Il condizionatore è rumoroso. Alcuni condòmini chiedono un risarcimento per i danni esistenziali patiti. Dopo i due gradi di giudizio, la cassazione è chiamata ad esprimersi anche sull’adeguata entità del rimborso. Ecco la decisione della corte, in un estratto della sentenza 10173 del 18 maggio 2015.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 18.5.2015, n.10173
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 28-5-2007 il Giudice di Pace di Verona, in parziale accoglimento della domanda proposta da B.C. e B.L. con atto di citazione notificato in data 7 e 10-9-2001 e successivo atto di riassunzione (facente seguito alla declaratoria d’incompetenza per valore pronunciata in data 21-8-2002 dal Tribunale di Verona) notificato il 14, 18 e 19-11-2002, ordinava alla s.r.l. P.A. ed alla s.n.c. A. e C. la cessazione dal proseguimento di ogni turbativa in danno degli attori, nonché l’esecuzione degli interventi necessari ad eliminare la rumorosità dell’impianto di condizionamento installato in un appartamento dello stabile condominiale di Verona, Corso …, nel quale era ubicato l’appartamento a terzo piano di proprietà degli attori. Con la stessa sentenza, inoltre, i convenuti venivano condannati al pagamento in favore degli attori della somma di euro 1.100 ciascuno a titolo di risarcimento danni, oltre alla rifusione delle spese di lite, nonché della C.T.U. e della consulenza di parte. Il Giudice di Pace, al contrario, rigettava le domande avanzate dalla società P.A. nei confronti della terza chiamata impresa Cor..
Avverso la predetta decisione proponevano appello gli attori, lamentando, in particolare: la nullità della sentenza di primo grado per mancata trascrizione nelle conclusioni della richiesta di C.T.U. medica formulata dagli attori; l’omessa pronuncia sulla richiesta di risarcimento del danno biologico da stress; la ridotta quantificazione del danno esistenziale subito da ciascuno degli istanti in euro 1.100; il mancato rimborso integrale delle spese di consulenza tecnica di parte.
Con sentenza in data 26-9-2009 il Tribunale di Verona rigettava il gravame.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso B.C. e B.L., sulla base di quattro motivi.
La s.r.l. P.A. ha resistito con controricorso, mentre l’altra intimata s.n.c. A. e C. non ha svolto attività difensive.
In prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo i ricorrenti, lamentando la violazione dell’art. 132 c.p.c., censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha disatteso l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, nella quale il Giudice di Pace, nel trascrivere le conclusioni delle parti, non aveva riportato la richiesta di ammissione di C.T.U. medica, formulata dagli appellanti nel foglio delle conclusioni depositato all’udienza del 12-9-2007. Deducono che tale omissione ha inficiato di nullità la sentenza di primo grado, non avendo il Giudice di Pace in concreto preso in considerazione la predetta richiesta istruttoria.
Il motivo è infondato.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, la mancata o incompleta trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una semplice irregolarità formale, irrilevante ai fini della sua validità, occorrendo, affinché possa tradursi in vizio tale da determinare un effetto invalidante della sentenza stessa, che l’omissione abbia in concreto negativamente inciso sull’attività del giudice, comportando un’omissione di pronuncia su domande od eccezioni delle parti, ovvero un difetto di motivazione in ordine a punti decisivi prospettati (tra le tante v. Cass. 13-3-2012 n. 3979; Cass. 23-2-2007 n. 4208).
Nella specie, il Giudice di Pace, nel liquidare in favore di ciascuno degli attori la somma di euro 1.100 a risarcimento del danno esistenziale, e nel rilevare che “null’altro può essere corrisposto in assenza di documentazione o almeno di autocertificazione”, ha implicitamente escluso l’ammissibilità di una C.T.U. medico-legale, atteso che, in mancanza di un qualsiasi principio di prova di un danno biologico riconducibile alle immissioni rumorose riscontrate, l’ammissione di indagini tecniche avrebbe assunto, all’evidenza, un carattere meramente esplorativo.
Correttamente, pertanto, la Corte di Appello ha disatteso l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, sollevata dagli appellanti, emergendo per implicito dalla decisione adottata dal giudice di primo grado il rigetto dell’istanza di cui si lamenta la mancata menzione nell’epigrafe della sentenza.
2) Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 112, 113 e 115 c.p.c.. Deducono che il Tribunale, nel ritenere che il danno biologico da stress era stato allegato dagli appellanti per la prima volta in grado di appello e, quindi, tardivamente, non ha considerato che tale voce di danno era stata espressamente richiesta nell’atto di riassunzione di primo grado, e che all’udienza di precisazione delle conclusioni del 12-9-2006 gli attori avevano chiesto il risarcimento di tutti i danni “patrimoniali e non patrimoniali”; richiesta che, in base ai principi affermati dalla giurisprudenza, doveva ritenersi riferita a tutte le possibili voci di danno originate dalla condotta dei convenuti.
Il motivo è inammissibile, non cogliendo la ratio decidendi.
Il Tribunale ha disatteso la doglianza degli appellanti relativa al mancato riconoscimento del ristoro del pregiudizio alla salute, ritenendo pienamente condivisibile la valutazione espressa dal giudice di prime cure sulla necessità di disporre di un principio di prova della sussistenza di tale tipo di danno, costituito da documentazione medica o, eventualmente, da una consulenza tecnica di parte che dia conto di una lesione di carattere psicofisico.
