Un condominio presenta gravi difetti di costruzione. Ma l’architetto che l’ha progettato e che ha diretto i lavori non vuole risponderne in solido con l’ingegnere che ha curato la parte strutturale e con l’impresa edile. Ha ragione? È il caso sul quale si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza 9642 dell’11 maggio 2016, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 11.5.2016, n. 9642
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’architetto I.M. ricorre contro il Condominio … in Bordighera, contro i condòmini di tale condominio, contro l’ingegner C.T. e contro la società D.V. srl per la cassazione della sentenza con cui la Corte d’appello di Genova ha interamente confermato la sentenza di primo grado che lo aveva condannato, in solido con l’ingegner C.T. e con la società D.V., a risarcire al Condominio ed ai condòmini il danno derivante da gravi difetti nell’edificio di via …, di Ventimiglia. Tale edificio era stato progettato dall’architetto I.M. e dell’ingegner C.T. e realizzato dalla società D.V. srl, su incarico della Cooperativa …, dante causa dell’ intimato Condominio. I difetti giudizialmente accertati consistevano in cavillature nei soffitti e nelle piastrelle e in fessure e lesioni sui terrazzi interni del fabbricato.
La Corte d’appello di Genova ha ritenuto, per quanto qui ancora interessa, che i suddetti danni derivassero dall’eccessiva deformazione delle solette, i cui effetti erano stati sottostimati in sede progettuale, e conseguentemente ha affermato che di tali danni l’architetto I.M. dovesse rispondere, in solido con l’ing. C.T. e con l’impresa esecutrice dei lavori, in quanto progettista dell’opera, insieme con l’ing. C.T., e in quanto direttore dei lavori.
In particolare la Corte distrettuale ha ritenuto l’architetto I.M. responsabile del danno, in solido con l’ingegner C.T. e con l’impresa esecutrice, sul duplice rilievo che:
– da un lato, esso architetto aveva ricevuto, insieme all’ingegner C.T., “un incarico congiunto di progettazione dei lavori” e tale incarico, alla stregua del tenore della lettera di affidamento, risultava concernere “la progettazione sia di massima sia esecutiva”;
– d’altro lato il medesimo architetto I.M. aveva ricevuto anche l’incarico della direzione dei lavori.
Il ricorso per cassazione si fonda su due motivi.
Nessuno degli intimati si è costituito in giudizio.
Il ricorrente ha depositato memoria contenente rinuncia al secondo motivo, col quale era stata denunciata l’omessa pronuncia sulla domanda di graduazione delle responsabilità tra i condannati in solido.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 29.1.16 nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso (l’unico su cui il Collegio è chiamato a pronunciarsi, a seguito della menzionata rinuncia del ricorrente al secondo motivo) è promiscuamente riferito ai vizi di violazione di legge (artt. 1669 e 2055 c.c., 41 e 43 c.p., 115 e 116 c.p.c., 2697 c.c., 3 l. 1086/71, 19 l. 143/49) e di insufficiente e contraddittoria motivazione. Con tale motivo il ricorrente censura la sentenza gravata sotto un duplice profilo:
– in primo luogo, sotto il profilo del vizio di motivazione, per aver ritento che l’incarico di progettazione conferito all’architetto I.M. e all’ingegner C.T. fosse congiunto e che solo l’arch. I.M. fosse stato incaricato della direzione dei lavori, nonostante che dalla lettera di incarico e dalla documentazione edilizia emergesse – come accertato dal consulente di ufficio – che al I.M. era stata conferita la progettazione e direzione lavori architettonica ed al C.T. la progettazione e direzione lavori strutturali;
– in secondo luogo, sotto il profilo della violazione di legge, per aver ascritto al I.M., nella sua qualità di direttore dei lavori, l’omesso controllo su calcoli strutturali che esulavano dalle sue competenze, in quanto, in ragione della loro complessità (desumibile, tra l’altro, dal fatto che il collaudatore non aveva rilevato errori) non potevano che competere allo specialista della materia.
Il motivo è fondato.
Nella sentenza gravata si accerta che la causa delle lesioni del fabbricato condominiale “è ascrivibile esclusivamente all’eccessiva deformazione delle solette” e, quindi, all’errore progettuale consistito nella sottostima degli “effetti che le deformazioni potevano provocare nelle pareti divisorie”.
