[A cura di: Studio legale MaBe & Partners]
Con ordinanza del 5 luglio 2017, n. 16640, la Cassazione si è espressa in tema di buona fede durante la fase delle trattative di compravendita degli immobili, sancendo che il venditore, in tale fase, deve rendere edotto l’acquirente di tutti i pesi e gli oneri che gravano sull’immobile. Tra tali pesi e oneri rientrano, a dire della Corte, anche le spese straordinarie deliberate dall’assemblea condominiale poco prima della compravendita. Queste devono essere comunicate all’acquirente, pena il risarcimento del danno.
Il caso del quale è stata investita la Cassazione trae origine dall’acquisto di un appartamento all’interno di un condominio. L’acquirente adiva il Tribunale de L’Aquila esponendo che, poco prima della vendita dell’appartamento, era stata già convocata un’assemblea condominiale al fine di deliberare l’esecuzione di lavori straordinari per un rilevante importo. Tale circostanza era stata taciuta dal venditore durante le trattative, sicché, dopo l’acquisto, il compratore si era visto costretto a sostenere l’onere del pagamento di spese condominiali straordinarie. Per questi motivi il ricorrente chiedeva la condanna del venditore al risarcimento del danno.
La Corte di merito avevano dato ragione all’acquirente. Avverso la sentenza della Corte di Appello, il venditore adiva la Suprema Corte per violazione e falsa applicazione dell’articolo 1123 del Codice civile, cioè l’articolo che detta i criteri di ripartizione delle spese condominiali.
Nel caso concreto, tuttavia, la Cassazione ha ritenuto che la violazione dell’articolo 1123 fosse inammissibile per estraneità alla ratio decidendi: la Corte d’appello, infatti, ha affermato la responsabilità dell’odierno ricorrente non perché titolare di una obbligazione propter rem, ma a titolo di responsabilità precontrattuale, ovvero per avere volontariamente sottaciuto all’acquirente l’esistenza di un ingente onere condominiale di prossima deliberazione; nessuna violazione dell’articolo 1123 Cc, dunque, è stata commessa dalla Corte d’Appello, per la semplice ragione che tale norma non doveva essere (e non è stata) applicata al caso di specie.
Il ricorso è stato quindi rigettato e il venditore condannato al pagamento delle spese del giudizio, oltre al contributo unificato.