Il verbale dell’assemblea condominiale costituisce una prova di quanto in essa avvenuto, ivi comprese le votazioni sulle delibere; qualora un condomino intendesse impugnarle, è a suo carico dimostrare l’infedeltà del verbale stesso. È la sostanza di quanto rimarcato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 16774/2015, di cui riportiamo un estratto.
——————–
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 12.8.2015,
n. 16774
——————–
Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 29 dicembre 2014, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:
«Con sentenza in data 22 luglio 2013, il Tribunale di Torino ha accolto l’appello del Condominio di via … e, per l’effetto, in riforma della pronuncia resa dal Giudice di pace di Torino in data 30 novembre 2011, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione, da parte di G.B., della deliberazione assunta dall’assemblea del Condominio nella seduta del 21 maggio 2010: sia perché tardivamente proposta rispetto al termine di trenta giorni di cui all’art. 1137, ultimo comma, cod. civ., sia per il difetto di interesse ad agire del G.B. per acquiescenza alla delibera impugnata, avendo il G.B. partecipato all’assemblea ma non avendo fatto verbalizzare il proprio dissenso, dal verbale risultando che il G.B. approvò il rendiconto delle spese relativamente al 2009 ed il preventivo per l’anno successivo.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il G.B. ha proposto ricorso, con atto notificato il 19 febbraio 2014, sulla base di due motivi.
L’intimato Condominio ha resistito con controricorso.
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in ordine alla affermata tardività dell’impugnazione.
Il secondo mezzo lamenta “violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione alla omessa motivazione, in ordine alla presunta carenza di interesse ad agire in capo al Sig. G.B.”.
Il secondo mezzo appare infondato, posto che il Tribunale, dopo avere dato atto che dal verbale dell’assemblea risulta che il rendiconto ed il preventivo sono stati approvati dall’assemblea, cui partecipò il G.B., all’unanimità, ha fatto applicazione dell’art. 1137 cod. civ., che legittima a proporre l’impugnazione soltanto i condòmini dissenzienti e quelli assenti. È esatto che il ricorrente afferma di essere stato dissenziente e deduce che il verbale prodotto non è quello originariamente redatto in assemblea, ma la sentenza d’appello si fa carico di questa obiezione e rileva che l’affermazione (contenuta nella sentenza di primo grado) secondo cui per un mero errore nella trascrizione a computer del verbale stesso non sarebbe stato indicato che l’attore aveva espresso parere contrario, è meramente apodittica e non sostenuta da alcuna prova. Sotto questo profilo, va data continuità al principio secondo cui il verbale dell’assemblea condominiale offre una prova presuntiva dei fatti che afferma essersi in essa verificati, per modo che spetta al condomino che impugna la deliberazione assembleare contestando la rispondenza a verità di quanto riferito nel relativo verbale, di provare il suo assunto (Cass., Sez. Il, 13 ottobre 1999, n. 11526).
Essendo infondata, ad avviso del relatore, la censura articolata con il secondo motivo, il ricorrente è privo di interesse allo scrutinio del primo motivo di ricorso.
Difatti, qualora la decisione di merito si fondi, come nella specie, su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza della censura mossa ad una delle rationes decidendi rende inammissibile, per sopravvenuto difetto di interesse, la censura relativa all’altra ragione esplicitamente fatta oggetto di doglianza, in quanto quest’ultima non potrebbe comunque condurre, stante l’intervenuta definitività dell’altra, alla cassazione della decisione stessa (Cass., Sez. III, 14 febbraio 2012, n. 2108).
Il ricorso può essere avviato alla trattazione in camera di consiglio, per esservi rigettato».
Letta la memoria di parte ricorrente.
Considerato
* che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione ex art. 380-bis cod. proc.civ.;
* che i rilievi critici contenuti nella memoria non sono persuasivi;
* che tali critiche muovono dal presupposto che il verbale (non impugnato di falso) – da cui risulta che tutti i punti all’ordine del giorno vennero esaminati separatamente ed approvati all’unanimità dai condòmini (tranne il punto n. 2, relativo alla nomina dell’amministratore, in cui le proprietà G.B. e S. dissentirono) – non era conforme a legge e quindi sarebbe privo della presunzione di veridicità di quanto in esso trasfuso, stante la mancata indicazione, in detto verbale, dei nominativi dei condòmini e dei millesimi rappresentati;
* che in realtà detta mancata indicazione dei nominativi non risulta dal testo della sentenza impugnata, la quale, anzi, dà atto che dal verbale risulta non solo l’indicazione dei cinque punti all’ordine del giorno, ma anche il loro esame separato e la loro approvazione con il consenso unanime dei condòmini, essendosi registrato dissenso (da parte di due soli condòmini, G.B. e S.) con riguardo ad un altro punto all’ordine del giorno;
* che detta mancata indicazione neppure può dirsi un dato pacifico ed incontestato, tant’è vero che nel controricorso si spiega che “i nominativi dei condòmini presenti all’assemblea e omessi nell’estratto del verbale [derivante dalla trascrizione al computer] risultavano registrati in occasione dell’assemblea, come si evince dall’analisi della copia originale del verbale che si produceva in secondo grado”;
* che l’ammissibilità della produzione della copia originale è sì contestata dall’odierno ricorrente, ma genericamente, sul rilievo “che lo stesso documento era già formato al momento della costituzione in primo grado e controparte ben avrebbe potuto produrlo in allora”: in particolare, il ricorrente non considera che la disciplina dell’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., ratione temporis applicabile, consentiva la produzione dei documenti ritenuti indispensabili dal giudice;
* che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;
* che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
(omissis)
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Condominio controricorrente, che liquida in complessivi euro 1.200, di cui euro 1.000 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.