Un alloggio in condominio affittato e poi adibito a dormitorio per 11 cittadini cinesi, alcuni dei quali irregolari. Le lamentele dei condòmini. Il disinteresse della proprietaria, che diserta le riunioni condominiali. La successiva confisca dell’appartamento. Sono gli ingredienti della vicenda processuale giunta fino in Cassazione. Vediamo come si sono svolti i fatti e quale decisione abbiamo presi gli Ermellini.
——————-
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. I pen., sent. n. 6815,
udienza. 25.9.2015
——————-
RILEVATO IN FATTO
1. Con ordinanza pronunciata il 25 febbraio 2015, ai sensi dell’art. 311 cod. proc. pen., il tribunale del riesame di Milano rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse di B.L., avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip della stessa sede il 27 novembre 2013 per violazione dell’art. 12 comma cinque bis Decreto legislativo n. 286 del 1998. Il sequestro, finalizzato sia alla confisca dell’immobile che ad evitare la protrazione dell’illecito, riguardava un immobile di 53 mq ubicato in via …, che, nel corso di una ispezione eseguita dalla Polizia locale, era risultato adibito a dormitorio da 11 cittadini cinesi, tre dei quali privi di permesso di soggiorno. L’immobile, che appariva in precarie condizioni igienico sanitarie e inadeguato nelle strutture, era stato locato dall’indagata a tale D.W. per il canone mensile di euro 600, oltre euro 3600 annui per oneri accessori (complessivamente un canone mensile di euro 900). I cittadini cinesi corrispondevano “in nero” la somma di 8 o 5 euro al giorno, a seconda che consumassero o meno i pasti, ad una donna, W.X., che agiva per conto del formale conduttore.
2. Il tribunale del riesame evidenziava che l’amministratore del condominio, pressato dalle lamentele degli altri condòmini per il continuo viavai dei soggetti cinesi, più volte aveva avvisato la B.L. di questa situazione, invitandola a presenziare alle assemblee, ma inutilmente. Nel rigettare le argomentazioni difensive che avevano contestato la configurabilità del reato ascritto sotto il profilo soggettivo, il giudicante osservava:
I. l’amministratore dello stabile aveva più volte rappresentato la situazione alla B.L., spedendole tutti i verbali di assemblea; nonostante ciò l’indagata non aveva mai fatto nulla per sanare la condizione di degrado in cui versava l’immobile e per porre termine all’uso illecito;
II. nel verbale di assemblea del 20 settembre 2012 esplicitamente si faceva riferimento alla destinazione dell’appartamento ad “affittacamere ed alla situazione di illegalità che si era creata”. La stessa B.L., come risultava dalla nota prodotta dalla difesa, si era recata sul posto ed aveva verificato quanto lamentato. Ciò nonostante, aveva espresso l’opinione che “nulla vieta la convivenza di persone con nessun vincolo familiare” ed aveva invitato l’amministratore a segnalare l’inconveniente alle autorità preposte allo scopo;
III. tenuto conto che le spese condominiali annue per appartamento erano di euro 631 – a fronte di euro 3600 percepiti in frode al fisco -, il giudicante valutava che la somma complessivamente corrisposta fosse di gran lunga superiore al valore abitativo dell’immobile e quindi, attese le condizioni fatiscenti, la sussistenza anche del fine di conseguire un ingiusto profitto;
IV. la circostanza che successivamente l’immobile fosse stato ristrutturato aveva determinato il venir meno del pericolo di protrazione dell’illecito, ma non l’esigenza del sequestro finalizzato alla confisca.
3. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso a questa Corte di Cassazione B.L. personalmente, per il motivo qui sinteticamente riassunto, e ne chiede l’annullamento.
La ricorrente denuncia promiscuamente difetto di motivazione e violazione di legge con riferimento all’art. 12 comma cinque bis Decreto legislativo n. 286 del 1998. Ripercorsi i termini di fatto della vicenda, la ricorrente contesta che ella avesse locato l’appartamento nelle stesse condizioni in cui era stato rinvenuto nel corso dell’ispezione della polizia, affermando che la sua adibizione a dormitorio era avvenuta in epoca successiva al controllo da lei effettuato. Ritiene altresì immotivata l’affermazione che il canone di locazione percepito fosse esorbitante e richiama un precedente contratto di affitto in cui detto canone era leggermente inferiore, ma proporzionato alla situazione economica generale.
Contesta quindi che da ciò si potesse desumere il dolo specifico del reato. Sotto il profilo oggettivo rileva di aver stipulato regolare contratto di locazione con un soggetto che poi aveva evidentemente attuato una sublocazione percependo l’indebito profitto. Esclude quindi che un eventuale, comportamento colpevolmente omissivo o trascurante, ovvero la semplice accettazione del rischio del verificarsi dell’evento illecito (dolo eventuale) possa essere sufficiente ad integrare la fattispecie in contestazione (cita la sentenza n. 3683 del 2013 (recte, 2014) concernente, peraltro, una fattispecie particolare riguardante l’illecita pubblicazione di dati personali).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, nella parte con cui denuncia vizio della motivazione per travisamento del fatto, va dichiarato inammissibile perché in tema di sequestro preventivo il ricorso per cassazione è consentito solo per violazione di legge (art. 325 cod. proc. pen.). Di conseguenza devono escludersi in premessa in questa sede i rilievi che impongano un accertamento di carattere diverso, tanto più se sconfinanti in considerazioni di merito.
2. Inammissibile, e comunque manifestamente infondata, è anche la denunciata violazione di legge in relazione agli elementi costitutivi del reato. Dal raffronto del contenuto del ricorso per cassazione e di quello di riesame avverso il decreto emerge in modo immediato che i motivi di ricorso sono sostanzialmente sovrapponibili alle medesime argomentazioni di merito che hanno costituito oggetto dei motivi di gravame già proposti, diretti (ugualmente) a contestare la sussistenza del dolo e il fine di profitto; i motivi di ricorso, che si risolvono nell’inammissibile sollecitazione a questa Corte di una rilettura alternativa delle risultanze processuali, basata sulle stesse ragioni argomentative che sono già state esaminate e confutate (con motivazioni adeguate, logicamente coerenti, e conformi a corretti principi di diritto) dalla ordinanza del riesame, presentano dunque una natura aspecifica, discendente dall’assenza di correlazione tra le ragioni argomentative della ordinanza impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, che integra una causa tipica di inammissibilità del ricorso per cassazione (Sez. 2, n. 36406 del 27/06/2012).
2.1. Il Tribunale del riesame, con motivazioni ineccepibili, ha attentamente preso in esame la situazione di fatto accertata (nei termini richiamati al punto sub 2 del “fatto”) e ha indicato gli elementi significativi da cui inferire la consapevolezza della B.L. che l’immobile era occupato da soggetti diversi da quelli cui era stato concesso in locazione. Non soltanto la ricorrente era stata costantemente sollecitata ad intervenire, ma aveva avuto modo di verificare di persona la situazione limitandosi ad una osservazione di maniera, corrispondente a sostanziale disinteresse.
2.2. Tanto bastava per escludere l’evidenza dell’assenza di dolo, che solo poteva rilevare ai fini dell’insussistenza del fumus.
2.3. Anche il profilo dell’ingiusto profitto perseguito è stato correttamente ed esaurientemente esaminato. Per la sussistenza del reato è richiesto il fine di trarre ingiusto profitto dalla locazione ovvero dal dare alloggio, requisito questo deducibile da condizioni contrattuali comunque gravose rispetto ai valori di mercato, che nella fattispecie risultano individuati nel canone sproporzionato in relazione alle condizioni dell’immobile e ai valori correnti di mercato. Significativamente l’ordinanza espone che il canone richiesto (in esso conglobate le spese condominiali che, in frode al fisco, erano state sovradimensionate) era superiore a quello percepito dopo la ristrutturazione dell’immobile.
2.4. Nei limiti del semplice fumus richiesto dalla fase procedimentale in cui il provvedimento impugnato si colloca, la misura cautelare reale, finalizzata alla confisca del bene in caso di condanna, è stata legittimamente emessa.
3. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in euro 1000, tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”. (Corte Cost. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della cassa delle ammende.