In caso di condominio minimo, il condomino che ha sostenuto spese per le cose comuni non ha diritto al rimborso salvo che si trattasse di lavori urgenti e indifferibili. E la presenza di una sola macchia di umidità su un soffitto non rientra in tale fattispecie.
È quanto ha stabilito la Cassazione con la sentenza 7457 del 14 aprile 2015, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 14 aprile 2015, n. 7457
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MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella negazione del diritto al rimborso delle spese sostenute ed anticipate delle quali non sia stata provata l’urgenza o in assenza di preventiva statuizione dell’autorità giudiziaria: negazione imposta dall’art. 1134 cod. civ., che lo stesso giudice di appello aveva ritenuto applicabile nella specie. Questi avrebbe omesso di valutare concretamente la effettiva urgenza dei lavori fatti eseguire dalla C., urgenza non provata dalla stessa, cui incombeva il relativo onere. In assenza di prove sul punto, erroneamente il giudice di secondo grado avrebbe attribuito valore confessorio alle dichiarazioni rese dal M. in sede di interrogatorio formale innanzi al Giudice di pace, nelle quali si faceva riferimento ad una macchia di umidità nel soffitto un anno prima della esecuzione dei lavori di cui si tratta. In realtà il giudice di secondo grado avrebbe confuso il concetto di urgenza con quello di indifferibilità o improcrastinabilità, e non avrebbe considerato l’arbitrarietà della condotta della C., che, per evitare ogni ingerenza del M. ed ogni concertazione con lo stesso sulla riparazione del lastrico, lo avrebbe estromesso illegittimamente dalla possibilità di scegliere la ditta esecutrice, di concordare il tipo di intervento da effettuare e quant’altro necessario, per poi richiedere allo stesso la partecipazione alla spesa ritenuta comune.
2. La censura deve essere accolta nei termini di seguito precisati.
Come lo stesso giudice di secondo grado ha ricordato, nel caso di condominio c.d. minimo, cui non si applicano le norme sul funzionamento dell’assemblea condominiale, ma quelle relative all’amministrazione di beni oggetto di comunione in generale, il rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da un condomino resta, però, disciplinato dall’art. 1134 cod.civ., che riconosce che il condomino che abbia sostenuto spese per le cose comuni non ha diritto al rimborso salvo che si tratti di spesa urgente, piuttosto che – non consentendolo l’art. 1139 cod.civ. – dall’art. 1110 cod.civ., che fa riferimento al diritto al rimborso delle spese semplicemente necessarie per la conservazione delle cose comuni.
Ciò posto, la richiesta della C. di restituzione della quota spettante al M. delle somme spese per lavori di rifacimento, demolizione, impermeabilizzazione e pavimentazione del terrazzo di proprietà della stessa che costituiva anche copertura delle porzioni immobiliari ricomprese nello stabile di cui si tratta, avrebbe potuto trovare fondamento solo nel carattere urgente delle spese, in quanto indifferibili. Ma l’urgenza delle stesse non poteva desumersi dalla sola circostanza che il M., un anno prima della esecuzione dei lavori, avesse rinvenuto una macchia di umidità nel soffitto dell’appartamento della C.. Sarebbe stato necessario, invece, a tale scopo, prima di condannare il M. al rimborso delle spese sostenute dalla C., accertare se dette spese avessero effettivamente il carattere della indifferibilità, nel senso di non poter essere rinviate senza pregiudizio o pericolo per la cosa comune.
Né alcun rilievo possono assumere al riguardo le due raccomandate inviate dalla C. al M. prima dell’inizio della esecuzione dei lavori di cui si tratta e rimaste inevase: la richiamata circostanza non è, infatti, di per sé significativa della indifferibilità dei lavori medesimi.
3. Con il secondo motivo si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nel punto se debba ritenersi rinunciata la domanda subordinata spiegata nel primo grado di giudizio, qualora in appello la questione sia stata espressamente e diffusamente trattata in ogni scritto difensivo, lamentando in merito la condotta di controparte e facendone autonoma questione. Avendo l’odierno ricorrente riproposto in toto nel giudizio di secondo grado la domanda subordinata attinente al quantum della richiesta della C., avrebbe errato il giudice di secondo grado nel ritenere sussistente una presunzione di rinuncia a detta domanda.
4. Il motivo merita accoglimento nei termini di seguito esposti.
Qualora nel giudizio di primo grado sia stata proposta, con la domanda principale, altra domanda in via subordinata, l’appellato vittorioso, in seguito all’accoglimento della prima, è tenuto a riproporre espressamente nel giudizio di impugnazione, in qualsiasi forma indicativa della volontà di sottoporre la relativa questione al giudice di appello, la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 cod. proc. civ., non potendo quest’ultima domanda rivivere per il solo fatto che quella principale sia stata respinta dal giudice di appello (v, tra le altre,Cass., sent. n. 12260 del 2009).
Nella specie, il M. ripropose anche nel giudizio di appello, negli scritti difensivi, la questione del quantum debeatur, come riconosciuto dallo stesso giudice di secondo grado.
5. Conclusivamente, il ricorso merita accoglimento per quanto di ragione. La sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata ad altro giudice – che viene designato nel Tribunale di Viterbo in persona di diverso giudicante, cui è demandato altresì il regolamento delle spese del presente giudizio – che la riesaminerà alla stregua dei rilievi espressi sub 2 ed in applicazione del principio di diritto enunciato sub 3.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, al Tribunale di Viterbo in persona di diverso giudicante.