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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 4.12.2015,
n. 24763
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Una canna fumaria in condominio presenta evidenti vizi di costruzione che danneggiano i proprietari dell’appartamento soprastante. Quali sono le responsabilità del costruttore? E se il manufatto fosse destinato esclusivamente ad un alloggio i cui proprietari ne fanno un uso scorretto? È la vicenda sulla quale è stata chiamata ad esprimersi la Corte di Cassazione con la sentenza 24763 del 4 dicembre 2015, di cui riportiamo un estratto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 28 ed il 29 novembre 2003 S.S. ed E.C. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Monza la B. s.r.l. ed i coniugi C.e L..
Gli attori esponevano che:
– avevano acquistato dalla B. s.r.l. un appartamento al piano secondo di una palazzina in …, e dopo poco tempo si erano accorti della presenza di gravi vizi e difetti del loro appartamento, con particolare riguardo alle canne fumarie poste al servizio esclusivo delle unità sottostanti di proprietà dei coniugi C. e L. e della B. s.r.l.;
– per l’esattezza, la problematica riguardava due canne fumarie, una che originava dall’appartamento della B. s.r.l. e l’altra che, invece, partiva dall’abitazione dei coniugi C. e L..
Essi chiedevano, pertanto, la condanna della B. s.r.l. a pagare la somma corrispondente al deprezzamento dell’immobile di loro proprietà e l’ordine a tutti i convenuti di adeguare alla vigente normativa le canne fumarie, con eliminazione di ogni immissione od infiltrazione e risarcimento degli ulteriori danni patiti.
Il Tribunale di Monza (…), accertata la sussistenza dei gravi difetti costruttivi denunciati dagli attori, dichiarava la responsabilità della B. s.r.l. ex art. 1669 c.c. e, per la parte concernente le immissioni illecite derivanti dalla canna fumaria identificata come CB nella relazione del Ctu, dei convenuti C. e L. ai sensi degli articoli 844 c.c. e 2043 c.c..
Inoltre, dichiarava la cessazione della materia del contendere quanto ai vizi attinenti ai condotti di esalazione, alle canne fumarie ed ai comignoli, essendo questi stati eliminati dalla B. s.r.l..
Infine, ritenute prescritte le ulteriori doglianze riguardanti l’isolamento acustico dell’abitazione S.-C. e le cantine, condannava la stessa B. s.r.l. a rifondere agli attori le spese di lite e, a titolo di risarcimento del danno, le spese di consulenza tecnica, con rigetto delle altre istanze risarcitorie.
La B. s.r.l. proponeva appello con cui si doleva della decisione di prime cure e ne chiedeva la riforma.
La Corte di appello di Milano, nella resistenza degli appellati, con sentenza n. 3294/2010 respingeva l’impugnazione principale e l’appello incidentale dei coniugi S. e C. e, per l’effetto, confermava la pronuncia del giudice di prime cure.
A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava che:
– l’azione proposta dai coniugi S. e C. era stata correttamente inquadrata nell’ambito del disposto dell’art. 1669 c.c.;
– era infondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della B. s.r.l.;
– i vizi dell’opera erano stati riparati;
– l’azione risarcitoria degli appellanti incidentali era priva di fondamento.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione la B. s.r.l., articolandolo su due motivi, mentre gli intimati non hanno svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La ricorrente lamenta con il primo motivo di ricorso la violazione e falsa applicazione dell’art. 1669 c.c., nonché l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata; con il secondo mezzo la violazione del principio di disposizione e di valutazione delle prove di cui agli articoli 115 e 116 c.p.c. e l’insufficienza della relativa motivazione.
I due motivi di ricorso, stante la loro stretta connessione e la sostanziale identità dei fatti posti a fondamento degli stessi, possono essere trattati congiuntamente.
La B. s.r.l. fonda entrambe le sue doglianze sulla circostanza di non avere alcuna responsabilità in ragione dell’improprio utilizzo, a fini abitativi, del locale sottotetto da parte dei coniugi S. e C., nonché del locale cantina ad opera dei coniugi C. e L., che avevano asservito la loro canna fumaria ad un camino a legna posizionato nel seminterrato, senza provvedere alla necessaria messa a norma.
Detta canna fumaria, peraltro, non poteva essere considerata un bene comune di tutti i condòmini, in quanto destinata a vantaggio della sola abitazione dei coniugi C. e L..
A ciò conseguiva che solamente questi ultimi ne erano responsabili.
(omissis)
Il ricorso è infondato.
Ai sensi dell’art. 1669 c.c., sussiste una responsabilità del costruttore se l’opera, nel corso di dieci anni dal compimento, rovina in tutto od in parte per un suo difetto di realizzazione ovvero presenti evidente pericolo di rovina o gravi difetti.
Secondo la costante giurisprudenza, tali gravi difetti sono anche le carenze costruttive dell’edificio, inteso, altresì, come singola unità abitativa, che ne pregiudichino o menomino in modo grave il normale godimento, la funzionalità o l’abitabilità, pur se incidenti su elementi secondari ed accessori dell’opera stessa (Cass., Sez. 2, n. 8140 del 28 aprile 2004).
La Corte di Appello ha correttamente chiarito di ritenere sussistente una responsabilità della B. s.r.l., ai sensi dell’art. 1669 c.c., in quanto vi erano “continue ed intollerabili immissioni di fumo nell’abitazione” S. e C..
Detto giudizio è conforme alla summenzionata definizione dei gravi difetti che giustificano l’applicazione dell’art. 1669 c.c..
L’accertamento della presenza dei vizi denunciati è stato motivato in maniera logica e completa in base alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, fondate, ad avviso del giudice di secondo grado, su approfondite ed esaurienti indagini, che avevano portato a rilevare “l’attuale stato di inabitabilità del sottotetto degli appellati e non dei suoi eventuali futuri sviluppi abitativi”.
(omissis)
La destinazione o meno del sottotetto ad opera dei coniugi S. e C. ad uso abitativo è stata reputata, quindi, irrilevante, di fronte all’evidente danno rappresentato dall’immissione di fumo.
Infatti, l’eventuale destinazione non abitativa di una porzione immobiliare non esime il costruttore dal dovere di realizzare i relativi impianti in modo da evitare che il loro uso dia luogo, all’interno di questa, a situazioni di danno anche solo potenziale, riconducibili alla previsione dell’art. 1669 c.c..
Per ciò che concerne l’impiego non conforme alla normativa vigente della cantina dei coniugi C. e L., non è stato provato dalla B. s.r.l., che era gravata del relativo onere, che abbia avuto un’efficacia causale idonea ad escludere ogni responsabilità del costruttore delle canne fumarie.
Il fatto che il C. e la L. abbiano chiesto alla B. s.r.l. di effettuare degli interventi sulla loro canna fumaria ed abbiano pagato i relativi lavori non ha alcuna valenza, dato che ciò non esclude che l’opera presentasse ab origine vizi tali da arrecare, comunque, pregiudizio al S. ed alla C..
In ogni caso, non vi sono elementi che portino ad escludere la responsabilità della B. s.r.l. con riferimento alla seconda canna fumaria oggetto di causa, in ordine a cui la B. s.r.l. si è limitata ad affermare che non sarebbe mai stata utilizzata, senza nulla dire quanto alla sua potenziale dannosità.
In detta prospettiva risulta, altresì, priva di pregio la deduzione della B. s.r.l. sulla natura non condominiale della canna fumaria del C. e della L., peraltro genericamente formulata.
Ne consegue il rigetto del ricorso, senza pronuncia sulla spese in mancanza di attività difensiva di controparte in questa sede.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.