Ciò posto, si osserva che il successivo rilievo svolto nella sentenza impugnata, secondo cui il danno biologico da stress era stato, in realtà, espressamente allegato dagli appellanti solo nel giudizio di secondo grado, costituisce un’argomentazione ultronea rispetto all’effettiva ragione della decisione, costituita dalla mancanza di un principio di prova circa la dedotta voce di danno.
Ed è noto che le argomentazioni ultronee, che non hanno lo scopo di sorreggere la decisione, già basata su altre decisive ragioni, sono improduttive di effetti giuridici e, come tali, non sono suscettibili di censura in sede di legittimità (Cass. 18-5-2005 n. 10420; Cass. 11-6-2004 n. 11160).
3) Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione alla quantificazione del danno esistenziale. Sostengono che il Tribunale, nel ritenere adeguato – in rapporto al dato temporale dell’impianto di condizionamento nei soli mesi estivi e, quindi, per non più di tre mesi all’anno – l’importo liquidato dal Giudice di Pace, e nell’affermare che gli appellanti non avevano dato prova del momento in cui l’impianto era stato installato, nonché del fatto che l’impianto stesso funzionava a pieno regime durante tutto l’arco della giornata, non ha tenuto conto della documentazione prodotta dagli attori (verbale di assemblea condominiale dell’8-5-2001, nella quale l’assemblea, lamentando l’eccessiva rumorosità del condizionatore della M., deliberava all’unanimità che lo stesso venisse sostituito con un condizionatore più moderno e più silenzioso) e dalla impresa Cor. (fattura del 19-2-1998), nonché delle deposizioni rese dai testi escussi, da cui risulta che l’impianto funzionava sia di giorno che di notte.
Il motivo non è meritevole di accoglimento.
Giova rammentare che, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (cfr., tra le altre, Cass. 24-10-2013 n. 24092; Cass. 26-6-2007 n. 14752; Cass. 28-6-2006 n. 14973; Cass. 21-4-2006 n. 9368).
Nella specie, le risultanze processuali asseritamente obliterate dal giudice del gravame non sembrano dotate di una tale forza dimostrativa da poter condurre ad una decisione diversa da quella adottata.
È sufficiente considerare, in proposito, che nel verbale assembleare dell’8-5-2001 si dà atto che “alcuni condòmini lamentano l’eccessiva rumorosità del condizionatore della M.”, ma non si specifica se tra tali condòmini vi fossero anche gli attori, né si fornisce alcuna indicazione riguardo all’epoca di installazione dell’impianto e ai tempi del suo funzionamento.
Quanto alle deposizioni testimoniali trascritte nel ricorso, nelle stesse non viene specificata la data in cui è stato installato l’’mpianto ed hanno avuto inizio i rumori intollerabili. Le dichiarazioni richiamate, inoltre, riferiscono solo genericamente che i rumori si sentivano sia di giorno che di notte, ma non forniscono elementi utili riguardo all’intensità e intollerabilità di tali rumori durante tutto l’arco della giornata.
Del tutto generico, infine, appare il riferimento alla fattura del 19-2-1998, della quale, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, i ricorrenti non hanno nemmeno trascritto il contenuto; con la conseguenza che questa Corte non è posta nelle condizioni di verificare, sulla base della sola lettura del ricorso, se si tratti di documento effettivamente riferibile all’acquisto dell’impianto de quo.
4) Con il quarto motivo i ricorrenti, denunciando la violazione dell’art. 91 c.p.c., si dolgono del mancato rimborso integrale delle spese di C.T.P., che i giudici di merito hanno riconosciuto per il solo importo di curo 2.500, a fronte di un esborso totale di curo 4.329,17, documentato dalle quattro fatture in atti.
Il motivo deve essere disatteso.
Questa Corte ha più volte avuto modo di affermare che le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell’art. 92, primo comma, c.p.c., della facoltà di escluderle dalla ripetizione, ritenendole eccessive o superflue (Cass. 3-1-2013 n. 84; Cass. 16-6-1990 n. 6056; Cass. 11-6-1980 n. 3716).
Nella specie, il Tribunale si è conformato a tali principi, avendo riconosciuto in favore degli attori il rimborso delle spese di consulenza tecnica di parte, nei limiti in cui ha ritenuto sussistere la prova della riferibilità delle fatture prodotte alle prestazioni rese dal tecnico di parte nel presente giudizio.
Non sussiste, pertanto, la dedotta violazione di legge.
E, in realtà, le doglianze mosse dai ricorrenti con il motivo in esame, attraverso la formale denuncia di violazione di legge, si risolvono sostanzialmente nella richiesta di un rinnovato esame delle fatture prodotte, nel tentativo di dimostrare la loro integrale riferibilità alle prestazioni rese nel presente giudizio dal consulente di parte. In tal modo, pertanto, si sollecitano indagini di fatto non consentite in questa sede, rientrando la valutazione delle risultanze processuali nei compiti istituzionalmente riservati al giudice di merito.
5) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese sostenute dalla controricorrente nel presente grado di giudizio,
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese sostenute dalla controricorrente, che liquida in euro 2.000, di cui euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.