Sulla scorta di tale premessa la Corte d’appello avrebbe dovuto verificare:
a) in primo luogo, se, in linea di fatto, l’incarico di progettazione affidato all’architetto I.M. e all’ingegner C.T. fosse unitario o se, al contrario, a ciascuno dei due professionisti fosse stato affidato l’incarico di curare gli aspetti progettuali riferibili alle rispettive specifiche competenze professionali;
b) in secondo luogo – ove fosse risultato che le prestazioni progettuali richieste ai due professionisti avevano oggetti diversi e, precisamente, la progettazione architettonica per l’architetto I.M. e la progettazione strutturale per l’ingegner C.T. – se, ancora in linea di fatto, l’incarico di direzione dei lavori fosse limitato ai lavori architettonici o si estendesse anche a quelli strutturali;
c) in terzo luogo – ove fosse risultato che l’incarico di direzione dei lavori comprendeva anche i lavori strutturali – se, in linea di diritto, sul direttore dei lavori gravi l’onere di verificare la corrispondenza alla normativa tecnica ed alle regole dell’arte dei calcoli strutturali svolti dall’ingegnere che ha redatto il progetto delle parti strutturali.
La Corte d’appello ha risolto la questione di fatto sub a) nel senso dell’unitarietà indistinta dell’incarico progettuale affidato ai due professionisti (a pag. 8, terzultimo rigo, della sentenza gravata si legge che i due progettisti avrebbero “ricevuto incarico congiunto di progettazione dei lavori, come risultante dalla documentazione in atti”) ed ha risolto la questione di fatto sub b) qualificando l’architetto I.M. quale direttore dei lavori, senza operare alcuna distinzione tra direzione dei lavori architettonici e direzione dei lavori strutturali (a pag. 10, primo capoverso, della sentenza gravata si legge: “circa la responsabilità del Muratore, deve rilevarsi che dalla lettera d’incarico prodotta in atti emerge che tale incarico riguardava la progettazione, sia di massima sia esecutiva, nonché la direzione dei lavori”).
Quanto alla questione di diritto sub c), la stessa non è stata affrontata dalla Corte distrettuale, risultando assorbita dalla valutazione di responsabilità del I.M. (anche) come progettista (anche) per le parti strutturali.
Ma la soluzione offerta dalla Corte d’appello alle questioni di fatto sub a) e sub b) non è sorretta da una motivazione sufficiente.
La Corte distrettuale, infatti, non precisa sulla base di quali risultanze istruttorie sia giunta concludere che l’incarico progettuale conferito all’architetto I.M. e all’ingegnere C.T. avesse natura congiunta e che l’incarico di direzione lavori conferito all’architetto I.M. concernesse anche i lavori strutturali, né dà alcun conto delle risultanze documentali richiamate dal ricorrente per dimostrare che gli incarichi di progettazione e direzione lavori conferiti all’architetto I.M. concernevano solo la progettazione e direzione lavori architettonica e non la progettazione e direzione lavori strutturale. Tali risultanze – riprodotte, nel rispetto del principio di autosufficienza, a pag. 17 e segg. del ricorso per cassazione – possono sintetizzarsi come segue:
– il rilievo contenuto a pagina 13 della c.t.u. dove il consulente di ufficio, sulla scorta della disamina della lettera di incarico, della documentazione amministrativa e del certificato di collaudo, scrive “ogni competenza strutturale (progettazione e direzione lavori) era stata affidata all’ingegner C.T.; ogni competenza relativa alla progettazione e direzione lavori architettonici dell’opera stata affidata all’architetto I.M.”;
– la dichiarazione resa dall’ingegner C.T. all’udienza 17.4.96 del giudizio di primo grado: “per quanto mi riguarda, mi ero occupato di progettare le strutture e di svolgere le funzioni di direttore dei lavori”;
– lo stralcio del contratto di appalto in cui si legge: “si dà atto, ancora, che la progettazione e la direzione dei lavori architettonica e strutturale sono state affidate dall’appaltante … all’architetto I.M. …. e all’ingegner C.T. … ciascuno per la parte di sua competenza ai sensi della legge 2 marzo 1949 n. 143”;
– lo stralcio del verbale dell’assemblea della Cooperativa committente in cui si legge: “L’architetto I.M. illustra il progetto edilizio esecutivo nei particolari, spiegando le scelte progettuali, la possibilità di variazioni, le capacità e le tipologie degli alloggi … l’ingegner C.T., per la parte tecnica di competenza, ha illustrato le tecniche di costruzione e le possibilità di modifiche strutturali”.
La sentenza gravata va quindi cassata con rinvio perché il giudice di merito rinnovi l’accertamento in ordine all’identificazione delle specifiche prestazioni professionali richieste dalla cooperativa … all’architetto I.M. tenendo conto delle evidenze documentali sopra menzionate e, conseguentemente, individui l’esatta portata degli oneri di controllo sul medesimo gravanti in ordine alla conformità della progettazione strutturale alle norme tecniche ed alle regole dell’arte.
Spese al merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza gravata e rinvia ad altra Sezione della Corte d’appello di Genova, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.