Al fine di stabilire la divisibilità o meno di un’area comune a due fabbricati, appartenenti a diversi proprietari e destinata all’accesso ai fabbricati stessi, in due porzioni distinte da attribuire in proprietà esclusiva a ciascuna delle parti, il giudice di merito deve tener conto della diminuzione del valore complessivo dell’area a seguito della divisione, nonché degli effetti di tale divisione sulla efficienza, funzionalità e comodità fra le parti. Questo il principio enunciato dalla Corte di cassazione con la sentenza 7044 dell’8 aprile 2015, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 8.4.2015, n. 7044
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(omissis)
Il ricorrente deduce:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 713 e 1111 c.c., in combinato disposto con l’art. 720 c.c., per avere la Corte di Appello, in riforma della sentenza di primo grado, imposto il mantenimento della comunione su una parte dell’immobile relativa all’area di ingresso ai fondi rispettivamente attribuiti ai condividenti, in difetto delle condizioni per una sua comoda divisibilità, pur dando atto che “in linea teorica la comunione sulla piazzola d’ingresso, astrattamente, potrebbe essere sciolta”.
Sul punto viene formulato il quesito di diritto: “se integri violazione delle norme sullo scioglimento della comunione, di cui al combinato disposto degli artt. 713 e 720 c.c., l’esclusione dallo scioglimento e dalla divisione di una parte dell’immobile da dividere con conseguente imposizione al partecipante, che abbia instaurato l’azione di scioglimento, del mantenimento dello stato di comunione sulla parte stessa, pur nella oggettiva e dimostrata sussistenza dei presupposti di comoda divisibilità del bene, ovvero in assenza di cause ostative al frazionamento e alla formazione di cause ostative al frazionamento e alla formazione di quote suscettibili di pieno ed autonomo godimento”;
2) omessa, insufficiente e comunque contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte di merito escluso dallo scioglimento della comunione la “piazzola d’ingresso”, ravvisando la non comoda divisibilità dell’immobile di cui all’art. 720 c.c., nei costi per la realizzazione di un ingresso carrabile; la C.T.U. espletata in primo grado aveva, invece, ritenuto la divisione della piazzola d’accesso come soluzione tecnicamente preferibile, anche in considerazione della elevata conflittualità dei rapporti tra i partecipanti ed aveva descritto le opere occorrenti per effettuare la divisione; tale soluzione avrebbe evitato l’imposizione di una notevole limitazione al fondo del (omissis) in quanto la piazzola comune ricadeva esclusivamente all’interno della quota di proprietà (omissis).
A conclusione della censura viene sottoposto al Collegio il quesito: se integri un vizio di motivazione l’esclusione dello scioglimento della comunione della piazzola di accesso oggetto della divisione, motivata solo con riferimento alla spesa occorrente per la realizzazione di un ingresso carrabile, nonostante risulti ammessa dalla stessa Corte di merito la possibilità di sciogliere detta comunione e nonostante che le spese per realizzarla siano state ritenute congrue dal C.T.U. anche in considerazione dei vantaggi oggettivi che ne deriverebbero ai partecipanti alla comunione.
Il ricorso è infondato.
In ordine al primo motivo va rilevato, al di là della genericità del quesito, non correlato alle ragioni della decisione, che la statuizione in ordine al mantenimento della comunione dello spiazzo in questione, è rispondente alla giurisprudenza di questa Corte che, in materia, ha affermato il principio secondo cui, al fine di stabilire la divisibilità o meno di un’area comune a due fabbricati, appartenenti a diversi proprietari e destinata all’accesso ai fabbricati stessi, in due porzioni distinte da attribuire in proprietà esclusiva a ciascuna delle parti, il giudice di merito deve tener conto della diminuzione del valore complessivo dell’area a seguito della divisione, nonché degli effetti di tale divisione sulla efficienza, funzionalità e comodità fra le parti, mentre è irrilevante, ai predetti fini, la deduzione di frequenti dissidi fra le parti così da rendere impossibile l’uso comune dell’area (Cass. n. 937/1982; n. 6890/83).
Va aggiunto che la divisione di un bene, ai sensi dell’art. 1112 c.c., non può comportare limitazioni al contenuto dei diritti precedentemente esercitati o comunque spettanti ad uno dei condividenti, ipotesi che si verificherebbe, nel caso in esame, ove la divisione venisse ad incidere sull’area originariamente utilizzata da entrambi i condividenti sulla intera superficie dello spiazzo comune e per una destinazione (accesso agli immobili di entrambe le parti con adeguato spazio di manovre) che verrebbe meno nella sua originaria consistenza.
Orbene, nella specie, la Corte di Appello, con motivazione immune da vizi logici e giuridici ed in linea al principio suddetto, ha ravvisato l’esigenza di mantenere la comunione della piazzola “di fatto già utilizzata dalle parti per accedere ai rispettivi fondi”, evidenziando che, secondo quanto accertato mediante C.T.U., lo scioglimento della comunione dello spiazzo “richiederebbe la realizzazione di altro ingresso carrabile, per consentire l’accesso al fondo (omissis), che – data la sua peculiare posizione, interamente confinante, per tre lati, colla strada provinciale, che sul punto forma una curva, che circonda quasi interamente il terreno in questione-comporterebbe consistenti oneri economici, soprattutto in vista della necessità di realizzare un ingresso non pericoloso per chi lo deve utilizzare e per la circolazione stradale”. Tale apprezzamento è stato correttamente effettuato in concreto e non solo in astratto ed attiene, peraltro, ad un accertamento in fatto che postula un giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità ove sorretto da motivazione sufficiente e non contraddittoria (Cass. n. 1738/2002).
La seconda censura è inammissibile in quanto con riferimento al vizio motivazionale denunciato, occorreva, ex art. 366 bis c.p.c., applicabile nella specie ratione temporis, non già la formulazione del quesito di diritto ma del “momento di sintesi”. Com’è noto, infatti, i motivi del ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità, da un esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), e, qualora il vizio sia denunciato anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il motivo deve contenere in modo specifico la questione di diritto che la Corte di legittimità è chiamata a risolvere.
Al riguardo questa Corte ha precisato che l’onere di indicare chiaramente il fatto controverso deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando al termine di esso, una indicazione sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto alla illustrazione del motivo, così da consentire al Giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso ed il nesso eziologico tra la lacuna motivazionale denunciata ed il fatto ritenuto determinante ai fini della decisione. Né tale sintesi si identifica con il requisito di specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 5858/2013).
In conclusione il ricorso va rigettato. Consegue, in base al criterio della soccombenza, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 3.700 di cui Euro 200 per esborsi oltre accessori di legge.