Il condominio appone un congegno e una serratura, di fatto impedendo al titolare di una servitù la possibilità di accedere: gli sviluppi processuali della vicenda
————-
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 14.4.2015, n. 7480
————-
MOTIVI DELLA DECISIONE
(omissis)
Con il primo motivo di ricorso si deduce, anzitutto, violazione degli artt. 343, 345, 324, 99, 101, 112 c.p.c e 2909 c.c., lamentandosi vizio di extrapetizione, nonché violazione del giudicato interno, censurando la sentenza di appello che, qualificando manutenzione la confermata tutela possessoria accordata alla controparte, laddove il primo giudice l’aveva qualificata spoglio, non si sarebbe avveduto che l’attore aveva proposto due distinte domande, in via alternativa, delle quali era stata accolta soltanto quella di reintegrazione, e non aveva impugnato con appello incidentale la reiezione di quella di manutenzione.
Con ulteriore profilo, si lamenta omissione di motivazione, non avendo il giudice di appello spiegato le ragioni per cui aveva disatteso l’eccezione di giudicato interno.
Con il secondo motivo le doglianze contenute nel precedente vengono prospettate sotto il gradato profilo di violazione dell’art. 346 c.p.c., evidenziando che l’appellato non aveva comunque reiterato la domanda ex art. 1170 c.c..
I motivi, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione, sono infondati sotto tutti i profili esposti, considerato che il petitum sostanziale, costituito dal ripristino del possesso della servitù con le precedenti modalità di esercizio (conformi al titolo transattivo del 22.11.94, addotto ad colorandam possessionem), non ha subito alcuna modifica in grado di appello. Né può ritenersi che la diversa qualificazione conferita dal giudice di appello all’accordata e confermata tutela abbia introdotto una nuova causa petendi, considerato che tale elemento della domanda non va desunto dalla qualificazione conferita dalla parte, bensì dal fatto, giuridicamente rilevante, addotto a sostegno della stessa, la cui qualificazione compete, in ultima analisi, in base al bimillenario principio iura novit curia, al giudice (v., tra le tante, Cass. nn. 10316/02, 24055/08, 17457/09, 20652/09, 19630/11, 12943/12). Per quanto attiene ai rapporti tra le azioni di spoglio e manutenzione nel possesso, questa Corte ha precisato che “non viola il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato il giudice che, nell’esercizio del potere di interpretazione della domanda, senza mutare gli elementi obiettivi fissati dall’attore, dispone la cessazione della turbativa anziché la reintegrazione nel possesso, dato che la mera turbativa costituisce un minus rispetto allo spoglio e nella domanda di reintegrazione nel possesso è ricompresa o implicita quella di manutenzione dello stesso” (sez. 2, 11.11.2011, n. 23718, conf. nn. 2262/98, 2120/76).
A maggior ragione, nel caso di specie, in cui la parte attrice aveva proposto la domanda, sostanzialmente unica, sotto le alternative prospettazioni di cui agli arrt. 1168 o 1170 c.c. ed il primo giudice l’aveva accolta optando per la prima qualificazione,nessuna eccedenza o difformità rispetto alla domanda può riscontrarsi nella pronunzia del giudice di appello, che ha ritenuto di dover rettificare detta qualificazione, nei termini di cui all’art.1170 cit., senza tuttavia mutare la sostanziale statuizione di ripristino di primo grado. Al riguardo non era necessario alcun appello incidentale da parte dell’attore, che avendo visto accogliere in pieno la sua richiesta, non era risultato soccombente, né occorreva la riproposizione ex art. 346 c.p.c della domanda manutentiva, che proprio perché concretatasi in una alternativa qualificazione della medesima pretesa e non in una aggiuntiva richiesta, non poteva ritenersi assorbita o non esaminata dal primo giudice.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1575, 1585 c.c. e 81, 100 c.p.c., ribadendo la tesi, sostenuta nell’atto di appello, della mancanza di legittimazione e di interesse nell’attore E.C., in quanto l’immobile dominante era stato oggetto di locazione ad una società, la s.a.s. E.C., la sola legittimata, quale detentrice qualificata, all’azione possessoria, peraltro solo di spoglio e non anche di manutenzione, ed unica interessata, in ragione dell’attività commerciale ivi svolta dalla medesima (e non anche dalla persona fisica E.C.), al mantenimento dell’apertura del portone e della porta vetrata durante la giornata lavorativa.
Il rigetto del motivo è agevole: sotto il primo profilo è sufficiente osservare che la legittimazione all’azione di reintegrazione attribuita dall’art. 1168 co. 2 c.c. al detentore qualificato non esclude quella del proprietario possessore, i1 cui possesso continua ad essere esercitato, ai sensi dell’art. 1140 co. 2 c.c., “per mezzo di altra persona,che ha la detenzione della cosa”; sotto il secondo, è agevole osservare che l’argomento della cessazione dell’interesse, vale a dire dell’utilitas connotante la servitù, del cui possesso si controverte, costituisce questione palesemente petitoria (art. 1074 c.c.), inammissibile in sede possessoria, in cui l’esercizio del potere sulla cosa viene tutelato così come di fatto, direttamente o mediatamente (a mezzo del detentore), risultava praticato fino all’epoca del fatto lesivo.
Altrettanto irrilevante è la dedotta circostanza che nel corso del giudizio l’immobile sia stato venduto ad altra persona e adibito a fini abitativi, considerato che tale evento avrebbe potuto comportare soltanto, ex art. 111 c.p.c., la partecipazione al giudizio dell’acquirente, senza alcun effetto caducatorio dell’interesse al mantenimento della conseguita tutela nel possesso, così come esercitato in conformità al titolo, la cui modificazione avrebbe potuto soltanto essere disposta in via negoziale o giudiziaria, instaurando (una volta cessata la preclusione di cui all’art. 705 c.p.c.) l’apposito giudizio petitorio.
Le considerazioni che precedono comportano il rigetto anche del profilo di censura deducente l’omessa motivazione in ordine alla problematica circa la qualificazione, se di fatto o di diritto, della molestia ritenuta dal giudice di appello, a fronte dell’obiezione dell’appellante, secondo cui il Castaldo avrebbe indebitamente, ex art. 81 c.p.c., esercitato un diritto spettante alla società conduttrice, rilevandosi dal contesto della decisione chiaramente che il giudice ha ritenuto l’operato del resistente, fattosi ragione da sé medesimo, integrare una turbativa di fatto, legittimante il possessore alla relativa tutela.
Palesemente inammissibile, per genericità, è infine l’ultimo profilo di censura del motivo in esame, con il quale si lamenta che la corte di merito si sia limitata a motivare per relationem in ordine a rimanenti censure dell’appellante, che tuttavia non vengono precisate, così contravvenendo all’onere di autosufficienza.
Con il quarto ed ultimo motivo, deducente violazione del’art. 1168 c.c., si sostiene che, rispondendo la regolamentazione della servitù, contenuta nell’atto transattivo del 1994, alle esigenze della clientela di accesso all’immobile adibito (dalla stipulante dante causa del E.C.) ad attività commerciale, una volta venute meno le stesse, per essere cessato sin dall’ottobre 2003 l’uso espositivo ivi praticato, anche l’esercizio del possesso nei termini originari sarebbe stato insussistente, da almeno due mesi, all’epoca dei fatti denunziati quale spoglio o molestia.
Anche tale motivo va disatteso,perché costituisce riproposizione, mutatis verbis, della già disattesa censura petitoria deducente la cessazione dell’utilità della servitù conformante il relativo possesso, che secondo il disposto di cui all’art. 1066 c.c, va tutelato tenendo conto della “pratica dell’anno precedente” all’insorgenza della controversia e non poteva subire unilaterali modificazioni ad opera di una delle parti.
Il ricorso va, conclusivamente, respinto.
Le spese, infine, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio in favore controricorrente, in misura di complessivi euro 2.700 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge.