Un bar, che non ha accesso diretto alla scala condominiale, ha
installato i servizi igienici in un alloggio al primo piano, di proprietà dello
stesso titolare dell’esercizio commerciale. Alcuni condòmini ritengono che ciò
comporti un’illegittima modifica della destinazione d’uso della scala. Ecco
come si è espressa la Corte di Cassazione, con la sentenza 26129 del 30
dicembre 2015.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 30.12.2015,
n. 26129
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto del 22.5.2001 D.G., proprietario di due unità immobiliari nel
fabbricato condominiale sito in Limone sul Garda, …, convenne in giudizio
davanti al Tribunale di Brescia, sez, distaccata di Salò, la società C. di G.A.
& C. sas, proprietaria di altro appartamento al primo piano dell’edificio e
di un’unità al piano terra, destinata a pubblico esercizio (bar), per sentirla
condannare a far cessare l’afflusso di clienti e il trasporto di merci al primo
piano attraverso la scala comune di accesso sita nell’edificio. A sostegno
della pretesa osservò che l’utilizzo della scala da parte dei clienti del bar
per raggiungere i servizi igienici siti nell’appartamento al primo piano e il trasporto
di materiali aveva comportato la modifica della destinazione d’uso della scala.
La società convenuta si oppose alla domanda rilevando – per quanto
ancora interessa in questa sede – di avere agito nei limiti del legittimo uso
del bene comune.
Il Tribunale, con sentenza 25.2.2006, accolse la pretesa dell’attore,
ma la Corte d’Appello di Brescia, adita dalla società soccombente, con sentenza
del 27.10-10.12.2010 in riforma della decisione di primo grado, rigettò la
domanda osservando che la condotta denunziata rientrava nei limiti
dell’utilizzo della cosa comune, seppure con una maggiore intensità, non
risultando violato il principio del pari uso previsto dall’art. 1102 c.c..
Secondo la Corte territoriale, in particolare, la destinazione della scala al
passaggio non era stata mutata e nessuna servitù risultava costituita a carico
della stessa.
Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il D.G.
denunziando due censure.
Resiste con controricorso la società C. di R.E. & C. sas (così modificata
la denominazione nelle more del giudizio).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo il ricorrente denunzia ai sensi dell’art. 360 n. 3
c.p.c. la violazione dell’art. 1102 c.c. e con il secondo motivo denunzia ai
sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. la contraddittoria motivazione su un fatto
controverso e decisivo del giudizio.
Attraverso una esposizione unitaria delle due censure il ricorrente
rimprovera in sostanza alla Corte d’Appello di non avere rilevato che l’uso
della scala comune posta all’interno del fabbricato da parte dei clienti del
bar (avente autonomo accesso dalla strada) aveva comportato un effettivo
mutamento della destinazione originaria del bene, determinando di fatto un
asservimento all’utilizzo da parte degli avventori del bar e, in definitiva la
costituzione di una servitù di passaggio a favore del locale commerciale.
I motivi – che ben possono essere trattati congiuntamente – sono
fondati.
Innanzitutto, va rilevato che lo stesso ricorrente condivide il
richiamo all’art. 1102 c.c. quale norma di riferimento applicabile alla
fattispecie (v. pag. 8 ricorso), sicché appare corretto il controllo, da parte
della Corte di merito, sulla compatibilità dell’uso della scala condominiale da
parte della società C. con i limiti ex art. 1102 cod. civ..
Ciò chiarito, secondo la giurisprudenza di questa Corte la nozione di
pari uso della cosa comune cui fa riferimento l’art. 1102 cod. civ. – che in
virtù del richiamo contenuto nell’art. 1139 cod. civ. è applicabile anche in
materia di condominio negli edifici – non va intesa nel senso di uso identico e
contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante
alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa
utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli
altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà,
il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di
tutti i partecipanti alla comunione (v. Sez. 2, Sentenza n. 8808 del 30/05/2003;
Sez. 2, Sentenza n. 1499 del 12/02/1998).
È stato altresì precisato – ed il principio va qui ribadito – che
l’art. 1102 cod. civ. consente al comproprietario l’utilizzazione della cosa
comune anche in modo particolare e più intenso, ma, ponendo il divieto di
alterare la destinazione della cosa e di impedire agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto, esclude che l’utilizzo del singolo
possa risolversi in una compressione quantitativa o qualitativa di quello,
attuale o potenziale, di tutti i comproprietari (v. Sez. 2, Sentenza n. 21902
del 19/11/2004; Sez. 2, Sentenza n. 2843 del 05/12/1966; v. altresì Sez. 2,
Sentenza n. 944 del 16/01/2013 secondo cui l’esercizio della facoltà di ogni
condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall’art. 1102
cod. civ., deve esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di
comproprietà sulla cosa medesima e non può essere esteso, quindi, per il
vantaggio di altre e diverse proprietà del medesimo condomino, perché in tal
caso si verrebbe ad imporre una servitù sulla cosa comune, per la cui
costituzione è necessario il consenso di tutti i condòmini).
Nel caso di specie la Corte d’Appello ha rilevato:
– che il vano scale costituisce accessorio comune alle due porzioni di
fabbricato in cui si è concretizzata la divisione del 1960 tra gli originari
comproprietari, i fratelli S.G. (dante causa della società C.) e D.G. e dunque
esso è destinato al servizio delle rispettive unità abitative (in cui rientra
anche quella al primo piano composta da vestibolo, cucina e terrazzo, già
attribuita a S.G., oggi società C.);
– che il dante causa della società aveva ottenuto il permesso di
realizzare al primo piano della sua porzione di immobile, dei nuovi servizi
igienici per il proprio “bar C.”, ottenendone parere favorevole e, di fatto,
realizzando due nuovi WC destinati ai maschi e alle femmine, in funzione del
miglior utilizzo del bar.
Orbene, sulla scorta di tale ricostruzione in fatto, è evidente che
l’iniziativa della società, anche se inidonea a creare un asservimento del bene
comune alla proprietà esclusiva del condomino, comporta un palese mutamento
della destinazione della scala di accesso agli appartamenti del fabbricato
perché ad un utilizzo normale di essa da parte dei condomini (e delle persone
dirette alle unità abitative di costoro) si aggiunge una sorta di utilizzo
costante da parte del pubblico, cioè degli avventori di un esercizio
commerciale non servito da detta scala quanto all’accesso. Un tale stato di
fatto finisce necessariamente per alterare quel rapporto di equilibrio tra i
diritti concorrenti dei singoli partecipanti (Sez. 2, Sentenza n. 21902 /2004
cit., in motivazione) e determina pregiudizi anche in tema di riservatezza e
sicurezza per i condòmini che si trovano a dover tollerare il transito di
estranei all’interno dell’edificio.
La sentenza impugnata, che ha ritenuto l’iniziativa della società nei
limiti dell’utilizzo della cosa comune, deve essere cassata con rinvio ad altra
sezione della Corte d’Appello di Brescia che riesaminerà il caso attenendosi ai
principi esposti e regolerà le spese del giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata
con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Brescia, che provvederà
anche sulle spese.