa registrazione, può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza ex tunc, nel caso in cui la registrazione sia effettuata tardivamente; mentre, invece, è nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione.
Il punto del contrasto indicato nella stessa sentenza era il seguente: “Se, in tema di contratti di locazione ad uso diverso da quello di abitazione, nell’ipotesi di tardiva registrazione (anche) del contestuale e separato accordo recante ‘’importo del canone maggiorato rispetto a quello indicato nel primo contratto registrato, sia configurabile un’ipotesi di sanatoria di tale nullità, ovvero se anche per le locazioni ad uso diverso da abitazione debba farsi applicazione del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. S.U., 17 settembre 2015, n. 18213, rv. 636471) con riferimento ai contratti di locazione ad uso abitativo, secondo il quale, su di un più generale piano etico/costituzionale, l’esclusione di una qualsivoglia efficacia sanante della registrazione tardiva consente di impedire che dinanzi ad una Corte suprema di un paese Europeo una parte possa invocare tutela giurisdizionale adducendo apertamente ed impunemente la propria qualità di evasore fiscale, e sia proprio la Corte di legittimità ad affermarne la liceità”.
La Suprema Corte, premette che: “Può, pertanto, concludersi che il contratto di locazione ad uso non abitativo (non diversamente, peraltro, da quello abitativo), contenente ab origine la previsione di un canone realmente convenuto e realmente corrisposto (e dunque, in assenza di qualsivoglia fenomeno simulatorio), ove non registrato nei termini di legge, è nullo ai sensi della L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, ma, in caso di sua tardiva registrazione, da ritenersi consentita in base alle norme tributarie, sanabile, volta che il riconoscimento di una sanatoria per adempimento appare coerente con l’introduzione nell’ordinamento di una nullità (funzionale) per inadempimento (entrambi i termini da intendersi, come ovvio, in senso diverso da quello tradizionalmente riservato al momento esecutivo del rapporto negoziale)”.
Procede, poi, ad una rilettura dell’art. 79 della Legge n. 392 del 1978, norma speculare, in via interpretativa, rispetto a quella di cui alla L. del 1998, articolo 13:
26.1. Non ignora il collegio che la costante interpretazione della disposizione in parola si sia storicamente assestata, nella giurisprudenza di questa stessa Corte, nel senso che la sanzione di nullità in essa prevista abbia avuto riguardo alle (sole) vicende funzionali del rapporto, colpendo, pertanto, le sole maggiorazioni del canone previste in itinere e diverse da quelle consentite ex lege, e non anche quelle convenute al momento della conclusione dell’accordo.
26.2. Ma va altresì ricordato come, mutatis mutandis, la stessa linea di pensiero sia stata adottata, dalla stessa giurisprudenza di legittimità, anche con riferimento all’interpretazione dell’articolo 13, dettato in tema di locazioni abitative – delle quali si era ritenuto parimenti predicabile la sanzione di nullità della maggiorazione del canone se, e solo se, quella maggiorazione avesse avuto diacronico riferimento a momenti diversi e successivi rispetto a quello della stipula dell’accordo. Al momento, cioè funzionale, e non genetico, del rapporto.
Questa interpretazione è stata rivisitata e modificata dalla sentenza del 2015. Per le stesse ragioni in essa esposte, è convincimento del collegio che anche la lettura dell’articolo 79, della legge cd. Sull’equo canone debba essere oggi modificata nel senso che il patto di maggiorazione del canone è nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto.
27. Il collegio non ignora che, in tal modo, i casi, apparentemente più gravi, e cioè quelli di totale omissione della registrazione del contratto, risulterebbero soggetti ad un disciplina meno rigida (conseguente al riconoscimento di una sanatoria della nullità derivante dalla loro omessa registrazione), ma la diversa gravità delle conseguenze può trovare una congrua spiegazione nella maggiore gravità del vizio che inficia le ipotesi simulatorie rispetto a quelle in cui manchi la registrazione del contratto tout court: un vizio genetico e voluto da entrambe le parti nel primo caso, un inadempimento successivo alla stipula di un contratto geneticamente valido, nel secondo caso.
27.1. È vero, in altri termini, che una simile soluzione renderebbe più gravose, quod effecta, le ipotesi di simulazione relativa del canone nei contratti di locazione soggetti, rispettivamente, alla disciplina della L. n. 431 del 1998, articolo 13, (per come interpretato dalle S.U. con la sentenza n. 18213 del 2015, che ha ritenuto la perdurante validità del canone apparente e, quindi, dell’intero contratto) e della L. n. 392 del 1998, articolo 79, (per come oggi interpretato), rispetto a quelle concernenti i contratti di locazione, ad uso abitativo e non, cui sia invece applicabile la normativa (e la possibilità di sanatoria, per quanto in precedenza esposto) introdotta dalla Finanziaria del 2004.
Tuttavia, una simile conseguenza sembra coerente non solo con il diverso tenore delle predette norme, le une intese a vietare la sostituzione di una clausola sostanziale del contratto, l’altra a sanzionare direttamente la violazione della norma tributaria, ma anche con l’intenzione del legislatore del 2004, evidentemente tesa ad ampliare e rafforzare, rispetto alla normativa del 1998, l’effetto dissuasivo nei confronti degli infedeli locatori, e non pare affatto priva di ragionevolezza rispetto agli interessi pubblici inerenti al prelievo fiscale, in quanto mira a spiegare proprio quell’effetto dissuasivo, inteso nel senso di non rendere conveniente alle parti la registrazione di un contratto contenente un canone simulato consentendo loro di provvedere alla registrazione dell’accordo integrativo solo in caso di sopravvenuto conflitto tra i contraenti – in tal guisa prefiggendosi un obiettivo conformativo ben più ambizioso rispetto a quello conseguibile dalle eventuali sanatorie a posteriori”.
La soluzione così adottata ha il pregio di ricondurre ad unità la disciplina delle nullità e della (eventuale) sanatoria di tutti i contratti di locazione, ad uso abitativo e non. Da ciò che ha rimesso la causa alla Corte di Appello indicando i seguenti principi cui essa deve attenersi:
(a) la mancata registrazione del contratto di locazione di immobili è causa di nullità dello stesso;
(b) il contatto di locazione di immobili, quando sia nullo per (la sola) omessa registrazione, può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza ex tunc, nel caso in cui la registrazione sia effettuata tardivamente;
(c) è nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione.